«La plus belle ruse du diable est de nous persuader qu’il n’existe pas».
(Baudelaire)
Sorokin, sociologo russo, sostiene che la classica tripartizione antropologica – corpo, anima e spirito – si rifletta in una ciclicità di epoche storiche in cui inevitabilmente si manifesta la decadenza progressiva di una civiltà. A un’era spirituale, in cui prevalgono i valori del sacro, succede un’epoca più razionale e idealistica. Infine, viene un tempo oscuro in cui a dominare in una società sono il materialismo e gli interessi terreni, sintomi di vecchiaia e di morte.
Ogni civiltà avrebbe dunque un’alba, un meriggio, un tramonto, una notte. L’umanità posta al confine tra due ere non può decidere di non valicare quel confine. Un potere più grande di lei la sospinge e le impone di andare avanti. Non è la forza di poteri economici, finanziari, politici o militari, ma quella di un’inarrestabile ruota cosmica, una sorta di macina della storia in cui ogni civiltà viene frantumata per poi rinascere.
Se il XIX secolo poteva cullarsi nell’illusione di trovarsi l’alba di una nuova era, illuminata dai raggi della scienza positivista, il secolo passato ha preso invece coscienza della natura crepuscolare del ‘progresso’. E oggi, solo l’inganno di luci artificiali può farci credere che su di noi non stia calando il buio della notte.
Molti ancora pensano che saranno gli ingranaggi della scienza e della tecnica a far girare le ruote dentate della storia e a spingere verso un futuro più felice la nostra civiltà. Al contrario, esse esercitano una tensione conservatrice e reazionaria, che vorrebbe mantenere la società al di qua del confine che è invece suo destino oltrepassare. In questo notturno capovolgimento di valori, è normale quindi che si definiscano ‘oscurantiste’ quelle forze di ritorno al sacro che invece già preannunciano la luce del nuovo mattino.
La crisi che affligge la nostra società è di fatto legata a una transizione da un’era carnale a un’era dello spirito. Questo passaggio richiede una renovatio mentis che ci porti a vedere noi stessi e il mondo con occhi nuovi. Le parole di san Paolo – «non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente» – trascendono quindi il piano dell’ascesi individuale per porsi su quello di una metamorfosi della civiltà.
Il ‘mondo’cui Paolo si riferisce qui non è il kosmos ma il ‘secolo’ (aion). Non è quindi un’esortazione alla fuga mundi o un “terrena despicere”, invito a disprezzare le cose della terra. Il saeculum da cui emanciparsi è l’insieme dei segni di un tempo ormai totalmente secolarizzato e dominato da poteri satanici.
Dal Rinascimento a oggi, la nostra razionalità, la conoscenza della materia e l’efficienza tecnica hanno raggiunto altissimi livelli. Questo è avvenuto però a spese di valori estetici e morali, idealistici e metafisici. Lo scientismo e il tecnicismo hanno inaridito le sorgenti dell’intuizione spirituale e della fede. La cultura si è infine irrigidita su posizioni che causano un restringimento della visione intellettuale e il suo ripiegamento su prospettive puramente secolari.
Se lo “spirito del mondo” prevale, la ragione stessa si piega essenzialmente a scopi materiali. L’uomo è ridotto a valore biologico ed economico. L’ispirazione artistica inaridisce. Anche la ‘spiritualità’ è intrisa di elementi sensoriali. La realtà appare priva di senso perché sradicata dal suo fondamento metafisico. Il cosmo non riflette più un’idea divina ma la aleatorietà di processi fisici. Se, come diceva padre Garrigou-Lagrande, “bisogna scegliere o Dio o l’assurdità radicale”, la nostra cultura ha scelto l’assurdità.
È follia credere che saranno gli attuali organismi politici, nazionali o internazionali, a traghettare l’umanità verso la nuova era. Il cambiamento non avverrà attraverso riforme sociali o economiche, scoperte scientifiche, rivoluzioni politiche o nuove strategie ambientali, ma unicamente mediante una revulsione del nostro sostrato spirituale, che decongestioni la coscienza e la liberi dalla sua intossicazione satanica.
Ovviamente, se noi fossimo semplici prodotti dell’ambiente e della cultura dominante, finiremmo in un cul de sac. Infatti una cultura plasmata da princìpi satanici – la ricchezza, il potere, la sensualità – non potrebbe mai creare uomini spirituali che la rinnovino. In realtà, il nostro sé individuale partecipa incessantemente, attraverso ogni suo atto e pensiero, a un processo di creazione e rigenerazione sociale. Solo così possiamo uscire dall’impasse di un circolo vizioso in cui il male alimenta sé stesso.
La transizione sarà affidata dunque a chi, restando immune al delirio collettivo, aprirà nuovi varchi al super-conscio, favorendo il risveglio nel mondo di energie spirituali e terapeutiche. Questo comporterà necessariamente un allargamento e un approfondimento del sé. Il senso dell’uomo si esaurisce oggi in un ego biologico e sociale. Nella società futura saranno invece fondamentali le dimensioni di un sé cosmico, in cui si riconciliano spirito e natura, e di un sé metafisico che ricolleghi l’uomo alle sue radici spirituali.
Comprendo il disagio e forse anche l’ilarità che in alcuni può suscitare il riferimento alla presenza di dinamiche diaboliche nella nostra società. Si sa che nessuno potrebbe oggi alludere all’esistenza di pulsioni sataniche nel governo del mondo senza veder compromessa la propria rispettabilità intellettuale. Questo è per altro coerente con le concezioni di un’epoca carnale e con la sua incapacità di discernere la natura metafisica della realtà. Vorrei tuttavia fornire almeno una traccia di cosa io intenda quando alludo a un pensiero satanico.
In questo concetto occorre far rientrare tutte quelle forze che, entrando in contatto con la psiche, tendono a creare in lei forme di ottenebramento e di dipendenza. Il diavolo incatena. Quale sia il ruolo del satanico nell’economia della storia è argomento che esorbita dai limiti di questo modesto articolo. In senso molto generale, il satanico è ciò che priva l’uomo della sua libertà interiore e falsifica la sua percezione della realtà.
Non mi riferisco solo a forme di satanismo ufficiale – quelle che comunemente associamo a messe nere, pentacoli ecc. – ma a una forma mentis diffusa nella società. La maschera indossata dal satanismo è oggi quella di un umanismo razionalista, di chiara derivazione illuminista. Suo obiettivo dichiarato è favorire l’amore universale, la lotta alle ingiustizie e alle forme di potere tirannico, i nobili ideali, la visione ‘scientifica’ del mondo. Il diavolo si presenta quindi come un attraente ‘angelo di luce’, profeta della felicità umana.
La finalità dichiarata del satanismo è l’autorealizzazione dell’individuo, attraverso il rifiuto di ogni autorità limitante e impositiva. ‘Satana’ diviene così un costrutto metaforico in cui si riassumono le istanze di ribellione contro il Padre, visto come agente di repressione degli istinti e inibizione dei desideri. È l’esaltazione di un bene immanente, stretto nell’orizzonte di un appagamento terreno, legato a immagini idilliache di un progresso che illumina le coscienze con fiamme luciferine.
Questa è in fondo la maschera bonaria del satanismo, la sua ala moderata, erede di una mitologia romantica, affascinata dalla figura di un angelo anarchico e ribelle i cui sguardi testimoniamo “inflessibile orgoglio” o tetra grandezza. Si tratta di un demonismo corrusco e prometeico, risonante di echi miltoniani o carducciani, di reminescenze alla Shelley, alla Anatole France, di superomismo nietzschiano ecc., figlio di una cultura satura di allegorie giudaico-cristiane, di rozze idee sul monoteismo, di insofferenze anti-clericali.
Se il satanismo fosse tutto qui ci troveremmo davanti a un’idealistica revanche, a una contro-cultura di sospetta matrice edipica, o a un elenco di buoni propositi degno di un manuale per boy-scout. Ma il diavolo «è stato omicida fin dal principio … non c’è verità in lui … è bugiardo e padre della menzogna». Il discorso satanico è sempre connotato da ambiguità e doppiezza. Tolta la maschera appare infatti l’ala sinistra del satanismo, quella che teorizza la disuguaglianza come giustificazione della violenza dei forti sui deboli, che poggia la propria libertà e la realizzazione di sé sull’oppressione degli altri.
Questa frangia radicale è quella che oggi associa il ‘bene’ dell’umanità all’applicazione di un darwinismo sociale ed economico, a spietati principi di selezione e competizione, a teorie maltusiane di depopolamento, al disprezzo per la ‘massa’ inerte e sacrificabile dei non illuminati. È il culto di un Potere che finisce con l’avocare a sé, ovvero a una élite satanista, il ruolo del Padre spodestato, facendosi incarnazione di una nuova Legge e di una più radicale tirannia.
In realtà, il satanismo sembra non accontentarsi più della sua tradizionale funzione antitetica alle istanze spirituali. La sua rivolta si allarga oggi alla natura, alla Madre, diventa disubbidienza e rifiuto delle stesse leggi naturali. Ciò che è naturale, spontaneo, stabilisce ancora un limite alla volontà e all’orgoglio. Va dunque reso artificiale, sottomesso alla razionalità e ai desideri dell’individuo padrone di sé.
Questa è l’ultima frontiera del satanismo: contraddire tanto gli archetipi dello spirito quanto l’ordine naturale della vita, piegandoli alla volontà di un Individuo dotato di magica autosufficienza. Per questo tende alla creazione di un essere anfibio, metà animale e metà macchina, in cui la componente artificiale può assumere il controllo dell’altra e manipolarne a piacere le funzioni. Così, in nome della libertà, subdolamente renderà l’uomo schiavo di apparati tecnologici, incatenerà la sua mente a dimensioni virtuali.
Nello stesso tempo, mentre predica la retorica del “tutto è uguale”, dove in una globale uniformità si azzera ogni differenza di razza, sesso, religione, cultura, il satanismo persegue il progetto di una società della disuguaglianza radicale, dove è giusto che la massa degli schiavi subumani, robotizzati, sia soggiogata fisicamente e mentalmente da un’aristocrazia satanista che ne decide il destino attraverso strumenti di sorveglianza e totalitarismi repressivi.
Teoricamente possiamo dunque distinguere tra satanismo attivo e passivo, ovvero tra chi si impegna per imporre alla società prospettive intellettuali e prassi sataniche e chi vi si adegua per inerzia e debolezza. Tra chi partecipa con piena intenzionalità a progetti diabolici e chi vi aderisce mediante forme di assenso subliminale, ignaro delle conseguenze. Tra gli estremi v’è un continuum composto di numerosi livelli e sfumature, ma i manipolatori e i manipolati partecipano in misura altrettanto fondamentale al degrado della società.
Ne troviamo il paradigma nella recente emergenza sanitaria. Il carattere pseudologico dell’intero discorso pandemico, il suo essere menzogna irriducibile e sistematica, non lascia dubbi sulla sua matrice satanica. Tuttavia, se è vero che l’apparato mediatico è stato l’organo privilegiato di una massiccia falsificazione, è vero anche che senza la collusione di masse intimamente succube i mass media non avrebbero potuto contraffare così facilmente e impunemente la realtà.
Di fatto, il satanismo non si limita a mentire, ossia a trasmettere informazioni false, ma arriva a vanificare la struttura stessa della comunicazione, spezzando i vincoli tra i segni, i significati e i referenti reali del discorso. È proprio per questa intima scissione tra parola e realtà che definisco il covidismo una pandemenza. Tutta la sua struttura ha infatti caratteri demenziali, laddove per ‘mente’ si intenda la facoltà di interpretare il reale secondo criteri di verità, di “adaequatio rei et intellectus”, e per ‘demente’ la mancanza di tale funzione cognitiva.
La coerenza del racconto covidista non implica infatti una relazione tra linguaggio e verità oggettiva, ma tra segni e altri segni che sono esentati da un rapporto cogente con la realtà. Non è assurdo in sé ma privo di significato reale. Le attuali, gravi ingiustizie sociali, nascono dalla natura designificante delle entità linguistiche che sembrano giustificarle, cioè da una serie di affermazioni legate tra loro da nessi formali ma totalmente false.
Questo accade normalmente nella fiaba o nel mito, la cui struttura può essere perfettamente logica pur poggiando su premesse immaginarie. Il covidismo, in modo simile, è un enunciato complesso, che possiede apparenza persuasiva, in cui i vari segni che formano il discorso ‘pandemico’ creano vincoli di senso e di valore senza tuttavia rinviarli a un fondamento reale.
“Il covid uccide … la mascherina protegge … il vaccino salva la vita … il non vaccinato è pericoloso …” ecc., sono affermazioni dogmatiche in cui il rapporto tra soggetto e predicato è espresso in forma apodittica. La loro presunta ‘verità’ non si basa su una regola di oggettiva e verificabile evidenza ma su dati statistici cui si dà valore dimostrativo in forza di premesse che già contengono implicitamente le conclusioni.
È un circolo autoreferenziale in cui i segni non richiedono una concreta comprensione del loro contenuto. Il loro scopo è indurre una serie di riflessi condizionati. Come stimoli pavloviani, determinano specifici comportamenti ed emozioni. Se il segno stesso è la realtà, non serve mostrarne l’inconsistenza, ovvero la sua mancanza di senso, perché il segno è evidenza autosufficiente. È icona, slogan, parola d’ordine, parte di un castello di carte che sembra poggiare sul nulla. In realtà si regge sulla risposta neurologica di un’opinione pubblica ai messaggi provenienti dalle cosiddette fonti ‘ufficiali’.
Di fatto, dobbiamo supporre nella massa un livello di consapevolezza e di lucidità inferiore a quello di chi ascolta una fiaba. Se Cappuccetto Rosso porta da mangiare alla nonna nel bosco, questo è credibile e logico. Se il lupo se la mangia questo è ancora credibile. Se la bambina non distingue il lupo dalla nonna, oppure se il cacciatore estrae ancora vive la nonna e la bambina dallo stomaco del lupo, non è più credibile ma può essere ancora logico. Occorre una sospensione del nostro spirito critico per credervi, ovvero il consentire l’irruzione in noi di elementi fantastici. Ma la fiaba deve avere una sua interna coerenza per essere credibile.
Così, il bambino può accedere alla dimensione fiabesca consapevolmente, senza perdere il senso della realtà e pretendendo il rispetto della logica. Al contrario, chi oggi crede nelle mascherine, nei vaccini, nei tamponi, nei grafici, nelle percentuali ecc., non solo abdica al senso di realtà ma rinuncia anche alla logica. Se così non fosse, la catena dei segni pandemici si sarebbe spezzata da tempo, perché molti sono gli anelli deboli, dove emergono contraddizioni, antinomie, dove la ricerca di inferenze valide viene frustrata.
Tuttavia, nonostante la sua intrinseca incoerenza, la gente continua a percepire il racconto pandemico come credibile e logico, consentendo alla sua struttura fiabesca di creare un fitto reticolato di ‘idola tribus’, di pregiudizi sociali, morali, intellettuali cui adeguarsi quasi inconsapevolmente, bloccando la coscienza in forme deliranti di virofobia, vaccinofilia ecc.
Il pensiero collettivo diviene una massa inerte e passiva, che si può condurre qua e là come un docile gregge. Magari questa massa gregaria fosse agitata da sentimenti satanici, ribelli! Invece il loro satanismo è solo un belante e molle conformarsi al male. Da un’emergenza sanitaria si passerà a un’emergenza climatica, energetica, economica ecc., scivolando senza soluzione di continuità tra una fiaba e l’altra, incuranti della ragione e della realtà.
La pandemenza è infatti un fenomeno generale che trascende il pandemismo. L’intero ambito della comunicazione è ormai ridotto a una polluzione di segni fallaci che hanno tolto significato al sesso, all’amore, alla salute, alla bellezza, alla natura, al lavoro dell’uomo. La realtà è imprigionata in un magico cerchio linguistico, retto da un concetto di ‘dimostrazione scientifica’ che può avallare ogni follia.
Tale ablazione di significato colpisce soprattutto la nostra struttura antropologica, privandola di ogni implicazione metafisica. Spogliato della sua dimensione spirituale, l’uomo resta confinato nel dissidio irrisolvibile tra una razionalità astratta e una sensualità irrazionale. Manifestazioni sempre più patologiche vengono progressivamente assimilate a costumi e desideri legittimi. Le aberrazioni morali e intellettuali non sono semplicemente accettate ma esibite con orgoglio satanico, in una parodia di ribellione cui in realtà il Potere sorride compiacente.
Così, paradossalmente, è agli uomini spirituali che tocca oggi d’esser satanici, anime ribelli. È colui che spregia i miti del progresso, della scienza, della tecnologia, ad essere oggi l’angelo caduto, il vero sovversivo. È su di lui che cade l’anatema della cultura moderna, è lui il Nemico proscritto e maledetto. Perché è chiaro che il suo satanismo è una minaccia per Satana stesso e per gli idoli adorati dal mondo.
Non conformarsi, rinnovare la mente, disubbidire a leggi ingiuste, restare fedeli a un’eredità spirituale che si oppone alla crisi dell’uomo moderno e alla sua secolarizzazione, questa è oggi la vera rivoluzione. La possibilità di questa metanoia non è subordinata a una religione, una tradizione, una cultura. È una forza che pulsa nelle vene della storia, una linfa indistruttibile pronta a generare nuove forme, che scorre in chiunque si metta al servizio dello spirito.
Tale rinnovamento non è un processo puramente volontario, è anche un lasciarsi trasformare, come il bruco diventa farfalla. Dobbiamo aver fede in una vis sanatrix dello spirito che può cambiare il mondo. Non sono richiesti atti di eroismo ma gesti di dedizione alla verità e alla libertà. Riconoscere che la vita non è retta dall’energia di leggi cieche e violente ma da quella di un amore gratuito e creativo. Quindi, seminare oggi alberi anche se saranno altri a godere dei loro frutti domani. E tornare alla bellezza di una semplicità naturale, di un volto umano-divino, senza farsi sedurre dalla bellezza del diavolo.
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