10 Ottobre 2024
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La chimera dei progressisti

Di Enrico Marino

Un tempo le donne barbute le esibivano nei circhi ed erano considerate dei poveri scherzi di natura, da guardare con curiosità e soprattutto da compiangere. Se fossero davvero povere donne o maschi travestiti per esigenze di spettacolo forse non si saprà mai, ma in qualche vecchio numero del Guinness dei Primati magari se ne trova qualche fotografia.

Ma fenomeni del genere si mettevano in fila accanto a quelli dei gemelli siamesi e delle loro consorti catalogati tra le stranezze della vita. Ora invece, il Festival della Canzone Europea ha sdoganato completamente il settore, data la clamorosa (e pure annunciata!) vittoria dell’austriaco Tom Neuwirth, in arte Conchita Wurst, di professione cantante e, come si dice nell’ambiente, «drag queen». Questo essere ha infatti convinto l’intera Ue con la sua voce e, soprattutto, con il suo look eccentrico.

Si sa che per secoli sono esistiti cantanti del genere, solo che allora li chiamavano «castrati» per il semplice fatto che un’operazione chirurgica li aveva resi eunuchi al solo scopo di farne delle eccezionalità canore. Infatti, cantavano da soprani ma con corde vocali maschili, cosa che li rendeva ricercatissimi per il melodramma e i cori di voci bianche, tant’è che l’ultimo rappresentante di quell’antico «gender» morì nei primi decenni, addirittura, del secolo scorso.

Ma chi ha vinto il Festival di Copenhagen non è affatto un castrato, perché non ha subito alcuna operazione. Gli ormoni ce li ha tutti, tant’è che porta la barba. È solo un travestito: si veste e si trucca da femmina fatale ma porta la barba e quando si presentava «da maschio» aveva il volto rasato e i capelli corti. Dunque, probabile che il tutto vada rubricato solo sotto la voce «cosa posso inventare perché mi si noti?», anche perché la fantasia umana ha i suoi limiti. E visto che di questi tempi il diverso e l’ambiguo sono coccolati ed esaltati, il furbetto ha trovato il momento giusto e l’onda giusta e s’è ingegnato a cavalcarli con destrezza e un non comune sprezzo del ridicolo centrando un obiettivo di forte impatto mediatico. Infatti qui non si discute delle doti vocali di Conchita o della bellezza della canzone, perché, se davvero le une e l’altra erano così straordinarie, sarebbero state comunque subissate di voti. Il sospetto è che non sarebbero state subissate allo stesso modo.

Da qui la necessità spasmodica di inventarsi uno strattagemma per carpire l’attenzione di pubblico e critica e concentrare il riflettore su uno in mezzo a decine di concorrenti. A conferma, bastava scorrere le agenzie e gli articoli di giornale dei giorni seguenti per rendersi conto che gli elogi e le critiche non parlavano affatto di canzoni e voci, bensì di «tolleranza», «libertà di espressione», «diritti Lgbt» o, per converso, contenevano sarcasmi a tema. Come volevasi dimostrare, se Tom Neuwirth non si fosse inventato i lamé e la barba nessuno se lo sarebbe filato e al massimo avrebbe guadagnato un onesto posto in classifica. La dimostrazione l’abbiamo avuta, al solito, nel web, vero luogo di libertà d’espressione ed è stata una passerella di foto e commenti tutti incentrati sulla diversità, la libertà, la tolleranza e amenità simili. Il mieloso e untuoso perbenismo dei radical, in questa occasione, ha dato un’altra grande dimostrazione di quanto possa essere idiota e contro natura.

Se ne deduce che se un domani comparissero sulla ribalta un Minotauro o un Centauro o una Sirena i progressisti sarebbero i più felici del mondo per poterli considerare come fenomeni assolutamente normali, da trattare nell’ambito della poliedrica differenziazione dei generi ai quali riservare particolari attenzioni e conferire diritti e garanzie nel nome dell’eguaglianza e della libertà.

Ha vinto il gender, dunque, non la canzone né la voce, tant’è che allo stesso vincitore-vincitrice, al momento della premiazione, è scappata un’esclamazione: «We are unstoppable!», «Siamo inarrestabili!». E indovinate a chi si riferiva. Infatti, l’urlo è subito diventato uno slogan su Twitter (o hashtag «di tendenza», come si usa dire). Con la piaggeria, il conformismo e il subdolo buonismo che ci distingue, prepariamoci, perciò, a ospitate televisive (magari da Fazio o dalla Bignardi) di Tom/Conchita, per chi se lo/la fosse perso/a in eurovisione. Tranquilli, comunque c’è sempre il telecomando. 

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