7 Ottobre 2024
La via della Seta

La contraddizione: Scudo e Lancia – Renato Padoan

La mentalità dei cinesi, vademecum per una trattativa

 

Così accade oggi, ai nostri giorni come si dice, che grazie alla mondializzazione ci si trovi a trattare con i cinesi. Con il trionfo della triade massonica di libertà, eguaglianza e fraternità non dovrebbero esserci problemi. Se insorgono dei problemi non è certo per l’eguaglianza! E’ oramai assodato che gli uomini sono tutti eguali e non si può certo prendere in considerazione seria per i cinesi il fatto che abbiano gli occhi a mandorla e la pelle che dà sul giallo. Se poi si commercia con loro quale altro segno di fratellanza migliore di questo si dovrà invocare. Il problema che insorge sembra allora essere quello della libertà ergo i cinesi a differenza di noi non sono liberi. Liberi di che cosa o da che cosa? Sarà questo il tema principale dell’esercizio!

Quando ci furono le sommosse di Piazza Tien An Men mi sforzai di leggere tra i cartelli che si ostentavano in corteo l’equivalente ideografico di libertà, dacché era questo a nostro dire il motore della rivolta, quell’ideogramma che potesse corrispondere all’incentivo della sommossa. Lo identificai nella coppia Tzu Jan che può tradursi con “da sé”. Tzu è il naso come si dicesse a cominciare dalla punta del naso. Si credeva infatti che il feto si sviluppasse dalla puntualità dell’embrione come dalla punta di un naso. Questo sarebbe stato uno sviluppo non condizionato dall’esterno ma il prodursi di un alcunché senza interferenza esterna, da sé insomma. Libertà sarebbe in questo caso spontaneità agente senza condizionamenti dall’esterno.

Questa libertà sembra già ora essere diversa da quel che nell’occidente s’intende.

La nostra libertà è fondamentalmente libertà di movimento o libera motilità. Nel nostro sistema punitivo la punizione per eccellenza e peraltro unica e sola continua ad essere la privazione della libertà di movimento, per cui non si è liberi di andare dove si vuole, e pertanto il carcere, la dimora fissa, il braccialetto e così via.

Una persona è libera di andare dove vuole. Se non può andare dove vuole non è più libera.

La libertà è senz’altro un requisito più primitivo dell’umanità.

I popoli cacciatori erano senz’altro più liberi dei popoli agricoltori.

I nomadi sono congenitamente liberi di muoversi secondo l’estro del proprio bestiame pascolante.

Gli zingari sono un popolo sovranamente libero a tal punto che non si registrarono casi di tradimento da parte loro nei campi di concentramento ma solo suicidi. Persuadere gli zingari alla stanzialità sembra essere una sorta di contraddizione in termini.

Dalla libertà di movimento si trae un’altra conseguenza che è quella del rifiuto all’asservimento a quella macchina che non sia essa stessa un mobile come si ha invece nella fabbrica. La libertà di movimento presuppone l’esclusione del lavoro vincolato alla risorsa energetica, al punto di produzione come un mulino o un opificio comunque energeticamente alimentato.

Insomma, è con l’avvento dell’agricoltura e dell’industria che la mobilità, quasi motilità degli umani s’interrompe salvo a riprendersi quasi ludicamente nell’irrequietezza turistica che altro non è se non la compensazione della perdita di libero movimento.

 

 

La libertà, pertanto, si declina in due modi diversi ed opposti: libertà come iniziativa propulsiva del singolo, spontaneità creativa e così via oppure come libertà di movimento, di trasporto e così via.

La libertà invocata dai cinesi non era la nostra libertà di movimento ma un’altra. Le ragioni storiche di una tale libertà invocata potrebbero ricercarsi nel fatto che i cinesi non furono particolarmente inclini alla fuga e all’esplorazione del mondo proprio perché la loro civiltà fu fin da subito si direbbe quasi terribilmente sedentaria ed agricola!

Il movimento per i cinesi, per la loro cultura non può che essere il trasporto delle loro mercanzie o il diletto della colonia, intendendo per colonia la riproposizione di una chiusura altrove di un qualche distretto riproduttivo sia in senso genealogico che industriale o industrioso.

Non vi è nulla che possa essere più contrario a una tradizione come quella cinese di uno stile di vita nomade o zingaresco.

Se l’industria è l’industriosità che coniuga lo stanziale della fabbricabilità con le risorse locali o importate da fuori non vi è nulla che sia così rispondente alla matrice agricola della Cina come il proprio modello di sviluppo attuale moderno e ancestrale.

 

Se ci si pone di fronte a quell’altro sia per cooperare che per competere è giocoforza chiedersi come colui che sta di fronte a noi la pensi!

Pensare quel che quell’altro pensa è imprescindibile.

Una tale circostanza che chiunque ammetterebbe di fatto urta però contro il principio solenne dell’eguaglianza degli umani tra di loro!

Che senso può avere chiedersi come la pensano i cinesi se non c’è nessuna differenza tra noi e loro e così per gli africani e gli arabi.

Nessuno degli scienziati che hanno fatto di tutto per abbattere scientemente e scientificamente ogni differenza tra gli umani in termini di razza è giunto a demolire la differenza delle culture e delle mentalità come prima loro espressione fattuale. E su qual mai sedimento genomico si fonderanno le differenze culturali se vi è continuità tra l’inorganico e l’organico?

Siamo ancora diversi per mentalità perché la mente continua ad essere il luogo privilegiato della differenza. Siamo infatti tutti concordi ad ammettere che abbiamo organi interni e propaggini esterne decisamente simili ma guai a subentrare nei recessi della mente dove ciascuno non può che essere diverso da colui che gli sta di fronte!

La mentalità appartiene al novero delle differenze ed è quanto meno conveniente chiedersi in che cosa la mentalità dei cinesi differisca dalla nostra per meglio competere e meglio trattare.

Nell’illustrare il portato della storia e della civilizzazione e con esso la divergenza in merito al principio della libertà si è abbordato più che penetrato il tema della differenza dei cinesi dal resto.

Questa investigazione non può essere che parzialmente originale e per la parte meno originale deve rivelarsi il debito.

Il debito principale è con Granet e il suo “Il pensiero cinese”. Insieme a Granet vanno citati Fung Yun Lang e Ruth Benedict la quale con il suo “Il crisantemo e la spada” si occupa dei giapponesi, i quali però in termini di cultura vanno considerati come una variante dei cinesi. Per chi volesse riandare a queste mie fonti un ripensamento di queste opere alla luce di quanto sta ora accadendo potrebbe servire al programma quivi adombrato.

La mentalità va intesa come una sorta di volgarizzazione e per taluni aspetti di semplificazione vantaggiosa di principi che attingono a una profondità più radicale se non addirittura essenziale.

La mentalità di un cinese è essenzialmente diversa e pertanto contrapposta e non propriamente assimilabile. I gesuiti che per primi ebbero a che fare con i cinesi in modo non aneddotico o personale se ne accorsero subito per cui convennero che l’opzione migliore fosse quella di “cinesizzarsi” lasciando al tempo sterminato della conversione universale la soluzione del problema.

Il pensiero cinese donde la mentalità che informa un cinese consiste nel fatto che per un cinese il discontinuo della contraddizione non costituisce un problema. Ne consegue che nemmeno l’andar d’accordo o il non andar d’accordo costituisce un problema. È giusto chiedersi come mai possa accadere tutto questo! È evidente però che il problema si pone a un non cinese e non a un cinese. Siamo noi in certo senso che ci chiediamo come mai loro non sono come noi. Per loro che noi siamo diversi da loro non può porre a priori alcun problema. Questa diversità oppositiva è ineludibile e inevitabile e conseguentemente può portare sia alla distruzione che alla cooperazione senza che ciò costituisca motivo di scandalo.

I cinesi non hanno elaborato una mentalità, un modus cogitandi come il nostro che non è peraltro diverso da quello musulmano, in parole povere non hanno inventato e si presume che non inventeranno in un futuro prossimo venturo la nozione di un Dio unico verso cui tutto debba convergere o da cui tutto diverga.

Il pensiero cinese è privo di convergenza divergenza ma è percorso da una varietà congenita di direttive o direzioni parallele. Ne sarebbe prova che presso i cinesi ebbero sviluppo talune matematiche come il calcolo matriciale e non altre nonostante l’ammirazione che provarono per la geometria euclidea.

Il pensiero cinese donde la mentalità è inesorabilmente simmetrico. L’evidenza fattuale e teorica di tutto ciò la si ha nella forma Ying Yang donde l’apologo dello Lancia contrapposta allo Scudo come emblema della contraddizione Mao Tun.[1]

I cinesi sono rimasti e continueranno ad essere pagani nel senso di dualisti e pertanto politeisti a differenza di un occidente e di un mondo arabo musulmano che non può più smettere quest’abito monoteista che è la conformizzazione del pensiero non cinese.

Sarebbe assai più facile per un animista sopravvissuto pellerossa o per un seguace delle fantasmagorie azteche trattare con un cinese di quanto non lo sia un monoteista vincolato al principio di una verità unica, sola e ineludibile.

 

Quel che uno pensa che è quel che quell’altro con cui si tratta pensa non è tanto la cosa quanto il modo ovverosia il modus cogitandi in tal caso modus agendi di colui che pensa.

Quel che si pensa non è l’oggetto ma è la forma che il pensare conferisce all’oggetto.

Dentro la testa di quell’altro si può ben pensare che non ci stia proprio niente. Non ha senso penetrare una testa per sapere quel che ci sta dentro, è sufficiente aspettare che da quella testa esca un qualcosa e quel qualcosa che uscirà sarà esattamente quel che ci stava dentro.

Non è nemmeno il caso di invocare la formula del comportamentismo per dichiarare che non vi è alcun segreto dentro perché la convergenza dell’esternità verso la solitudine di un’anima unica e irripetibile non può essere oggetto di nessuna transazione commerciale.

La mentalità cinese non converge né diverge ma si distribuisce dappertutto come le pedine dei Wei Chi sulle intersezioni del goban, cioè della scacchiera delle interazioni mondiali senza che si debba attendere la venuta di un Messia o del Paracleto ma soltanto la trascendenza imminente di una rivoluzione biologica.

I cinesi sono inesorabilmente dipendenti sudditi o sovrani, dipendenti dall’alto o dal basso, la libertà dell’eguaglianza che è la sola possibile trovasi soltanto nel legame di setta che è quello che informa storicamente l’amicizia e ora il partito comunista

Da ultimo si dovrebbe dire per essere maggiormente meticolosi senza complicare che la predilezione cinese per la simmetria si dissimmetrizza nel Tao che è ordine e nel ciclo in cui si contemperano le forme opposte della processione e della ripetizione.

 

 

 

 

 

 

 

Che i cinesi siano diversi da noi e che pertanto pensino in modo diverso da noi sembra del tutto ovvio. Ma che i cinesi pensino diversamente da noi perché non potrebbero pensare diversamente da noi è assai meno ovvio. Per meglio illustrare l’asserzione e l’assunto si confronti un martello con una pinza. Il martello è fatto per conficcare i chiodi e la pinza per recidere un filo di ferro, stringere o allentare un bullone. Prensione della pinza versus percussione del martello. Chi ha un martello non è indotto a stringere un bullone e chi ha una pinza con qualche difficoltà potrebbe ancora conficcare un chiodo. Pensare è adoperare una strumentazione peculiare. Non si può pensare in modo rarefatto, spirituale o immateriale. Lo stesso concepire presuppone un uomo e una donna. I cinesi pensano per mezzo di una strumentazione ideografica che è il portato di una capacità metaforico-artigianale perdurante. Coloro che scelsero il suono per pensare, pensano in modo diverso. I cinesi cominciano fin da piccoli a pensare in modo diverso. Se questa parabola il cui impianto concettuale risale ai primordi della letteratura filosofica, viene ora tratta da un testo di facile lettura per le scuole elementari cinesi… ebbene la faccenda sta proprio in questi termini! Si potrebbe intitolare la parabola dell’armaiolo sciocco. La parabola è in calce alla dimostrazione e il lettore sospenderà la comprensione di quanto dico leggendo la parabola. Questa parabola funziona nello stesso modo in cui funziona l’inizio della Critica della Ragione Pura di Kant. Ricordo e riassumo quivi il passaggio. Kant immagina che la colomba della ragione che vola alto opponendo la forza delle sue ali alla resistenza dell’aria potrebbe illudersi per la fatica espressa da una simile resistenza di volare più in alto e meglio se non ci fosse l’aria a contrastarla. E invece la colomba della ragione non volerebbe affatto, non funzionerebbe ragionevolmente se non si attivasse per mezzo della concretezza resistente di quegli schemi che sono le forme a priori dello spazio e del tempo. L’armaiolo sciocco pensa di poter produrre uno scudo perfetto e/o una lancia perfetta. Ciò è impossibile! La lancia esiste in funzione dello scudo e lo scudo esiste in funzione della lancia. Il nostro pensare è funzione, fare per mezzo di strumenti. Oltre la funzione vi è il mistico, ma il mistico non lavora, non vive e non muore. Coloro che oppongono la guerra alla pace e sognano una pace sempiterna sono come l’armaiolo sciocco o la colomba irragionevole. I cinesi non sono mistici. I cinesi sono con i piedi per terra, sono pragmatici e non possono non esserlo per come la loro mente lavora. I cinesi non oppongono valore a disvalore. Essi sono così e rimangono così fin dai primordi

Renato Padoan

Bibliografia:

Ehr Sheng: Almanacco di Strategia Trascendentale – Editore Amazon

Scott A. Boorman: GLI SCACCHI DI MAO strategia rivoluzionaria del marxismo cinese alla luce di un antichissimo gioco: il wei-ch’i. Editore Guaraldi Rimini, 1973

Immanuel Kant: Kritik der reinen Vernunft -1966 Philipp Reclam jun. GmbH & Co. Stuttgart. Printed in Germany 1993

Marcel Granet: La PENSEE CHINOISE – Edition Albin Michel – Paris 1950

Fung Yu-Lan: STORIA DELLA FILOSOFIA CINESE Oscar Mondadori 1975

Ruth Benedict: IL CRISANTEMO E LA SPADA 1991 – MILANO – RIZZOLI.

 

NOTE

[1]L’ideogramma che si legge Mao rappresenta una lancia-picca lunga, tagliente e uncinata. L’Ideogramma che si legge Tun rappresenta uno scudo grande atto a coprire quasi l’intera persona con uno spiraglio.

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