8 Ottobre 2024
Islam Storia delle Religioni

La critica e la letteratura araba – Marco Calzoli

Il testo assume il suo significato nel momento in cui viene recepito dal destinatario, come se ci fosse una sorta di patto di cooperazione tra testo e destinatario. Il lettore, in questo senso, non è qualcuno che recepisce passivamente il testo ma coopera attivamente alla costruzione del senso.

L’autore di un testo, nel momento in cui scrive un testo, lo scrive in funzione del destinatario, e quindi Eco ipotizza che ci sia un “lettore modello” del testo di un dato autore.

“Lettore modello” vuol dire che questi abbia determinate conoscenze, presupposizioni, che possa esprimere determinati sentimenti rispetto al testo che l’autore sta scrivendo. È un lettore ideale del testo di partenza. Si basa su quelle che sono le conoscenze non solo implicite ma anche esplicite del lettore del testo di un dato autore.

Il problema della traduzione per il traduttore è ipotizzare un lettore modello che non è detto che debba per forza coincidere con il lettore modello del testo di partenza. L’autore plasma il messaggio non solo in termini di contenuto ma anche sulla base di ipotesi su conoscenze, convinzioni e aspettative dei destinatari.

L’autore attiva la conoscenza pregressa del lettore (frames o scripts). I frames sono delle conoscenze condivise o relative a determinate situazioni che nel momento in cui si narra qualcosa, l’autore immagina che vengano attivate nel lettore. Es: se un romanziere sta scrivendo un giallo, presuppone che il suo lettore abbia conoscenza di cosa siano gli indizi, che sappia cosa si svolge su una scena del crimine, e così via.

Che cosa succede in traduzione? Anche il traduttore deve ipotizzare il suo lettore modello. Questo lettore modello deve essere concordato con chi commissiona la traduzione; è questi che deve, dunque, comunicare al traduttore chi è il destinatario finale della produzione. Generalmente questo tipo di informazioni vengono date dal committente all’inizio del lavoro (o comunque il lettore se le procura). A questo scopo è importante il translation brief. Esso è un documento che il traduttore può redigere o comunque corrisponde a tutta una serie di informazioni che il traduttore deve ottenere dal committente prima di cominciare il lavoro.  Il translation brief è un documento che contiene informazioni su chi commissiona il testo, qual è la funzione, chi è il destinatario, time of reception (tempo in cui è prevista la ricezione di questo testo da parte dei destinatari), posto e scopo. Il translation brief deve essere definito sia per il testo di partenza che per il testo di arrivo. Altre informazioni riguardano: il destinatario, lo strumento, il contenuto del testo, le principali presupposizioni nel testo, se ci sono convenzioni, illustrazioni, lessico e il grado di letteralità del testo. Lo stesso deve essere definito con il committente per quanto riguarda il testo di arrivo.

Nel translation brief è dunque fondamentale definire il destinatario del testo. È nel translation brief che il traduttore negozia il lettore modello della traduzione. Le possibilità per il traduttore sono varie. Nel momento in cui si ha un elemento culturale, si può decidere di:

 

  • aggiungere una nota esplicativa
  • ricorrere a un procedimento chiamato globalizzazione, ovvero sostituzione di un elemento problematico con uno noto al lettore (ad esempio, cibo italiano non conosciuto nella lingua di arrivo, si può utilizzare un iperonimo)
  • omissione
  • localizzazione, ovvero sostituire un riferimento culturale del testo di partenza con uno equivalente nella lingua di arrivo (ad esempio, sport nazionale italiano è il calcio, tradurre il concetto di sport nazionale negli Stati Uniti significherebbe riferirsi al football americano).

 

Un testo può essere studiato in vari modi proprio grazie al fatto che il lettore determina ogni volta il significato dello stesso. quindi nel corso della storia le grandi opere della letteratura sono state lette secondo gli “occhiali” dell’epoca, cioè secondo quanto si aspettavano i lettori di quel torno storico.

La critica romantica cercava all’interno del testo ‘’lo spirito di un’epoca’’, ma in esso non c’è solo quello che è l’effettivo contemporaneo di quell’epoca ma anche ciò che è ancora subalterno, cioè che non si è manifestato completamente. Si tratta del tentativo di comprendere con la critica di un’opera (non solo letteraria) lo spirito di una nazione o dei suoi componenti.

Questa Idea di arte come espressione della sensibilità di determinato luogo o momento e di un determinato popolo portava i critici della prima METODOLOGIA STORICO ROMANTICA a mostrare attenzione per il contesto storico-culturale entro cui l’opera d’arte sorge. ‘’L’arte è fatto sociale, un risultato della coltura e della vita nazionale’’ (De Sanctis).

Questo critico aveva già chiaro il principio che l’arte non nasce solo nella mente degli artisti ma è espressione di tutta una vita sociale, che comprende altresì chi non tratta esplicitamente di arte.

La critica romantica guardava maggiormente ai contenuti e non alla forma in quanto tale critica era interessata a possibili valenze morali del contenuto artistico e a cosa ci diceva su storia e vita di un determinato popolo.

Per De Sanctis è possibile trarre tutto ciò già da uno scritto di un singolo scrittore o intellettuale: attraverso l’analisi di una singola opera si può dipingere un momento storico e i sentimenti degli uomini al tempo, in quel momento storico. Nel saggio intitolato L’uomo del Guicciardini (1869), De Sanctis connetteva ogni singolo intellettuale (e uno degli scritti di ciascuno) a un intero periodo storico. Con Guicciardini emerge sia la grandezza italiana (grandi idee e scritture raffinate) ma anche la debolezza: il suo essere sotto il dominio straniero. Guicciardini esprime perfettamente il suo tempo, nel quale domina l’individualismo ma non solo in lui bensì nello spirito di tutta l’Italia del periodo. Questo individualismo non è presentato in maniera negativa bensì diventa sapienza, è regola di vita badare al proprio particolare, ‘’salvarci la pelle’’, stare con il più forte.

La critica storico romantica domina quasi fino al 1880, ma nel frattempo c’erano anche di altri tipi. Per esempio, la critica positivista tendeva a vedere nella letteratura un riflesso delle leggi scientifiche. Essa è una scuola ancora viva per via della attuale ricerca delle fonti in ciò che chiamiamo ‘’filologia’’. Tuttavia la critica positivista non esiste più relativamente alla parte dell’esagerazione che portava a leggere l’opera come riflesso della condizione fisiologica dell’autore: infatti, estremizzando, si pensava che l’opera d’arte d’arte fosse collegata a determinati elementi fisiologici del letterato. Vi era l’idea che si potesse arrivare a comprendere un testo come si arriva a comprendere un testo scientifico. Il testo veniva interpretato secondo la fisiologia dello scrittore, secondo considerazioni scientifiche ad esempio la salute mentale o sfociando in estremi (ad esempio, il tema della sofferenza di Leopardi sarebbe derivato dalla sua gobba).

Contro questa critica si ebbe il contributo di Croce (1908): il ruolo della critica è intervenire quando l’opera presenta delle impalcature di origine allegorica, filosofica, morale e non è pura intuizione lirica. Per Croce quindi la vera arte non necessita della critica. La vera arte, infatti, è ‘’intuizione lirica del sentimento‘’.

Se vogliamo connetterci all’idea che animava la critica romantica, spesso le letterature orientali sembrano esprimere lo spirito di un particolare popolo.

Se per esempio consideriamo la letteratura araba, ancora ai giorni nostri vengono trattati temi su cui discutevano i sapienti nel Medioevo arabo o ancor prima Maometto nel Corano (VII d.C.).

La letteratura araba-musulmana è giunta fino a noi attraverso documenti scritti, gran parte dei quali sono ancora allo stato di manoscritti. Si è sviluppata, infatti una grande relazione fra trasmissione orale e scritta, infatti spesso testi tramandati mediante la scrittura dovevano essere integrati da dei commenti che rimanevano in forma orale. Questo spiega le molte varianti delle versioni manoscritte dello stesso testo.

Nella letteratura araba gli studiosi usano distinguere due grandi ambiti: la Khassa era l’elite che produceva letteratura dotta e la ‘amma era il popolo che produceva una letteratura popolare ma non lontana da quella dotta.

Non bisogna confondere la nascita dell’Islam con la nascita del popolo arabo. Il popolo arabo parte dall’attuale penisola arabica, gli arabi svolgono un’attività di carovanieri e l’elemento beduino è fondamentale anche se sono comunque importanti anche quelle città, dove si sviluppano dei fenomeni letterari, tramandati oralmente. La produzione letteraria dell’epoca preislamica è prettamente orale. Anche il Corano è un insieme di detti e di esperienze che vengono tramandate oralmente e solo dopo fissate per iscritto.

Il periodo della jahiliyya, ovvero “epoca dell’ignoranza”, va dal 500 fino al 622. Viene definita epoca dell’ignoranza per l’assenza dell’Islam, del Profeta Maometto, che giungeranno per porre ordine. È considerata, tuttavia, LA CULLA DELLA LINGUA ARABA PIÙ PURA, una riserva di poesia, di grammatica, di lessicologia.

L’epoca preislamica è soprattutto poesia e la poesia classica, antica, è detta qasiyda (s enfatica), termine polisemico che varia a seconda del contesto. Il significato principale è quello di “mirare a”, “aspirare a qualcosa”. È un termine arabo che si usa ancora nell’arabo letterario e anche in quello parlato.

L’idea è che la poesia è una struttura che si pone di dire qualcosa, si pone un obiettivo. Plurale qas’id. È un termine, un lemma della letteratura araba estremamente importante, ancora oggi si parla in generale di qasiyda per definire le poesie, ode o poema (non come genere letterario).

Il termine poesia deriva da un’altra radice, sha’ra, “sentire” nel senso soprattutto di sentimento ma anche di percezione, c’è l’idea che chi fa poesia è in grado di prevedere il futuro, come un profeta. Il poeta è colui che sente là dove gli altri non sentono, non è una persona come gli altri.

Ma la qasiyda è anche un genere letterario. Le caratteristiche formali, la struttura della qasiyda quale genere letterario, è molto rigida, ha dei canoni intoccabili che non sono mai state messi in discussione fino ai poeti moderni di inizio ‘900 e in alcuni ambienti ancora si scrivono qasiyda in senso classico. Ora gli arabi scrivono soprattutto in prosa ma anche poesia in versi sciolti. La qasiyda, al contrario, è una poesia monorima.

Con l’avvento del Corano fino alla formazione dell’impero si inaugura una nuova epoca in cui la letteratura viene sottoposta ad una pressione del nuovo ordine sacro, quindi c’è una frattura, c’è chi accetta solo la poesia che parla di Allah, che parla di Islam.

ETÀ DELL’ORO: è il periodo che va dal 622 al 661, la prima epoca Umayyade, segnata dalle conquiste militari e dall’affermazione dell’Islam oltre i confini dell’Arabia Saudita. Si parla di califfi “Ben Guidati”, questi vengono miticizzati, quindi storia si confonde con mito. È il periodo dell’Islam nascente, un po’ latente ma con alcune produzioni poetiche.

PERIODO UMAYYADE successivo: va dal 661 fino al 750, abbiamo una grande diffusione del ghazal (nato dalla qasiyda poi evoluto come genere a parte), cioè della poesia d’amore, questo perché si passa alla letteratura delle corti califfali, che si relaziona alle necessità di corte, si deve conformare alle richieste dell’autorità califfale, si parla, quindi di poesia di corte o di amore. Viene messo per iscritto il Corano, che per alcuni è il primo esempio di prosa.

EPOCA ABBASIDE: 750 – 1258, è il periodo medievale del mondo musulmano. Dopo la presa di Baghdad da parte degli abbasidi la dinastia Umayyade continua in Andalusia, quindi abbiamo a questo punto una separazione della storia letteraria d’Oriente e quella di Occidente

Il Canone antico della letteratura araba comprende età dell’oro, epoca umayyade e epoca abbaside. Il picco della produzione letteraria si ha proprio con gli abbasidi.

Possiamo dividere il periodo abbaside in 4 fasi:

 

  • 750 – 847: il centro della vita letteraria è l’Iraq, in quanto Baghdad diventa capitale del mondo arabo. Forti sono i rapporti con il mondo beduino, infatti molti letterati raccoglievano dai beduini il materiale indispensabile per la loro cultura. Molti si trasferivano con loro nel deserto, per raccogliere il loro patrimonio soprattutto lessicale. I califfi vengono descritti come affamati di sapere, appassionati di letterature. La maggior parte dei poeti ha per mecenati, protettori gli stessi califfi oppure alcuni visir. La produzione poetica conosce degli sconvolgimenti in quanto vengono messe in discussione i modelli tradizionali anche morali, di comportamento. Ecco che abbiamo la Khamriyyat, la poesia bacchica anche in Oriente, là dove il consumare vino era vietato. I poeti, quindi, erano dotati di una grande libertà di lunga superiore rispetto a quella dei normali cittadini. Si iniziano, infatti, ad animare dei dibattiti fra varie tendenze di intellettuali che sostengono di dover modificare la qasiyda ai tempi moderni e l’idea di poesia in generale, mentre ci sono i neoclassici che sostengono che il modello di qasiyda non debba essere toccato. È in questo periodo che si parta di Bayt al-Hikma, la casa della saggezza, un’istituzione importante perché è lì che vengono tradotti i testi greci in arabo. Si sviluppa sempre di più, inoltre, un ceto di giuristi-teologi. La figura degli intellettuali, quindi, si lega all’amministrazione di corte. I KATIB sono coloro che si occupano della scrittura in generale, può essere poesia ma anche quella al servizio del potere. È proprio fra i segretari della cancelleria, spesso di origine persiana, che fiorisce la prosa letteraria, l’ ‘adab, che diventerà l’espressione della Khassa. Vi sono, infatti, molti testi provenienti dall’India che giungono agli arabi grazie alla traduzione da parte dei persiani, quindi la lingua e la tradizione persiana diventano un elemento fondamentale in questo periodo. Il termine adab deriva da bad, che vuol dire anche educazione, quindi la prosa deve intrattenere ma ha anche un obiettivo pedagogico, didattico. I letterati stessi vengono chiamati udaba’ e i più importanti sono il riferimento assoluto per la prosa araba classica. Gli udaba’ devono trasmettere delle conoscenze, sono intellettuali poligrafi, si occupano di più argomenti.

 

  • 847 – 945: secondo periodo, in questo Baghdad rimane centro culturale ma trova come avversaria Samarra’, così come gli abbasidi trovano come nemici i Buyidi, sciiti dell’altopiano iranico. Alcuni poeti, qui, rispondono alla ribellione precedente e si riappropriano della tradizione. Nascono comunque nuovi generi come le “nature morte” e vengono rinnovati alcuni generi come la satira o la trenodia. C’è una particolare attenzione per la retorica che cambia lo stile dei poeti (Kitab al-Badi’: libro della retorica). C’è una rifondazione anche del concetto di adab. Vengono scritte delle opere storiche (storia delle conquiste arabe ma anche contemporanea) e geografiche. Molti sono inoltre i racconti di viaggio in cui vengono, ad esempio, descritte le meraviglie dell’india, e così via. Vengono, inoltre, raccolte le parole del profeta Muhammad in una raccolta chiamata HADITH. Si parla molto di scienze, c’è uno sviluppo importante di arti, filosofia e scienze. Spesso, in questo secondo periodo, discipline oggi separate vengono intrecciate e i letterati sono polivalenti.

 

  • 945 – 1055: in questo periodo la componente Buyide prende il controllo oppure affianca il califfato. È il periodo in cui emerge anche il califfato fatimide e l’ismailismo prende piede, andando a catturare l’attenzione di vari letterati. Si può parlare di un secolo sciita. In questo periodo alcuni poeti celebrano l’amicizia, altri denunciano le vicissitudini del tempo e alcuni compongono poemi didattici. La poesia, quindi, non conosce un gran cambiamento ma non certo a causa della mancanza di talenti. Nel campo della prosa emergono nuovi generi: ad Aleppo nasce un genere che non farà scuola, ovvero il kutub al-diyarat, il libro dei conventi, celebrato dai bacchici e la MAQAMA, che conferma lo sviluppo che conoscono la prosa e il saj’ (prosa rimata) e la diffusione delle scienze iniziata nel periodo precedente. La prosa rimata e ritmata si propone come modello di scrittura e di stile.

 

  • 1055 – 1258: quarto e ultimo periodo, è un periodo segnato da sconvolgimenti a causa soprattutto delle crociate. Vengono fondate le madrase e viene trasformato l’insegnamento delle scienze religiose, introdotte da Nizam al-Mulk, visir selgiuchide, infatti entrano in scena i Selgiuchidi. La casta di giuristi viene controllata dal potere centrale e si diffonde un interesse per i mistici più che per i grandi letterati. La letteratura in lingua araba perde ispirazione e viene sostituita dalla letteratura persiana e turca. Verrà mantenuta la tradizione precedente grazie a delle opere che sintetizzano e hanno il ruolo di conservare ciò che è stato importante delle epoche passate e dello splendore abbaside. Questo darà origine a dei nuovi generi più tardi.  Nella prosa c’è un cambiamento in quanto viene spostato l’accento sulla componente introspettiva e autobiografica. In alcune raccolte che trattano temi anche di scienze religiose sono presenti dei racconti di vita di coloro che le hanno scritte. La poesia sembra essere in crisi, sono pochi quelli che vivono di poesia. Alcuni segretari e letterati cominciano a parlare di un superamento della Khassa e di un trionfo della letteratura popolare che andrà, effettivamente, aumentando, insieme anche all’aumento del pubblico della letteratura.

 

Dal 1258 fino al 1516 il mondo musulmano viene posto sotto il controllo di diversi poteri più o meno forti, come quello dei Mongoli o i Selgiuchidi, che sono disinteressati alla letteratura araba. Questa sopravvive grazie ai Mamelucchi in Egitto e Siria. Da notare è anche che con l’entrata dei Mongoli nel mondo musulmano del Vicino Oriente, vengono persi molti documenti, in quanto i Mongoli distruggono e saccheggiano biblioteche e madrase. Da questo momento la trasmissione scritta diverrà l’unico modo di tramandare la cultura dotta. Le enciclopedie e le opere monumentali diventano fondamentali. La poesia si popolarizza fino a che i poeti cominceranno a fare piccoli mestieri per il sostentamento, cade il sistema di mecenatismo. Il linguaggio poetico, essendo popolarizzato, si semplifica, come il rigore sintattico. La poesia dotta sopravvive ma perde l’ispirazione, andando ad esagerare nella retorica e nelle allegorie.

Diamo uno sguardo anche in Occidente. 756 – 1031: Abd Al-Rahman fonda la dinastia Umayyade di Cordova. Successivamente la dinastia degli Almoravidi controllerà la zona nel 1092, poi sarà la volta degli Almohadi fino al 1492 con la caduta dell’ultimo regno, quello di Granada con la Reconquista cristiana. Per quanto riguarda la letteratura di questa zona abbiamo una prima parte che riguarda esclusivamente l’Andalusia, poi, dal 1092 riguarda anche il nord Africa.  Qui le scienze teologiche vengono unite alle scienze generali.  È grazie al regno arabo che la cultura andalusa ancora oggi conserva stretti legami con l’Oriente. Il viaggio in Oriente diviene una pratica fondamentale per la formazione personale. La poesia andalusa acquisisce un’identità specifica solo nel XI secolo, prima era legata ai canoni orientali, e solo nel XIII secolo viene istituita la prima madrasa. Il MUWASHSHAH è il genere andaluso per eccellenza, un misto di poesia araba e romanza. Gli andalusi tendono a distinguersi dagli altri musulmani d’Oriente e anche dai maghribini.

Per quanto riguarda la poesia si rinnovano i temi: viene esaltata la natura, il paesaggio andaluso attraverso dei dettagli immaginari che fanno nascere delle topiche nuove. Il lusso e lo splendore delle corti andaluse e gli splendidi giardini non hanno nulla da invidiare, effettivamente, agli abbasidi. Con gli Almoravidi, però, si impone la paura del futuro minaccioso, incerto e tutto cambia, prende una nota negativa, soprattutto per la progressiva perdita di territori all’indomani della Reconquista. Anche qui personaggi politici corrispondono a poeti importanti. Altresì in Andalusia la prosa ha successo, soprattutto per quanto riguarda l’enciclopedia, oggi memoria di quello che è stata la cultura andalusa. Pure qui abbiamo alcuni autori che inseriscono delle introspezioni, esperienze personali all’interno di prosa che parla di vasti argomenti: emerge la soggettività.

La letteratura araba nasce prima dell’Islam e del suo Corano e si chiama JAHILIYYA, che ha come genere fondamentale la QASIYDA. Questa produzione preislamica riguarda le regioni della penisola arabica. È una regione molto frequentata per ragioni commerciali, anche l’area siro-irachena, che era abitata da due grandi dinastie: Ghassanidi (SIRIA) e Lakhmidi (IRAQ). Sono entrambi arabi cristiani.

I primi poeti dell’epoca preislamica vengono influenzati dall’ambiente in cui vivono, tipicamente nomade, desertico, l’elemento beduino è importante. Anche le due corti dei Ghassanidi e Lakhmidi hanno dei cantori che producono per il loro leader.

La poesia è il genere preminente, successivamente prenderà piede anche la prosa. Era estremamente importante per la tribù, infatti i clan avevano vari poeti, di cui uno era accreditato. Oralità/canto: l’idea di memoria è ancora oggi fondamentale nella civiltà araba. L’ambiente di questa produzione era il deserto o i centri urbani dentro le corti. I valori/temi erano quelli del clan, c’è la testimonianza della vita dei nomadi, espressione della società tribale dell’epoca. Per esempio vengono documentati scontri fra clan, tribù. Viene cantata anche la caccia, il godimento (es. vino), poesia erotica, l’eros è un elemento fondamentale.

Il poeta è colui che sente, ha delle doti straordinarie. La figura del poeta preislamico, infatti, si confonde con quella dell’indovino. Si credeva, ad esempio, che egli doveva la sua ispirazione a dei geni che vivono nell’intermondo (‘Abqar). Il poeta è un personaggio ispirato, che ha rapporti con il mondo soprannaturale. Con l’avvento dell’Islam i poeti verranno visti di mal occhio, come coloro che vogliono deviare dalla kalimat Allah, dalla parola di dio, il poeta viene visto come un deviato, una persona maliziosa. L’Islam infatti, alla sua nascita, si pone come obiettivo anche quello di distinguere la parola dei poeti da quella di Muhammad, quindi il messaggio coranico, pertanto l’islam nascente condanna poeti e poesia. Nonostante ciò, alcuni di coloro che circondavano Muhammad stesso erano dei poeti (es. Hassan Ibn Thabit è il primo poeta dell’Islam e il suo elogio funebre si trova nella Sira nabawiyya).

La poesia preislamica può essere anche esistenziale: riflessioni di tipo cosmico e sull’esistenza dell’uomo. La struttura è molto rigida, ogni componente ha ruolo e spazio ben precisi.

Le poesie vengono raccolte e messe per iscritto tra VIII e X secolo, con l’avvento degli Umayyadi. Si sente la necessità di trascrivere, si approfitta dell’introduzione della carta, ricevuta dal contatto con l’Asia più orientale. Questa accelera il processo di fissazione scritta e il patrimonio della Jahiliyya viene messo a raccolta da dei compilatori umayyadi. Si parla, però, in questo caso del ritocco ideologico che modifica o cancella riferimenti al paganesimo o pratiche considerate immorali.

Questo fa nascere delle dispute attive ancora oggi da parte dei critici moderni: Taha Hussayn scrive un saggio provocatorio sulla veridicità della poesia preislamica che è stata trascritta. Egli crede che ci siano state delle manipolazioni: ci sono state delle variazioni dei contenuti perché lo spazio temporale è troppo vasto; la parola è quella di Dio, la legge allude a quella dell’Islam, quindi potrebbero esserci state delle modifiche nei contenuti perché considerati immorali, quindi si cambiano per renderli più accettabili, per farli rientrare nella morale islamica.

Esiste, poi, un’ammirazione per i poeti antichi che proviene da una vera e propria selezione di poeti, influenzata anche, però, dalla popolarità o meno di un autore.

Mu’allaqat, dal verbo arabo “appendere”, nucleo fondante, canone preislamico così come è stato selezionato dai compilatori, sulla base di motivi estetici. Sette sono le poesie “dorate” che furono appese alla Ka’ba in occasione del pellegrinaggio alla Mecca e vengono prese come modello. Mu’awiyya fa scrivere un’antologia su scelta del compilatore Hammad al-Rawiya. Quindi Mu’allaqat costituiscono la selezione di queste poesie. Anche qui vi fu un ritocco da parte di Hammad, come avviene in molte di queste raccolte.

La recensione e la registrazione del corpus poetico preislamico verrà portata a termine da epoche successive, da qui abbiamo le Mufaddaliyat, antologia delle migliori poesie selezionate da al-Mufaddal (126 odi, 500 – 650 d.C.). Il Kitab al-Aghani è un’altra raccolta, “libro dei canti”, antologia enciclopedica di poemi e testi di canti, composta dal letterato Abū l-Faraj al-Iṣfahānī.

In queste raccolte ha un posto preminente la qasiyda. È caratterizzata da una struttura monorima, costruita su un solo metro (bahr). Ogni verso (BAYT) comprende due emistichi (MISRA E SHATR) uguali, di cui il primo è il SADR, e il secondo è l’ ‘AJUZ.  C’è sempre la stessa sequenza di sillabe lunghe e brevi. La metrica è quantitativa, c’è un’alternanza fra vocali lunghe e vocali brevi. La metrica e le sue regole vengono schematizzate secondo regole precise dal filologo Khalil Ibn Ahmad (VIII), a cui si deve la nascita della ‘Ilm al-‘aruut: scienza della metrica. Il codice stabilito da al-Khalil resterà di riferimento fino al XX secolo. Anche il muwashshah, che si vuole staccare dalla rima unica e dalle regole della metrica, non uscirà completamente dal questo sistema.

Vengono create delle scienze ausiliarie (grammatica, lessicografia e retorica) a partire dal modello coranico, quindi, esso stabilisce le norme linguistiche ed estetiche della letteratura. Queste scienze si sino sviluppate insieme alle scienze religiose per comprendere meglio la parola di Dio.

L’insieme di regole che emergono dal Corano non possono essere modificate, devono reggere gli usi umani della lingua araba. Per quanto riguarda la retorica, essa è chiamata balagha e anch’essa pretende di far comprendere meglio i testi sacri; inoltre comprende anche la poesia preislamica.

Alcune parole chiave:

 

  • WAZN, ritmo, metrica, fissa le basi della melodia. Ci sono diverse tipologie di metri (16 tipologie).

 

  • QAFIYA, rima, conferisce al verso e al poema unità e una coerenza psichica, temporale e musicale. La poesia viene cantata, infatti, quindi non si canta per scopo ludico ma ci sono degli obiettivi anche psicologici, infatti la rima dà un tono, un umore preciso alla poesia, scandisce una modalità espressiva specifica. Le regole che reggono la rima sono raccolte nell’ ‘ilm al-qawafi.

 

  • SAJ’: prosa rimata, assonanza da cui trae origine il ritmo, anche il Corano è caratterizzato spesso da questa.

 

  • RAJAZ: base della prosodia, forse derivante dall’andatura del cammello.

 

Gli shatr sono a volte rimanti tra loro con un’unica rima alla fine di ogni verso. La poesia ha come riferimento la tenda, la tradizione beduina, l’elemento spaziale della tenda è fondamentale dal punto di vista etimologico ma anche per l’immaginario creativo. Spesso il primo beyt ha una rima interna ad esso. La lunghezza della poesia può variare da 10 a più di 100 versi. Ogni verso esprime un’immagine specifica, quindi non esiste un’immagine che continua nel verso successivo, ogni verso è a sé stante. Nell’Arabia preislamica il poeta non produceva all’improvviso un poema intero ma lo elaborava un passo dietro l’altro, quindi il poema poteva essere modificato o migliorato in qualunque momento. Il poeta aveva un recitante e un trasmettitore (rawi e ruwat) i quali erano poeti a loro volta, quindi la poesia si andava a modificare in base alla memoria del recitante o il suo gusto estetico.

Dopo un lungo periodo di trasmissione orale e poi mista, il corpus di versi e poemi ha conosciuto una messa per iscritto che attraversa tre tappe: l’elaborazione dei poeti e la prima diffusione – la raccolta da parte dei grandi trasmettitori – la registrazione scritta.

Possiamo vedere la qasida come una poesia tripartita:

 

  • NASSIB: preludio amoroso, è un lamento introduttivo del poeta che si prepara alla partenza e si ferma sui resti dell’accampamento della persona amata, lamentando la sua assenza e celebrando l’amore per la persona amata; non deve essere una donna, ma anche un caro morto in uno scontro, ecc.

 

  • RAHIL o Wasf: descrizione del viaggio intrapreso dal poeta, la descrizione delle difficoltà nel deserto, scene di caccia, descrizione di oasi

 

  • GHARAD: obiettivo, fine, proposito, è il tema effettivo del poema.

 

Il Corano è il testo sacro dell’Islam tramandato a Maometto dall’arcangelo Gabriele per ordine di Dio. È unico, è la Rivelazione di Dio e nega la poesia, c’è un conflitto fra parola poetica e quella del corano: viene consacrata la nuova pratica religiosa, quando si scrive bisogna elogiare il Profeta e l’Islam. Quindi si passa dalla virtus pagana a quella della religio, la poesia deve diventare testimonianza della nuova esperienza religiosa, deve sublimare la missione profetica. La poesia allora viene depurata dai contenuti pagani e fa propri i valori della nuova fede. Il poeta diverrà in seguito il cantore della nuova comunità, dovrà celebrare la gloria dell’Islam e poi anche del califfo e dell’impero.

Il Corano non è solo un testo sacro ma ha anche un valore letterario molto importante per quanto riguarda la narrativa. Ha degli aspetti legati alla musicalità, è spesso una prosa rimata (saj’) ed è ricco di figure retoriche, metafore.

Struttura del Corano: 114 sure (capitoli) suddivise in:

 

  • Sure lunghe: attestano la comune discendenza abramitica e la continuità con le fedi monoteistiche (ebraismo e cristianesimo) pur negando la natura divina di Cristo, considerato soltanto un profeta

 

  • Sure brevi: ingiunzioni, preghiere.

 

La prosa ritmica del Corano attraverso la lettura e il canto ha lo scopo di attrarre il lettore, così da fargli avere un’esperienza più profonda della fede.

Nel Corano ci sono aspetti di natura poetica: essi introducono una visione per la quale la poesia riveste una grande importanza nella pratica religiosa, nella recitazione di una preghiera. Si tratta non della poesia dei poeti preislamici, tacciati di essere amorali, ma della poesia religiosa. Il testo sacro del Corano stesso permette un appagamento estetico per il lettore consapevole, armonia ed eloquenza (bayan).

Gli aspetti estetici del Corano sono costituiti non solo dalla prosa ritmata, ma anche da:

 

  • Tajwid – cantillazione (il Corano va declamato secondo regole precise)

 

  • Ghunna – nasalizzazione, rendere nasali (m e n) alcuni fonemi come caratteristica musicale.

 

Il testo sacro deve dimostrare la bellezza della scrittura. La musicalità può portare ad un esperienza mistica, raggiungimento di uno stato estatico. Lisan ‘arabi mubin: la lingua del Corano e della Sunna (altra fonte religiosa dell’Islam) è perfetta, può dire ogni cosa, è la base del lessico a cui fare riferimento, “lingua araba corretta”

Per ‘I’JAZ si intende la inimitabilità del Corano, unicità della sua essenza, è inimitabile e insuperabile, ogni altro testo è imperfetto. Questo ha delle ricadute su piano della traduzione del Corano e di testi arabi in generale. Essendo inimitabile non si può trasporre in un’altra lingua secondo i tradizionalisti.

 

 

Bibliografia

  • R. Allen, La letteratura araba, Bologna 2006;
  • D. Amaldi, Storia della letteratura araba classica, Bologna 2004;
  • B. Di Sabato, E. Di Martino, Testi in viaggio. Incontri fra lingue e culture, attraversamento di generi e di senso, traduzione, Torino 2011;
  • F. Gabrieli, La letteratura araba, Firenze-Milano 1967.

 

 

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