LA DECADENZA DELLA GERMANIA – RELAZIONE ANNO 2002
La Germania è un Paese che conosco molto bene, forse, mi vergogno un pò a dirlo, meglio dell’Italia. Mi riferisco, in particolar modo, alla parte occidentale da me visitata da Nord a Sud decine di volte, per motivi di lavoro, a partire dalla fine degli anni ’70 ad oggi.
Un Paese che, volendolo conoscere, al di là dei soliti aspetti tecnico-commerciali inerenti il lavoro, è molto interessante e può entusiasmare.
La Germania, a parte alcune mete classiche come: Monaco, la Selva Nera, Berlino e le crociere sul Reno, non è una meta turistica ambita e nemmeno molto amata dalle masse, in quanto, viene sempre considerata costosa, ingenerosa nel clima, problematica per la lingua e per la cucina.
L’avversione verso questa meta, tuttavia, ha radici diverse. Nell’immaginario collettivo è ancora impressa l’immagine di quella terra, appartenente a quel popolo, che fu protagonista dell’ultima guerra mondiale. Quel Paese dove, dopo le distruzioni belliche, la gente pensa solo a lavorare, bere birra, mangiare wurstel e andare a letto con le galline.
C’è, insomma (oggi un pò meno), una specie di paura nel varcare la frontiera tedesca, di entrare in un mondo molto diverso dal nostro, dove si pensa di essere facilmente puniti per ogni minima trasgressione, dove ci troviamo a disagio perché non possiamo assumere quei comportamenti latino-mediterranei e fatalisti a noi cari, dove non riusciamo a tirare tardi la notte seduti davanti ad un chiassoso bar e con l’auto parcheggiata in doppia fila o sulle strisce pedonali.
I prezzi, il clima, la lingua e la cucina, non sono, in verità, determinanti per escludere la Germania da una vacanza o da un viaggio.
Chi trascorre periodi nell’uggiosa Inghilterra, nella tollerantissima Olanda o nella fiabesca Danimarca, non spende certo di meno, ha un clima spesso peggiore e per quel che riguarda la lingua, si può sopperire con una guida, un depliant multilingue, una buona dose di pazienza ed un pizzico di fantasia. Niente di insormontabile, insomma! Molto più semplice che doversela cavare in Cina, India, Birmania o Vietnam.
La cucina tedesca non è poi così male, sicuramente migliore della inglese o della scandinava.
Il patrimonio storico, architettonico e archeologico tedesco è inferiore al nostro, o a quello di altri Paesi mediterranei, ma, volendosi documentare, con un pò di buona volontà ed intraprendenza, vi sono agenzie ovunque che muniscono i turisti di brochure (anche in italiano), su paesi, cittadine, castelli, borghi medioevali, laghi ecc., che sono un incanto, ristrutturati, ben mantenuti e organizzati in modo molto efficiente.
Posso dire di aver visto la Germania laboriosa, seria, disciplinata, a tratti severa e rigida (qualità tipiche del popolo teutonico), ma anche una Germania con voglia di vivere, piena di gioia, che sapeva e voleva staccare la spina dal lavoro per tuffarsi nel relax e nel divertimento, ma sempre con buonumore e spirito cameratesco.
Inutile dire le caratteristiche e le particolarità, fiore all’occhiello dei tedeschi: efficienza, puntualità, organizzazione, ordine, pulizia, spirito di sacrificio e rispetto.
A volte il loro modo di fare e di vivere mi appariva fin troppo rigido, ma per capirne le ragioni, bisogna capire il loro passato e le conseguenze che la Storia ha caricato sulle loro spalle.
Tutto ciò fino alla fine degli anni ’80.
Negli ultimi dieci anni, i miei viaggi in Germania si sono fatti meno frequenti, sempre per motivi legati alla mia professione, tuttavia, in questo ultimo decennio, ogni volta che ritornavo, trovavo una situazione di sempre maggior degrado.
L’ultimo mio soggiorno in terra tedesca lo trascorsi l’ultima settimana di Maggio, in occasione di una fiera internazionale svoltasi nella città di ESSEN (sede delle mitiche acciaierie Krupp), dove, da oltre vent’anni, mi reco per partecipare appunto a tale manifestazione.
Essen fu quasi totalmente ricostruita dopo la guerra, conta circa mezzo milione di abitanti, ha molti spazi verdi, molte industrie, ampie strade ed una vasta zona pedonale piena di negozi, ristoranti, gelaterie, bar e uffici di liberi professionisti.
Una zona sempre molto frequentata di sera da persone alla ricerca di un buon ristorante (di solito italiano), per fare una passeggiata senza traffico intorno o, più tranquillamente, per fare due chiacchiere. Una zona centralissima, da sempre considerata sicura a tutte le ore del giorno.
Quando vi ritornai, a Maggio, la trovai molto peggio di quanto già non lo fosse pochi anni prima.
La cosa mi lasciò incredulo e decidi, già dalla seconda sera, di annotare le situazioni più degradanti:
MARTEDI 28 MAGGIO 2002 – ore 21h30 – Kettwigerstrasse
Uno spacciatore passava tranquillamente dosi di droga a due tossici, poco più che ventenni, con i vestiti a brandelli e scarponi rotti, dall’aspetto di chi non ha più niente da perdere.
STESSA SERA – ore 22h15 – Viehhoferplatz
Fuori da un Rock-Café, con musica di tipo metallara, a livello della soglia di dolore, una coppia di lesbiche, giovanissime, pomiciava tranquillamente, seduta ad un tavolo.
Ad una ventina di metri, due ragazzi, con magliette alla Freddy Mercury, si sbaciucchiavano, stesi su una panchina.
MERCOLEDI 29 MAGGIO 2002 – ore 22h00 – Burgplatz
Gruppi di giovani extracomunitari (turchi e nord-africani), agli angoli delle strade, con fare sospetto e inquietante. Alcuni di loro sono ubriachi, urinano contro le vetrine di un negozio di elettrodomestici, emettendo rutti roboanti. Uno vomita su un’aiuola.
In albergo ci avevano detto, la sera prima, di girare al largo da quei gruppi, di non incrociare mai il loro sguardo, né tantomeno fissarli in continuazione.
STESSA SERA – ore 22h30 – Viehhoferstrasse
Sui grandini esterni di una chiesa sconsacrata, ora adibita a sala per concerti rock, siedono cinque uomini, non più giovanissimi, bandane in testa, vestiti laceri, piercing ovunque, che tracannano birra e tirano le bottiglie vuote in mezzo alla via, rompendole in mille pezzi, creando un tappeto di vetri sul quale la gente camminava frettolosamente, cercando di evitare i cocci più grandi.
GIOVEDI 30 MAGGIO 2002 – ore 22h00 – Rottstrasse
Un giovane vestito con un pastrano cencioso, che sembrava uscito da un tunnel fognario, barcollava e cadeva al suolo, rotolando su se stesso, urlando parole sconnesse, probabilmente in preda ad una crisi di astinenza da stupefacenti.
STESSA SERA – ore 23h00 – Kasteienstrasse
Un gruppo di extracomunitari (balcanici, dall’aspetto), si avvicinano ad un ragazzo e ad una ragazza. Non riesco a vedere bene cosa fa il gruppetto, ma la ragazza, quando ripercorro la strada in senso inverso, ha un ago infilato nel braccio ed il ragazzo la sta aiutando. Il tutto avviene dentro ad una cabina telefonica.
A questo aggiungo, che, per ben tre sere, non ho incontrato la benché minima pattuglia di polizia.
L’hotel dove soggiornavo, l’Essener Hof, alle dieci di sera blocca le porte e apre solo agli ospiti.
Quando si chiede la chiave alla reception, chiedono l’esibizione del biglietto, sul quale è trascritto il cognome dell’ospite ed il numero della camera.
Chi lo dimentica in camera, deve dare il proprio cognome per la verifica a computer.
In 24 anni di viaggio in Germania, non avevo mai visto una cosa simile.
Parlando col portiere notturno dell’hotel, tedesco di Bochum, a 25 Km, da Essen, mi disse che le città tedesche sono quasi tutte ridotte in questo stato, si salvano i piccoli centri di campagna e la Bassa Baviera, dove il fenomeno è più controllato e represso, ma le “isole felici”, si sa, durano poco..
Un altro aspetto della decadenza tedesca, è “l’americanizzazione” che ha subito questa società, molto più forte che da noi.
I personaggi inquietanti che barcollano a tarda sera per il centro cittadino, il loro comportamento e la loro disperazione, non sono farina del sacco “tedesco”, ma sono esattamente il riflesso, o se vogliamo, la conseguenza di quel modo di vivere esportato dall’America, della cosiddetta “società competitiva”, la quale, però, è anche spietatamente emarginante.
Ovunque si incontrano i Mc Donald’s , assordanti rock-café, sale giochi dai mille rumori e, ovunque, le televisioni con MTV, che manda in onda video multietnici, che seduce i giovani invitandoli a vestirsi come i neri di Harlem, come le bande giamaicane di Philadelphia, a ballare la loro non-musica, a parlare in modo osceno, arrogante e strafottente, a marinare la scuola, a fumare, a buttare soldi nei videogiochi o in bevande e cibi nauseabondi e nocivi alla salute.
Da lì, il passo all’alcool, allo spinello e al “buco” è breve.
Ragazze e ragazzi soli o “troppo liberi”, che non hanno più una famiglia alle spalle, sbriciolatasi a causa di una società che aborrisce i valori e la famiglia, in quanto ostacoli al dilagare del consumismo; una società che mira solo al dio Denaro, che diventa isterica se perde una seduta di fitness o di aerobica.
Smembrare la famiglia è, appunto, dividere la società in tanti singoli individui, con mille problemi, senza “forza contrattuale” in quanto soli e, quindi, facilmente condizionabili ed influenzabili.
Per quanto poi riguarda l’alto numero di immigrati in Germania (circa sette milioni e mezzo), è la conseguenza della scellerata politica degli ultimi governi. Una politica che dovrebbe mirare a rimpiazzare quella mano d’opera, nei lavori umili, che i tedeschi non vogliono più fare.
Questo è vero, però per metà. L’altra metà non è altro che il volto nascosto di un’immigrazione pilotata e voluta dalle lobby mondialiste (Organizzazione Mondiale del Commercio, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale, la Trilateral, le multinazionali petrolifere e quelle che controllano le materie prime strategiche quotate in borsa). In che modo? Creando nei Paesi del terzo Mondo l’indebitamento perpetuo, l’impoverimento di quei popoli e la conseguente spinta a emigrare, creando, nei Paesi ospitanti, una società multietnica e multiculturale che “diluisce” e divide la società bianca europea, allontanando sempre di più il rischio di nazionalismi o l’affermarsi di coscienze autoctone, mirate a tutelare le singole sovranità nazionali.
Ovviamente, il fenomeno, non è solo tedesco ma è comune a tanti altri Paesi europei.
Davanti a questa vera e propria decadenza, a questo sfascio, è curioso notare come il tedesco medio non si indigni o protesti più di tanto.
L’opinione pubblica sembra anestetizzata. Finito il lavoro quotidiano, tutti a casa, chiusi come in torri d’avorio, e nei fine settimana, tutti al lago, in montagna, in campeggio o nella seconda casa di proprietà. Esattamente come in America.
Sembrerebbe quasi che il problema sia del tutto marginale.
Qualche anno fa, parlai con alcune persone, conosciute nell’ambiente di lavoro e, ora, in pensione.
Persone appartenenti ad una generazione ben diversa, ma le cui opinioni danno una panoramica molto più ampia. Gli interessati, che mi hanno autorizzato a fare i loro nomi, sono:
– FRANZ ZEMME di Monaco di Baviera (83 anni), ex sottufficiale delle truppe corazzate tedesche, reduce da Stalingrado.
– EUGEN DOBEL di Monaco di B
aviera (80 anni), ex ufficiale delle SS che prestò servizio in Ungheria e Cecoslovacchia.
aviera (80 anni), ex ufficiale delle SS che prestò servizio in Ungheria e Cecoslovacchia.
– HANS KLEEDORFER di Woergl (Austria), 79 anni, soldato della Wehrmacht, ultimo a ritirarsi dallo storico ponte di Remagen sul Reno prima della traversata degli americani.
Tutti e tre sono concordi nell’affermare che il tedesco medio è allarmato del degrado che sta intaccando le istituzioni, ma non protesta per le strade o per le piazze, perché teme di essere accusato di fomentare un nuovo nazionalismo, di vecchia memoria, di proporre soluzioni che ricordano i tempi passati, di riproporre un sistema di vita che la storia avrebbe condannato.
Insomma, il tedesco è stato svuotato all’interno e pensa solo ai fatti suoi.
Possiamo dire che questi ha assimilato bene l’indottrinamento e l’espiazione impostigli nel dopoguerra.
In Italia, ancora oggi, è vivo il dibattito sulla Repubblica Sociale Italiana, sulle commemorazioni, sull’onore ed il prestigio di chi continua a credere nell’ideale di Patria, sulle opere del Fascismo, esistono giornali e riviste reducistiche, pubblicazioni revisionistiche di ogni genere.
In Germania, tutto questo, non esiste. Dibattiti del genere non trovano spazio, anzi, divulgare certe tesi o libri può costare multe salatissime e anche la galera. La gente evita l’argomento, i più giovani poi non ne sanno quasi niente, ancora meno degli italiani.
Il senso di colpa, imposto d’ufficio dai vincitori, ha tolto ai tedeschi ogni minimo interesse o slancio ad intraprendere critiche, o indagini revisionistiche, più che legittime, viste e considerate tutte le verità nascoste e le menzogne che sono faticosamente emerse in questi anni.
Il Sig. Zemme, che parla abbastanza bene l’italiano per aver vissuto diversi anni in Toscana, mi disse semplicemente:
voi avete avuto una Repubblica Sociale, noi no.
voi avete avuto un Re, noi no.
voi avete avuto la Resistenza, noi no.
voi avete avuto un certo Badoglio, noi no.
voi avete avuto un 25 Luglio ed un 8 Settembre, noi no.
voi avete avuto un armistizio a Cassibile, noi no.
voi avete avuto una Marina che si arrese a Malta senza combattere, noi no.
Tutto questo ha lasciato vivo negli italiani, o parte di essi, un dibattito aperto, il senso dell’incompiuto, un incentivo alla ricerca, l’eterna certezza che la disfatta italiana derivava da immani tradimenti e doppi giochi. Il senso di vergogna che ne deriva avvalora il fatto di aver difeso un ideale anzichè un altro.
La Germania invece combatté unita, fino all’ultimo uomo e fino all’ultima pallottola, facendosi totalmente distruggere prima della resa.
Alla fine prevalse il senso della sconfitta, di aver perso una partita con l’avversario e la voglia di ricominciare, dando un colpo di spugna al passato.
Questo è ciò che avviene oggi in Germania.
GIAN FRANCO SPOTTI
SORAGNA (PARMA)