Saltuariamente, forse in seguito a libagioni più abbondanti del solito coadiuvate da buon vino, sentitamo provenire da destra la tronfia nota della parola “cultura”. “Cultura”, parola obliata e pressochè negletta da chi fa della politica il proprio mestiere, perché non porterebbe voti, tant’è che in alcuni comuni, in un recente passato, alcuni assessori neoeletti di destra, hanno preferito rinunciare alla carica relativa ad essa. “Cultura”, parola di origine ignota che quando salta fuori in prossimità di elezioni significa “ah, caspita… è vero che ci sono pure questi da abbindolare!” inneggiando, al più, ai fasti del Ventennio o ai tristi momenti degli “Anni di piombo”, senza così rendersi conto di diventare “subcultura”. Parola – “cultura” – polimorfa e fluida, evanescente, ondivaga e mercuriale, che si adatta ai desiderata di quel momento del candidato in questione, dimenticando la sua vera essenza. Ci domandiamo quanti tra coloro che ne vanno parlando abbiano, nell’ultimo anno – per fare un mero esempio – visitato una mostra importante, un museo o partecipato ad un convegno su temi culturali? Quanti avranno scritto un saggio su argomenti che riguardano, appunto, la Cultura? Quanti tra loro saranno stati a teatro o ad un concerto? Una Cultura – quella italica ed europea – che ha almeno quattromila anni, viene ridotta a un parziale riconoscimento che ammonta ad un secolo fa circa. La destra attuale si ferma al Fascismo senza nulla sapere né interessarsi delle radici reali che affondano nel tempo più remoto. Questo quando ovviamente non assistiamo a qualcuno che confonde amabilmente Rinascimento e Risorgimento! Dimenticando così che lo stesso milieu fascista aveva le sue fondazioni culturali – e cultuali – nel mito della Roma Imperiale.
Gli angusti limiti di conoscenza di una certa destra italiana si vedono quando si vuol ritrovare una categoria politica “di destra” anche in artisti che certamente ad essa vanno ascritti ma non da essa limitati. Basti pensare al caso del Movimento Futurista, da troppi riesumato a sproposito e da troppo pochi veramente conosciuto sino al caso meno noto, ma più interessante che fu il dadaismo di Julius Evola. Sono poi ancor meno coloro che saprebbero ricollegare ad una visione “di destra” quel movimento che prese il nome di Realismo Magico con artisti del calibro di Ubaldo Oppi, in quanto fenomeno artistico poco noto al grande pubblico. Ci piacerebbe sapere quanti tra i vessilliferi della ritrovata “cultura di destra”, conoscano l’operato di un genio assoluto come Armando Brasini, invece di citare pappagallescamente l’opera imperitura di Piacentini. Quindi il problema sull’arte “di destra” risiede forse non tanto in quella che si potrebbe definire “non conoscenza”, che è spesso congiunta ad un vero e proprio disinteresse all’argomento, quanto nel fatto che colui che osserva un’opera d’arte alle volte vede soltanto ciò che sa.
Qualcuno un giorno ha detto che i Futuristi sono “di destra” ed ecco che il politico o l’attivista politico di turno – il più delle volte non propriamente competente in materia, sia detto senza acrimonia – vede ciò che “di destra” vuol vedere in un’opera del movimento di Balla e Boccioni. Platonicamente l’azione del conoscere dovrebbe essere precedente al ri-conoscere, ma ciò non avviene sempre. Tutto il secondo dopoguerra ha visto un’assoluta predominanza “culturale” della sinistra italiana anche nel campo delle belle arti e della cultura più in generale. È stata la supervalorizzazione di movimenti, transavanguardie, dell’informale e altre solenni schifezze smerciate da intellettualoidi in eskimo per “opere d’arte” del proletariato, realizzate invece quasi sempre da borghesi benestanti e ben pasciuti ad aver occupato militarmente tutti gli spazi disponibili.
E gli artisti, i pittori e gli scultori contemporanei di destra? Non c’erano? Sì, ci sono sempre stati, ma non in quanto tesserati o militanti perciò la “destra” non li ha riconosciuti. Sono infatti tali tutti quelli che hanno creato l’arte classica, antica e poi quella medievale, quella rinascimentale, quella barocca; sono i romantici, gli idealisti sognatori dell’ottocento, i simbolisti; sino ai nostri giorni sono tutti coloro che hanno fatto arte e cultura ben sapendo che essa non è “di destra” perché appartenente ad uno schieramento politico ideologico, ma è “di destra” in quanto appartenente a quella categoria dello Spirito che infonde la materia e che deriva pertanto non già da una collocazione tattica in un parlamento, ma da una suddivisione cosmica del creato e dello spazio. La “destra” è quella che nasce non nella Rivoluzione Francese, ma eoni prima, da quando l’axis mundi che unisce il mondo dell’uomo con il Divino, separa il cosmo in quattro regioni, alto e basso, destra e sinistra. La “destra” in senso metafisico, simbolico e tradizionale è perciò il luogo positivo e fausto, contrapposto necessariamente alla sinistra che rappresenta ovviamente il suo contrario.
Troppe volte poi si è voluto cercare d’imitare, da parte dei militanti di destra, appunto, proprio quei movimenti e quelle esperienze artistiche che, seppur allora valide, si sono esaurite in un passato che è concluso; ignari del fatto che l’unica arte contemporanea è sempre quella eterna tramandataci dalla Tradizione. Fidia, Prassitele, Botticelli, Cranach, Kaspar Friedrich sono i nostri artisti contemporanei, non gli imitatori di Boccioni che sono in grado di realizzare soltanto copie di copie.
Ottant’anni di disattenzione e disinteresse alle tematiche del Bello e dell’arte da parte della destra italiana hanno consentito alla pseudocultura di Sinistra di far scempio del nostro paese.
Perché la “cultura di destra” ha tanto in antipatia l’Arte? O meglio ancora sarebbe da chiedersi se l’attuale destra in Italia ha cognizione di cosa significhi arte e “fare arte”. Eppure in un passato forse oggi troppo lontano, la “destra” italiana è stata realmente innovativa anche in campo artistico e culturale, avendo avuto un coraggio e una forza vitale, uno slancio eroico, che la sinistra non possedeva dai tempi della Rivoluzione d’Ottobre.
Oggi?
Come «vaghe stelle dell’Orsa» sono le labili parole momentanee che dicono di voler una “cultura” per governare, improvvisamente dopo anni d’assordente silenzio sentiamo parlare di “tutela del patrimonio”, e tutto ciò senza averne innanzitutto né competenza né conoscenza, in un vago ciarlare sempre più autoreferente e monotono, in un continuo refrain fatto di nulla, boutade e luoghi comuni, che desidera presentarsi come ciò che non è. L’importante è rimanere in sella… altrimenti non è più la tigre d’evoliana memoria a sbranare l’incauto cavaliere, ma la presa di coscienza obbligatoria della propria incapacità culturale. E lì non c’è Tao te ching che tenga.
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