La massoneria moderna, oltre ad essere una setta sovversiva e controiniziatica, è caratterizzata dalla deviazione sociale, cioè il suo unico scopo è di manipolare la società, l’uomo e perfino l’intera realtà planetaria in un certo modo e secondo certi intendimenti. Da lungo tempo nelle logge massoniche non si insegna più l’arte trasmutatoria, ma solo l’arte manipolatoria, cioè le tecniche più adatte per piegare uomini e cose al proprio volere, usando tecniche sottili e raffinate, non trascurando di ricorrere a pratiche magiche e a conoscenze esoteriche. Mentre l’apprendista è blandito usando il solito filantropismo buonista e umanitario, intanto il “maestro” valuta attentamente se il soggetto è sufficientemente amorale da sopportare l’addestramento che ne seguirà, che è essenzialmente pratico. La deviazione sociale della massoneria è la conseguenza della loro strana credenza in una iniziazione sociale e collettiva, nel senso che così come il singolo individuo può iniziarsi a stati superiori dell’essere e a stati superiori di coscienza, lo stesso deve essere per l’insieme umano, per l’intera collettività umana. Naturalmente c’è un piccolo inconveniente da risolvere, per poter iniziare l’intera umanità come se fosse un unico individuo corporeo, bisogna prima trovare il modo di ridurla effettivamente tale. Non a caso il perno centrale attorno a cui ruota da sempre l’azione massonica, si chiama: unificazione corporea dell’umanità. L’umanità deve essere ridotta a un unico gigantesco individuo corporeo in tutto e per tutto simile al piccolo corpo individuale, questo è sempre stato il vero obiettivo dei maneggi massonici, e suoi strumenti sono stati e sono: il controllo dell’economia, del denaro e della cultura, l’inserimento degli “uomini giusti” ai posti giusti, democratismo, liberismo, internazionalismo, economicismo, libera circolazione planetaria di merci, denaro e persone, governo unico mondiale, società multirazziale, etc.
Il mito dell’unificazione corporea dell’umanità e il mito dell’iniziazione collettiva ha sedotto e ingannato molti e continua tuttora a ingannare, ma non ci si rende conto che si tratta di falsi miti, di ideali e di intenzioni dal dubbio valore, se non propriamente erronei, e poi bisogna vedere la direzione di marcia di questa presunta iniziazione, perché il Mondo Moderno è una realtà invertita, perciò la sua iniziazione collettiva può essere solo un’iniziazione a rovescio, verso il basso. L’unificazione corporea dell’umanità significa solamente una semplificazione enorme in termini di gestione del potere, l’umanità concepita come un unico gigantesco alveare, governata e dominata da un’unica coscienza collettiva, questo è il vero scopo, altro che iniziazione a stati superiori! I massoni sono ossessionati dall’analogia ermetica (come in alto, così in basso), ma però la loro specialità è la strumentalizzazione, la travisazione e il pervertimento di tale analogia. Ridurre l’intera umanità ad un unico gigantesco individuo corporeo, questa è già una forzatura e una travisazione dell’analogia ermetica (come il piccolo, così il grande), e il prendere come riferimento un elemento inferiore, come può essere il corpo fisico materiale, questa è la sua perversione. Teniamo presente che l’analogia e come la gerarchia: non è soggetta all’interdipendenza, all’uguaglianza, né all’uniformità, non è un caso che si miri a criminalizzare ogni organizzazione a base gerarchica. L’analogia deve essere vista come un metodo di comprensione e non di manipolazione tecnologica. Il principio unitario dell’Essere o Ente divino che sta a capo della realtà umana, non ha affatto bisogno di poggiare su un simile gigantesco individuo corporeo, che più che il suo riflesso o proiezione, è solo la sua parodia, né ha bisogno di una simile unità perché il rapporto è trascendente. L’unità del Principio, implica la molteplicità nella manifestazione, la vera unità non ha nulla a che vedere con l’uniformità. L’unificazione corporea serve solo all’entità collettiva, la quale può essere tale solo in funzione dell’uniformità, della coesione e dell’uguaglianza imposte alla moltitudine. Se l’unificazione corporea dell’umanità è già una travisazione dell’analogia ermetica, l’imbastardimento delle varie razze umane allo scopo di ottenerne una sola, questa è senz’altro la sua perversione (l’unità del principio trascendente iniziale è trasferita “tale e quale” alla moltitudine finale). I massoni sono fissati sull’analogia che tra l’altro essi interpretano come “tale e quale”, mentre il passaggio da un livello a un altro livello, da un ordine di realtà a un altro ordine di realtà, avviene per proiezione, per trasposizione analogica, la quale esclude il “tale e quale”.
L’ossessione per l’unità dei maniaci dell’unificazione è un’altra esagerazione. L’uno, il singolo, è già una definizione che richiama il suo opposto, il molteplice. Il singolo si specchia nel molteplice, il numero uno si specchia negli altri numeri, ma ridurre “ad unum” in materia, cioè in orizzontale, è un errore, perché l’uno qualitativo e il molteplice si trovano a livelli differenti, il molteplice è solo una proiezione dell’uno, quindi deve intervenire la logica del trascendente, che esclude un’unità in materia come “tale e quale” a quella dello spirito. Un’altra ossessione massonica e anche teosofica è la perfetta corrispondenza tra l’inizio e la fine. All’inizio c’è l’uno che è “evoluto” nel molteplice, quindi alla fine il molteplice deve riassorbirsi nell’uno, ma deve fare questo in modo “tale e quale”, cioè in orizzontale e “in materia” e secondo la logica della “perfetta simmetria”. Tutte queste forzature implicano che ai massoni interessa di più l’evoluzione e il bene della semplice forma materiale più che dell’essere che incarna e agisce quella forma. L’Essere è anche la sua forma fisica manifesta e materiale, ma questa, isolata in se stessa, non è in grado di essere né è l’Essere. Un’altra ossessione massonica sono i numeri e la conseguente corrispondenza numerica, che denuncia di nuovo l’uso fraudolento del simbolo e della corrispondenza analogica. C’è poi la deviazione democratica e ugualitaria, in questo caso il numero uno non è visto come il principio unitario che era da prima e perciò trascende tutti gli altri numeri, ma solo come il costituente base di tutti gli altri numeri, che sarebbero solo assembramenti di diverse quantità di numero uno; è così imposta una logica collettiva e quantitativa e un’unica condizione, che è quella dell’uno individuo quantitativo, non dell’uno principio che trascende la molteplicità quantitativa. I numeri possono anche essere interpretati in chiave qualitativa oltre che quantitativa, in tal caso i numeri sono simboli che contrassegnano ordini di realtà e potenzialità metafisiche diverse, e anche in questo caso è intervenuta la strumentalizzazione fraudolenta del simbolo e dell’analogia. È creato un legame stretto e perfino egualitario e interdipendente tra il numero e la potenza che simboleggia, in modo tale che pronunciando una certa formula, o scrivendola, o attraverso una corrispondenza numerica risonante, entra automaticamente in azione la potenza superiore. Grottesche interpretazioni e manipolazioni cha implicano l’inversione gerarchica, cioè è il superiore che deve obbedire all’inferiore, si tratta di asservire il superiore all’inferiore, trovare il modo per poter comandare il superiore dal basso. C’è la causa e poi c’è l’effetto, la causa produce l’effetto, si dice anche che l’effetto è già potenzialmente contenuto nella causa, è la stessa cosa della causa, ma si tratta di ambigue e pericolose generalizzazioni. Certe sottili distinzioni sono l’essenza della comprensione metafisica, per rendere l’idea: non è ciò che io sono come essere la causa che produrrà come effetto il riflesso nello specchio, ma è solo e soltanto il mio collocarmi davanti allo specchio la causa che poi produrrà il riflesso nello specchio. Sostenere che ciò che io sono, il mio essere, la mia essenza, è la causa che produrrà automaticamente tutto il resto, questa è già un’impostazione sbagliata derivata da una mancata discriminazione. L’essenza dell’essere non è mai coinvolta direttamente, permane sempre di là dalla causa e dall’effetto. La causa non deve mai essere identificata con il principio non manifesto dell’essere, ma solo con un intento, un volere, un’intenzione dell’essere, poiché la causa è già azione che per questo produrrà fatalmente un effetto. La causa implica sempre un volere iniziale, che può anche essere inconsapevole, il mio collocarmi davanti allo specchio è già azione volitiva, ma il mio essere, la mia essenza, non c’entra. Naturalmente nel mio collocarmi davanti allo specchio, è già contenuto l’esito finale: il riflesso, ma dire che causa e effetto sono la stessa cosa, questa è una ambigua generalizzazione che può essere fraintesa. Si finirà col sostenere che ciò che io sono e il mio riflesso nello specchio siamo la stessa cosa, il che non è, perché la mia immagine nello specchio mi assomiglia in tutto e per tutto, ma quello non sono io, se per io si intende un essere vero, reale e in carne ed ossa, mentre quello è solo un riflesso illusorio. Il numero uno è già una causa che come tale produrrà poi la serie numerica, ecco perché prima del numero uno deve esserci lo zero, che è il vero principio immutabile non agente, che può decidere di produrre un’immagine di sé tramite la logica di causa e effetto, ma la sua essenza immutabile non è mai coinvolta direttamente e rimane sempre tale. Fare obbedire il superiore all’inferiore, in questo caso significherebbe asservire l’essere reale e in carne ed ossa al suo riflesso dello specchio, in modo che manipolando quest’ultimo, si possa condizionare e manipolare anche l’essere reale; questo è ciò che è “implicito” e “sottinteso” in certe teorie pseudo scientifiche, tutte di tipo immanente e basate sull’interdipendenza, anche se naturalmente loro non ve lo dicono. Se il numero uno, il principio iniziale è l’intero, la sua immagine sarà fatalmente una parte, così come se la montagna è l’intero e l’unico, il suo versante sarà un aspetto particolare che però in nessun caso può far venire meno l’uno e l’intero iniziale.
L’ideologia liberale, il “libero esame” e il relativismo morale.
Se è vero che osservando la montagna da una certa angolazione e da un certo punto di vista si possono riportare valutazioni, impressioni e sentimenti soggettivi e particolari, questi però sono appunto tali, relativi al soggetto, assurda quindi la pretesa di voler modificare la montagna (cioè il giusto, il vero, la stabilità e l’immutabilità del principio originario) in base al tornaconto di particolarismi secondari. È certamente vero che ciascuno con le sue interpretazioni si crea una realtà su misura, si avvolge in una sua realtà privata che ha come base il suo particolarismo e il suo grado di maturità, dove l’io egoico recita la parte del dio e del signore assoluto, però si tratta appunto di un mondo particolare e relativo al soggetto che per questo non può essere elevato a norma universale né a realtà assoluta. Qui interviene il solito pervertimento incrociato, si vuole rendere mobile ciò che è e deve rimanere fisso e rendere fisso ciò che è e deve rimanere mobile. La relativizzazione dell’assoluto avrà come conseguenza l’assolutizzazione del relativo. Si tratta comunque di abbagli o di stupidi e vani giochini intellettuali auto-dilanianti, perché in nessun caso si potrà cambiare veramente la natura di ciò che è assoluto e di ciò che è relativo. La persona sensata e intelligente si comporta come tale, ciò che è assoluto è concepito e gestito come assoluto e ciò che è relativo è concepito e gestito come relativo. L’ideologia liberale, il “libero esame” e il relativismo morale sono accomunati dal fatto che poggiano tutti sull’io egoico e anagrafico, che è un semplice prodotto delle circostanze storiche del momento, pretendendo di elevare a norma assoluta ciò che in realtà sono piccole e banali verità relative al loro particolarismo e valide solo per questo. Certamente tutti sono liberi ed hanno il diritto di cucinarsi nel loro brodo, ma il diritto che non hanno, è di trasformare il loro brodo nel brodo dell’intero universo! Per l’ennesima volta ci troviamo di fronte a un trasferimento illecito di libertà. La libertà e la possibilità che compete solo al Principio originario, al Trascendente o all’ Assoluto, loro la trasferiscono “tale e quale” al riflesso particolare finale ed a ciò che assoluto non è. Il relativista morale parte sì da un dato di fatto oggettivo, che cioè un punto di vista particolare perviene a una verità particolare, ma invece di ammettere tale limite e unilateralismo traendone le debite conseguenze, che significherebbe ammettere l’esistenza di una verità e di una realtà stabile e immutabile e perciò “dogmatica”, agisce all’opposto, rende il punto di vista parziale e limitato stabile, definitivo e dogmatico. La libera interpretazione del vero e del giusto fatta dal fattore individuale e particolare, è come il concepire la montagna in funzione del versante, è il versante che pretende di far ruotare la montagna attorno a sé, invece di ammettere di essere un semplice aspetto particolare della montagna. Il “libero esame”, la libertà di coscienza e simili sono solamente un arroccarsi nel proprio punto di vista particolare, nella propria condizione esistenziale, nella propria condizione individuale, nel proprio io egoico, pretendendo di fare di queste realtà un assoluto. È la solita logica rovescia.
Antonio Filippini
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