Potrà sembrare strano che io abbia deciso di aggiungere una seconda parte a un articolo che, in ultima analisi, non è che il resoconto di un’intervista-recensione del mio libro Ma davvero veniamo dall’Africa?, ma le questioni che ho dovuto lasciare in sospeso nel precedente articolo sono tante e tali da renderlo opportuno, anche perché occorre non dimenticare mai che qui non si tratta di un discorso teorico, ma di una vera e propria battaglia culturale dove le idee sono armi.
A questo proposito, io tornerei per prima cosa su quella conversazione riguardo al mio libro avvenuta l’anno scorso fra Gianluca Lamberti e Nicola Bizzi, che potete trovare su You Tube e alla quale vi ho brevemente accennato prima di raccontarvi dell’intervista fattami da Luciano Tovaglieri.
Nicola Bizzi, non credo di violare un segreto di stato rivelandovelo, è l’editore delle edizioni Aurora Boreale che hanno pubblicato il mio testo. Scorrendo il catalogo di questa casa editrice, è facile rendersi conto che la battaglia culturale, l’affinare le armi intellettuali contro un sistema “di informazione” bugiardo che cerca di sottometterci attraverso l’inganno, prevale nettamente sull’aspetto propriamente imprenditoriale, e penso che l’impegno del nostro amico, sia in termini economici, sia di fatica e lavoro personale, sia superiore a ogni possibile elogio.
Un punto di quella conversazione decisamente più ampia della presentazione del mio testo, ma a mio parere assolutamente meritevole di essere evidenziato, su cui sia Bizzi sia Lamberti concordano, è che IL POTERE, quello che possiamo chiamare il NWO sedicente democratico, ha un problema, essendo composto da pochissime persone che tengono le redini e devono condizionare la vita di moltissimi, tutti noi, per poterlo fare, devono necessariamente ricorrere allo strumento della menzogna, o meglio, di un sistema complesso e articolato di menzogne, e l’Out of Africa è appunto una di esse.
Ma veniamo ora all’intervista che mi ha fatto Tovaglieri, e soprattutto ai punti che sarebbe stato opportuno evidenziare, ma, che dati i tempi tecnici della stessa, ho dovuto trascurare, o non ho potuto sviluppare adeguatamente.
Un punto cui ho accennato nell’articolo precedente, ma di cui avrei senz’altro potuto fare un’esposizione più ampia, è il rapporto fra i due testi che ho scritto, Ma davvero veniamo dall’Africa?, e il precedente Alla ricerca delle origini, pubblicatomi dalle edizioni Ritter. Io credo che si potrebbe dire che il secondo è la continuazione e l’ampliamento del primo, nel senso che nel testo pubblicatomi dalla Ritter avevo indagato le origini della civiltà, mentre nel secondo sono andato ancora più indietro, estendendo la ricerca alle origini della specie umana.
In entrambi i casi, c’è una falsificazione democratica da contrastare, e si tratta sempre di una falsificazione intesa a sminuire il ruolo dell’Europa nel lungo processo storico e preistorico che ha fatto di noi quello che siamo ora.
Se per quanto riguarda le nostre più remote origini, la vulgata, l’ortodossia che ci viene imposta come un dogma indiscutibile è la favola africana, per quanto riguarda l’origine della civiltà, lo stesso ruolo è giocato dalla favola mediorientale, la storiella che del resto trovate raccontata in tutti i libri di testo, dalle elementari all’università, a base di Mezzaluna Fertile, Egizi, Mesopotamici e via dicendo.
Tuttavia, che essa sia un falso, le ricerche più recenti l’hanno ampiamente dimostrato, ed ecco cosa ha scritto al riguardo Colin Renfrew, che è considerato il maggior archeologo vivente.
“Molti di noi erano convinti che le piramidi d’Egitto fossero i più antichi monumenti del mondo costruiti in pietra, e che i primi templi fossero stati innalzati dall’uomo nel Vicino Oriente, nella fertile regione mesopotamica. Si riteneva anche che là, nella culla delle più antiche civiltà, fosse stata inventata la metallurgia e che, successivamente, le tecnologie per la lavorazione del rame e del bronzo, dell’architettura monumentale e di altre ancora, fossero state acquisite dalle popolazioni più arretrate delle aree circostanti, per poi diffondersi a gran parte dell’Europa e del resto del mondo antico (…)
Fu quindi un’enorme sorpresa quando ci si rese conto che tutta questa costruzione era errata. Le tombe a camera megalitiche dell’Europa occidentale sono ora considerate più antiche delle piramidi e sono questi, in effetti, i più antichi monumenti in pietra del mondo, sì che una loro origine nella regione mediterranea orientale è ormai improponibile (…) Sembra, inoltre, che in Inghilterra Stonehenge fosse completata e la ricca età del Bronzo locale fosse ben attestata, prima che in Grecia avesse inizio la civiltà micenea (…) Le nuove datazioni ci rivelano quanto abbiamo sottovalutato questi creativi “barbari” dell’Europa preistorica, i quali in realtà innalzavano monumenti in pietra, fondevano il rame, creavano osservatori solari, e facevano altre cose ingegnose senza alcun aiuto dal Mediterraneo orientale.
Pertanto i collegamenti cronologici tradizionali si spezzano e le innovazioni del Mediterraneo orientale che si supponeva portate in Europa per diffusione, si trovavano ora ad essere presenti in Europa prima che in Oriente. Crolla così l’intero sistema diffusionista e con esso cadono i presupposti che hanno retto per quasi un secolo l’archeologia preistorica (…).
Si verifica tutta una serie di rovesciamenti allarmanti nelle relazioni cronologiche. Le tombe megalitiche dell’Europa occidentale diventano ora più antiche delle piramidi (…) e, in Inghilterra, la struttura definitiva di Stonehenge, che si riteneva fosse stata ispirata da maestranze micenee, fu completata molto prima dell’inizio della civiltà micenea (…).
Quell’intero edificio costruito con cura, comincia a crollare, e le linee di base dei principali manuali di storia devono essere cambiate”.
Io vi ho raccontato altre volte, e adesso non ci tornerò sopra se non in brevissima sintesi, di come è nata questa mia ricerca pluridecennale, di cui i miei due libri, ma anche moltissimi articoli che ho pubblicato su “Ereticamente” sono il frutto. Tutto nacque un giorno in sala insegnanti, da una rovente discussione con una collega, patita come molti, di oriente, che ebbe il potere di urtare il mio patriottismo europeo.
Oggi però, quando si parla di Europa occorre mettere dei paletti molto precisi. La mente corre alla UE e alla BCE, ed è assolutamente necessario insistere sul concetto che quella non è l’Europa. L’ho detto più volte, ma repetita iuvant, la UE è l’Europa tanto quanto un tumore è la persona che ne è affetta. Questa pseudo-Europa non è che la sponda sul nostro continente del dominio del NWO. Quando parlo di Europa intendo i suoi popoli, la sua gente, la sua storia, la sua cultura.
Io ho spiegato che, anche nell’ipotesi che si dovesse riconoscere una lontana origine africana, ma le evidenze sia fossili, sia genetiche non vanno in questa direzione, nondimeno, è stata l’Europa a plasmarci, facendo di noi quello che siamo.
Io credo che un fattore determinante siano state le variazioni stagionali con l’alternarsi non soltanto di tempo favorevole e inclemente, ma quello che più conta, di abbondanza e penuria di risorse, esse hanno portato i nostri antenati a sviluppare il senso della preveggenza, la necessità di pensare ai tempi futuri, la necessità di fare scorte nei periodi di abbondanza per affrontare quelli di magra che inevitabilmente seguiranno.
Contestualmente si sono sviluppate altre qualità, come la cura della famiglia e della prole, una più affinata percezione del trascorrere del tempo che, non a caso, nelle culture tradizionali è sempre visto ad andamento ciclico.
Quando si poteva parlare più liberamente di queste cose, senza i mille intralci del politicamente corretto, qualcuno aveva osservato che l’uomo europeo si preoccupa dei prossimi anni, mentre l’africano pensa al più alle prossime ore.
Anche per quanto riguarda la famiglia e la cura della prole si potrebbe fare una comparazione simile. Riguardo all’Africa non abbiamo statistiche attendibili, ma ne abbiamo, eccome, riguardo agli afroamericani, dalle quali si nota che tra separazioni, divorzi, abbandoni, il maschio afroamericano non tende per nulla a occuparsi della famiglia e dei figli, e abbiamo tutti i motivi di presumere che per quanto riguarda l’Africa vera e propria, la situazione non sia affatto differente. Costoro replicano il modello comportamentale degli antropoidi maschi che non affidano la continuità dei propri geni alla cura della prole, ma al fatto di ingravidare più femmine possibile.
Noi dunque siamo figli dell’Europa in ogni senso, prodotto ultimo delle necessità e delle sfide che il nostro continente ha imposto a coloro dai quali discendiamo.
Devo ammettere che non saprei spiegarlo meglio di come ha fatto Dominique Venner, con parole tanto più importanti, in quanto suggellate col sangue dell’estremo sacrificio.
“Io sono figlio della terra degli alberi e delle foreste, delle querce e dei cinghiali, delle vigne e dei tetti spioventi, delle epopee e delle fiabe, del Solstizio d’inverno e di San Giovanni d’estate…Il santuario in cui vado a raccogliermi è la foresta profonda e misteriosa delle mie origini. Il mio libro sacro è l’Iliade così come l’Odissea, poemi fondatori e rivelatori dell’anima europea.
Questi poemi attingono alle stesse fonti delle leggende celtiche e germaniche, di cui manifestano in modo superiore la spiritualità implicita. Del resto non tiro affatto una riga sui secoli cristiani. La cattedrale di Chartres fa parte del mio universo allo stesso titolo di Stonehenge o del Partenone. Questa è l’eredità che occorre assumere. La storia degli Europei non è semplice. Essa è scandita di rotture al di là delle quali ci è è dato di ritrovare la nostra memoria le la continuità della nostra Tradizione primordiale”.
Una cosa del massimo interesse del mio libro così come è stato edito dalle edizioni Aurora Boreale, ma di cui non sono riuscito a parlare nell’intervista, e me ne dispiace molto, ma ricordate che ho dovuto sintetizzare in un’oretta di conversazione un testo di trecento pagine, è l’eccellente prefazione di Eugenio Barraco, che ha forse l’unico torto di aver dato del mio testo una valutazione superiore ai miei meriti.
“Questo libro non è soltanto una semplice raccolta di saggi pubblicati sul sito web EreticaMente.net dal 2011 al 2018. Questo libro è uno strumento di risveglio, come ammonisce Julius Evola nei suoi Orientamenti (…).
La scienza moderna, proiezione diretta del mondo accademico, insiste con la cosiddetta teoria Out of Africa, secondo la quale le prime tracce di vita dell’uomo preistorico avrebbero origine in Africa, più precisamente nelle zone centro-orientali (…).
Le argomentazioni dell’Autore, lungi dal risolversi in un mero narcisismo intellettuale da esercitarsi contro una corrente di pensiero avversa, costituiscono piuttosto un’autentica battaglia culturale, financo una guerra di posizione”.
Naturalmente, questo non è che un piccolissimo stralcio.
Devo dire che questa prefazione mi ha fatto molto piacere per i suoi toni elogiativi, ma mi ha anche messo un po’ in imbarazzo, infatti il costante riferimento a Julius Evola non vorrei che inducesse qualcuno a pensare a una comparazione tra il gigante del pensiero “nostro”, e il mio lavoro, che non può che scomparire a tale confronto.
Devo poi correggere un’inesattezza del nostro eccellente Eugenio. E’ assolutamente vero che la maggior parte dei saggi che compongono questo libro, seppure presenti qui in forma perlopiù rielaborata, sono già apparsi sul sito web di “Ereticamente”, ma c’è almeno un’eccezione, il saggio La mistificazione della storia come arma da guerra.
La tematica di quest’ultimo è presto detta. Tutto l’articolato sistema delle falsificazioni democratiche, la favola dell’origine africana, quella dell’origine della civiltà a oriente e altre ancora, più che propaganda in senso stretto, costituiscono delle vere e proprie armi da guerra.
Guerra di chi contro chi? Ce lo spiega lo scrittore “statunitense”, ma in realtà appartenente al “popolo eletto”, proprio come Marx, Freud, Einstein, Noel Ignatiev.
“L’obiettivo di abolire la razza bianca è così desiderabile che è difficile credere che possa trovare un’opposizione diversa da quella dei suprematisti bianchi”.
In tutta sincerità, mi sono imbattuto in questa frase davvero rivelatrice delle intenzioni nei nostri confronti, mentre avevo in corso d’opera la stesura del libro, e praticamente, ho costruito il saggio (l’articolo, il capitolo, come volete) intorno a essa.
Naturalmente, sono andato a verificare su Wikipedia l’appartenenza, diciamo etnico-religiosa di Noel Ignatiev, ma già prima di compiere questa verifica, sarei stato pronto a scommettere tutti i miei soldi e anche la casa su di essa, e ci avrei azzeccato.
Ora, non pensate che sia degno di riflessione il fatto che un gruppo etnico-religioso che costituisce meno dello 0,3 per cento dell’umanità sia autore del 100 per cento delle idee della cosiddetta democrazia occidentale?
In poche parole, è una guerra, e non ci tireremo certo indietro dal combatterla.
NOTA: Nell’illustrazione, a sinistra, il mio libro Ma davvero veniamo dall’Africa?, al centro e a destra, locandine della presentazione dei miei libri.