18 Luglio 2024
Libreria Recensione

La festa dei folli – Andrea Lombardi

Jacques Terpant è uno dei pochissimi disegnatori di fumetti a essersi dedicato alla impegnativa figura di Louis-Ferdinand Céline. Doppiamente impegnativa, perché pochi autori, tra i Grandi della letteratura, possono attirare così tanti strali su chi se ne occupa, sia da una purtroppo ormai rinascente coorte di detrattori viste le controverse opinioni di Céline sugli ebrei, sulle razze e sul progressismo occidentale e comunista e su quasi tutti i temi sui quali si può fare polemica, sia da un agguerrito parterre di céliniani incalliti, pronti a contestare una interpretazione, una data errata, un anacronismo.

Tra i pochi precedenti, ricordiamo il Voyage au bout de la nuit magnificamente illustrato da Jacques Tardi, primo volume della collana di fumetti Futuropolis di Gallimard nel 1988, seguiti da Mort à credit e Casse Pipe, e il fumetto La cavale du Dr Destouches, con soggetto di Christophe Malavoy e disegni di Gaëtan Brizzi e Paul Brizzi, pubblicato nel 2015 sempre da Futuropolis/Gallimard, invero poco originale nel suo presentare un Céline eccessivamente caricaturale nel disegno e nelle sue vicende tra Sigmaringen e Meudon.

La sfida accettata e vinta da Jacques Terpant, veterano della seminale rivista di comics “Métal Hurlant” e non nuovo all’adattamento a fumetti di romanzi, vedi il suo bel Sept Cavaliers di Jean Raspail, assieme allo sceneggiatore Jean Dufaux, è stata quella di non limitarsi a illustrare la vita – anzi, le molte vite: soldato, direttore di piantagione, medico, bohémien, scrittore, e, infine, reprobo – di Louis-Ferdinand Céline, ma di tentare un Viaggio nella sua notte interiore: nei suoi pensieri, ricordi, fantasmi. Terpant scandisce nel fumetto questi sguardi con i suoi colori: il bianco e nero della quotidianità di Céline a Meudon nelle sue ultime settimane di vita, sfondo del fumetto, è rotto da incursioni di rosso sangue quando irrompono nella mente di Céline i terribili ricordi della Guerra, del 1914 sul fronte occidentale o del 1940-1945 tra la Francia della Collaborazione e la Germania del Reich in rovina, di giallo ocra per i ricordi più piacevoli, dalla scanzonata banda degli artisti di Montmartre alle sue donne – la spregiudicata e bellissima americana Elisabeth Craig[1], la ora 105enne Lucette Almansor, eterna vestale dell’opera céliniana – all’uscita del Voyage au bout de la nuit, agli incontri con i suoi amici: Arletty, Michel Simon, Roger Nimier… e infine di verde bronzo per le allucinazioni, perché come riferisce Terpant stesso in un’intervista, secondo lo storico del colore Michel Pastoreau “il verde è il colore della follia”. E infatti è verde la ricorrente apparizione del giovane corazziere D

estouches, che seguirà Céline lungo tutto il fumetto, sino alla morte: d’altronde, Céline è opera sua; come dirà egli stesso a Pierre Ordioni nel 1939:

Senza il maresciallo d’alloggio Destouches, non ci sarebbe mai stato Céline. Vedrà, al ritorno non sarà più lo stesso. […] La guerra vi fa smaltire la sbornia.

Il lettore attento noterà come in quasi tutte le tavole Terpant disegni almeno una volta Céline (come anche altri personaggi, da Lucette a Robert Le Vigan a Michel Simon) partendo dalle fotografie dell’epoca, dal Louis bambino nell’incontro immaginario con Arletty, a quelle dell’elegante dottor Destouches degli anni ’20-’30 sino alle numerose immagini immortalanti il Céline rivestito di abiti consunti e circondato da randagi scattate dall’amico e fotografo Duverger: l’esperimento non appare però forzato, donando anzi vividezza e imprimendo originalità alla narrazione grafica.

Allo stesso modo, l’intelligente parafrasi operata da Jean Dufaux del lessico e dell’argot, dei pensieri, delle intuizioni e delle opinioni della trasposizione a china di Céline dà spessore biografico al personaggio senza farlo scadere nella citazione scontata. Ciò è evidente per esempio nell’incontro con Roger Nimier, il romanziere, agitatore culturale della corrente degli Ussari e grande amico e agente letterario di Céline, dove le considerazioni céliniane sul “pericolo giallo”, sui rischi della TV e sulla società contemporanea e il suo strapazzare il su  o editore Gallimard, in impaziente attesa della bozza di Rigodon – che Céline consegnerà effettivamente qualche ora prima di morire – sono tratte da diverse sue interviste, senza che questo appaia forzato; come può verificare il lettore stesso leggendole qui:

La TV è pericolosa per gli uomini.

L’alcolismo, le chiacchiere e la politica ne fanno già dei bruti. Era proprio necessario aggiungerci qualcos’altro?

Ma bisogna pur ammetterlo. Non si reagisce contro il progresso. Vi verrebbe mai in mente di cercare di risalire le cascate del Niagara a nuoto? No. Nessuno potrà impedire la marcia in avanti della TV. Cambierà presto tutti i modi di ragionare. È uno strumento ideale per la massa. Rimpiazza tutto, elimina lo sforzo, assicura una gran tranquillità ai genitori. I bambini si appassionano a questo fenomeno.

C’è un dramma oggi: si pensa senza sforzo.

Si sapeva molto meglio il latino quando non c’erano grammatiche latine. Se semplificate lo sforzo, il cervello lavora meno. É un muscolo il cervello: si inflaccidisce.

Un esempio: le donne avevano dei bei polpacci sotto l’Occupazione. Marciavano. Oggi, è il trionfo della meccanica, siamo nel reame delle belle macchine. Le donne non hanno più di gambe, sono mostruosamente laide. Gli uomini hanno la pancia. (intervista con Jacques Chancel, 1958)

È il tempo del colore giallo… il nero e il bianco si mischieranno e il giallo dominerà, ecco. È un dato di fatto biologico, quando bianco e nero si mischiano, il giallo ne esce più forte, questa è l’unica cosa… tra duecento anni qualcuno guarderà la statua di un uomo bianco e chiederà se una cosa così strana fosse esistita realmente… e qualcuno risponderà: “Ma no, deve essere stata ridipinta”.

Questa è la risposta! L’uomo bianco appartiene al passato… è già finito, estinto! È il turno per qualcosa di nuovo. Qua tutti parlano, ma non sanno nulla… lasciateli andare laggiù, e vedrete che le chiacchiere sono tutt’altra musica là, sono stato in Africa, so com’è, so che è molto forte, sanno dove stanno andando a finire… l’uomo bianco ha seppellito la sua testa troppo a lungo nell’utero… ha lasciato che la chiesa lo corrompesse, tutti si son fatti tirar dentro… non ti è permesso di dire questo… il papa ti guarda, stai attento… non dire nulla! Il cielo lo proibisce… NO! È un peccato… sarai crocifisso… stai a cuccia… sta buono… non abbaiare… non mordere… ecco la tua pappa… zitto!

Non c’è niente dentro di loro… sono come dei tori, sbandiera qualcosa per distrarli; tette, patriottismo, la chiesa, qualunque cosa, in effetti, e salteranno. Non ci vuole molto, è facilissimo… vogliono sempre essere distratti… niente importa… la vita è molto facile. (intervista con Robert Stromberg, 1961)

Scriverà un altro libro? Sì, un altro. Per Gallimard, sicuro. Mica mi molla, sto farabutto! L’ho rintronato, glien’ho dette di tutte… Roba da fucilazione… Roba da rispedirmi dentro, a vita… Non ha fatto una piega! Poi viene un altro editore, e gli fa “Me lo prendo io, il Céline. Le pago i debiti, rilevo le opere, lei non avrà più a che fare con quel losco figuro”. Mica c’è cascato!… Ci ha mica tanti scrittori, in cassaforte. Non fa che ricevere sbobba, roba rachitica, compiti in classe di pennivendoli… (intervista con Madeleine Chapsal, 1957)

Non lasciava quasi più casa sua. Dalla sua collina di Meudon, scrutava Parigi e, entrando in una sorta di trance, indicava da quale porta della città sarebbero entrati i cinesi, indicandola con sicurezza.

“La Rivoluzione, Duverger – ripeteva – noi la vediamo compiersi ogni giorno. La sola, la vera, è il bracciante negro che si monta la piccola servetta bretone. Tra qualche generazione, la Francia sarà completamente meticciata, e le nostre parole non vorranno più dire nulla. Che piaccia o no, l’uomo bianco è morto a Stalingrado”. (conversazione con Pierre Duverger)

Semmai, una piccola bavure in questa serie di tavole è l’attitudine in qualche modo distante e la mancanza di complicità tra Nimier e Céline, i quali erano invece legati da una sincera stima e vivacissima simpatia, come evidente nelle lettere tra i due, e nella citazione che Céline fa di Nimier proprio in Rigodon

Due anni che non ho visto Nimier… “Pronto! Pronto…” Mi lascia neanche cominciare… lui che ha detto delle cose! al diavolo il Viaggio, Gromiko, Triolet e il resto!… della sua macchina che vuole parlarmi, completamente nuova, così bella, in plastica… comprata apposta per venirmi a trovare! È un modo di uscire dal tempo, dalla gente e dallo spazio… comprarsi delle macchine nuove!… sono d’accordo, lui si diverte…

Tornando al fumetto, come è toccante la vicenda di fantasia ma pienamente verosimile della vagabonda Manon e del suo Marco, il cui tragico esito nel fumetto risulterà fatale per Céline, sono potenti l’allucinante irrompere sulla scena della galea con il suo equipaggio di poilu scarnificati, e Caronte e Le Vigan – galea che Karl Epting, direttore dell’istituto tedesco di Parigi, trovò adatta come metafora per la vita dello scrittore francese in suo ricordo

Céline ha dovuto pagare caro nella sua vita ciascuno dei suoi passi. Nei suoi discorsi, disse più di una volta che si sentiva “incatenato alla galea”. Dovette vogare notte e giorno, costretto a questa vita che fu, come quasi nessun’altra, un viaggio attraverso la notte, attraverso le oscurità del nostro mondo, nel destino interiore come nell’esteriore.

e la visione della “Festa dei folli” di Van der Heyden, dove è citata una frase del Viaggio al termine della notte che vale la letteratura, e la vita intera.

La Verità di questo mondo è la Morte. Bisogna scegliere, morire o mentire.

 

 

 

 

 

 

 

NOTE

 

 

[1] Così ricordata dal pittore Henri Mahé:

 

Elizabeth Craig… Lili… Dei grandi occhi verde cobalto… Un piccolo naso sottile… Una bocca rettangolare sensuale… dei lunghi capelli rosso oro cascavano a bioccoli sulle spalle… Il culo anche, bello alto!… Delle gambe da ballerina… Da farsene una collana… […] Per la strada, era spesso importunata, seguita. Flemmatica, senza neanche uno sguardo, diceva semplicemente: “Sono cento franchi!” Radicale! L’uomo si allontanava, la coda tra le gambe… Non concedeva le sue grazie che ai vecchi amici e alle giovani amiche di Louis, se questo divertiva Louis… E questo lo divertiva spesso… Lei non avrebbe tradito Louis per un Impero! […] Lui, le dedicherà il Viaggio al termine della notte

 

Andrea Lombardi

 

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