Che sia arduo “fare filosofia” nel XXI secolo, è cosa nota. Da una parte la grandezza abissale dei pensatori che hanno preceduto il nostro secolo rende ogni tentativo di confronto un’impresa di estrema difficoltà; dall’altra, l’innesto stesso del pensiero attuale, imperniato sulla differenziazione e la specializzazione del sapere, introduce un altro elemento scoraggiante per chi tentasse la suddetta impresa. È anche per questo che i tempi recenti hanno prodotto pensatori via via più sottili, ovvero privi di spessore, e hanno contribuito a degradare il filosofo ad opinionista; molti di costoro si riversano nella discussione politica quasi che questa fosse l’unico campo d’azione della speculazione, e in loro, effettivamente, è così. Ma la filosofia è ben altro: essa è amore per il sapere in quanto tale, e perciò non può (e non deve) prescindere da una sostanziale unità della umana conoscenza come presupposto.
È in questo contesto che l’opera del Franz si abbatte come un uragano, soffiando idee impetuose sui lasciti effimeri e inconsistenti della speculazione odierna, sui pensieri deboli, sui non-pensieri e sul relativismo di convenzione. Ciò che colpisce, prima ancora della teoria in sé, è l’atteggiamento con cui l’autore vuole dispensarla: essa cala dall’alto, da una evidente ispirazione sovrarazionale che la affranca dalla necessità ossessiva di giustificazione, essa è una rivelazione che si palesa e che matura la sua validità in virtù della sua sola forza impressiva. E come ogni impressione, si può decidere del suo grado di intensità, non certo discorrere della sua verità – ciò suonerebbe come la domanda “È vero il dolore che sento?” – ossia totalmente priva di significato. Ciò detto, “La Storia come organismo vivente” è un’analisi della rivelazione in quanto postulato e dei corollari che da essa derivano; un’analisi tremendamente pulita e schietta, lucida, a tratti brutale, che raggiunge però vette di rara finezza e conclusioni di portata spaventosa.
Nella storia del pensiero, che lo stesso Franz ripercorre nell’opera, si possono individuare dei motivi portanti – ad esempio l’uomo come misura di tutte le cose del rinascimento, il logos dei greci e così via – che fungono da motore d’avvio per la speculazione; essi sono l’ossatura di tali sistemi di pensiero, ne determinano gli assunti e gli orizzonti, e in definitiva, li delimitano. A ciò si congiunge l’indole del pensatore, che di volta in volta riconosce e si riconosce, se non in un principio, quantomeno nel solco e nelle direttrici di un dato motivo nella sua personale interpretazione – e si hanno allora l’Io Cartesiano, o l’aspirazione scientifica di Kant, o lo spirito assoluto Hegeliano. Tutti costoro, nessuno eccettuato, hanno magnificato una certa assunzione, hanno adottato un punto di vista fondante, hanno riconosciuto, in definitiva, una certa predominanza: Cartesio nel soggetto della conoscenza, Kant nel sistema della conoscenza, Hegel nella manifestazione della conoscenza. Costoro hanno assegnato un peso diverso alle diverse sfaccettature dell’esistenza; questo fa il filosofo quando costruisce o demolisce valori, questo fa anche Franz, liberandosi della imponderanza e della inconsistenza – che quasi sfocia nell’ignavia – di molti “filosofi” odierni. Egli riconosce con maniera decisa alla Storia – non all’individuo, non al pensiero, né al mondo in quanto tale – il massimo peso. Essa non è oggetto, come per lo storico, non è pluralità di soggetti, come per il senso comune e non è soggetto come lo si intende da quattro secoli a questa parte. Essa è essere vivente, non quanto inerziale divenire, né quanto astratta incarnazione dello spirito, ma come puro e semplice organismo, come entità corporea. E in quanto corporea, la Storia respira e pulsa – in un meccanismo di contrazione ed espansione, dice il Franz – perseguendo un ciclo vitale. Tuttavia, lontana dall’essere un’entità circolare, e perciò chiusa, essa tende al superamento di sé stessa – come ogni altro organismo. Ecco dunque che si schiude una prospettiva nuova nella lettura della Storia e degli eventi: in quanto corpo, ella vive di pulsioni, di istinti, di tensioni; i moti storici ne sono l’esemplificazione. Ogni età viene letta come si farebbe con un essere umano: essa ha una sua infanzia, una sua adolescenza e una sua maturità – con tutte le inflessioni che questo comporta.
In questo percorso Franz incontra e si scontra con diversi pensatori. Trattandosi di consacrati giganti del pensiero, è bene determinare come il confronto si stabilisce e come, eventualmente, si risolve. Avendo individuato nella Storia l’oggetto privilegiato della sua riflessione, egli non può non essere accostato a Hegel. Ma mentre quest’ultimo descrive una creatura assoluta, manifestazione definitiva dello spirito, e perciò portatrice dell’unione indissolubile di reale e razionale, Franz desublima la forma vitale e riconosce nella Storia un organismo vivente, pertanto imperfetto, collocato in uno spettro molto più ampio di cognizioni, in cui figurano l’irrazionalità e il sentimento, finanche la tensione erotica, che egli le attribuisce in uno straordinario balzo di prospettiva. E nonostante ciò egli non giunge mai a negare lo spirito, esaltandolo anzi nel quadro completo delle sue inflessioni; egli non giunge mai a ridurre la Storia ad un singolo, mero, principio di espansione o sopravvivenza: è per questo che un abisso lo separa dal materialismo post-Hegeliano. Ma il vero contendente, che pure fornisce a Franz la sua massima ispirazione, è Nietzsche. Egli ne conserva e ne riprende molti aspetti, non ultimo il dualismo tra Apollineo e Dionisiaco; eppure ne rifiuta categoricamente la tesi dell’eterno ritorno.
Si avverte in tutta la sua drammaticità l’unicità della Storia e la marginalizzazione, in qualche modo, del suo andamento ciclico. Ciò ci conduce inevitabilmente al quesito – La Storia è in grado di conoscere? – se non lo fosse, d’altro canto, come potrebbe superarsi? Se la Storia è organismo vivente, essa è probabilmente anche organismo pensante – e il suo pensare, per quanto anteposto, è pensare privo di soggetto. La sua attività cogitante si pone a prescindere dal soggetto e dai soggetti, è, come definito dall’autore, il Pensiero Esteso. Qui si verifica forse la rottura più significativa con il pensiero della modernità: Franz giunge alla terrificante – e perciò illuminante – conclusione che il pensiero può fare a meno della diade soggetto-oggetto. Non solo: la dicotomia stessa essere-pensiero, assunta come fatto primitivo e inalienabile dalla modernità, è messa in crisi – e in proposito non possiamo non rammentare come Nietzsche avanzasse il sospetto che in questa dicotomia non vi fosse altro che un enorme malinteso dovuto alla struttura delle lingue indoeuropee, e nulla di più. Ciò che per Hegel si traduceva in un mero avvicendamento dialettico, chiuso su sé stesso, centrato su sé stesso, diviene qui la complessa attività cogitante del Pensiero Esteso, che è per sua natura aperto e decentrato, pertanto mutevole finanche nel suo scheletro – e anche questo, sia detto, discosta il Franz dall’atteggiamento Hegeliano, nell’onesta cognizione che tutto è perfettibile e suscettibile di superamento.
La suddetta opera, in cui mi sono imbattuto quasi per caso, merita, a mio avviso, una lettura e una discussione approfondite, sia per la forza devastante della teoria, sia per l’audacia delle sue conclusioni. Dal canto mio, sono sicuro che qualsiasi speculazione filosofica propriamente detta non potrà prescindere dalla lettura e dal confronto con “La Storia come organismo vivente” – purché, beninteso, essa aspiri a ricoprire il ruolo che spetta alla filosofia, e che Franz ha magistralmente perseguito, di collante universale del sapere.
Aniello Quaranta
Nato a Battipaglia nel 1991, risiede attualmente nel salernitano. Ha conseguito la laurea in Fisica presso l’Università degli Studi di Salerno, dove sta completando i suoi studi di Fisica Teorica.