L’idealismo assoluto di Hegel ha implicato l’eliminazione totale di ogni trascendenza, ammettendo come unica realtà il mondo del pensiero e del mentale umano e quindi il mondo dell’uomo, e interessandosi solo delle leggi che governano tale mondo. Errore fatale, perché pensiero e idea, intelletto e ragione umana e perfino l’uomo stesso, sono elementi intermedi e intermediari, ponti di collegamento che come tali implicano due sponde opposte da collegare, sponde che non vanno intese solo in senso orizzontale (interno-esterno, soggetto-oggetto, uomo-natura ecc.), ma anche in verticale (Superiore-Inferiore, Trascendente-Immanente, Infinito-Finito, Incondizionato -Condizionato, ecc.) e qui si trovano in rapporto gerarchico. Il razionalismo illuminista di due secoli fa, con le sue rivoluzioni, ha estratto fuori il mentale isolandolo in se stesso e facendone un assoluto, e lo ha contrapposto ai due ordini di realtà superiore e inferiore, ne è derivato così il “mondo moderno”, una realtà completamente artificiale, poiché estratta fuori dalla vera realtà nel suo duplice aspetto. Qui giova ricordare che idealismo, umanismo e immanentismo sono strettamente associati e sinergici, si giustificano e si sostengono a vicenda.
Confusione dell’intelletto con la ragione. Teniamo sempre presente che l’intelletto di Hegel e soci non ha nulla a che vedere con l’intelletto della Tradizione e del Guenon, è più che altro la sua contraffazione; l’intelletto di questi filosofi è la semplice “ragione” del Guenon. Questo capovolgimento di significato è molto significativo e sintomatico (di inversione gerarchica), anche se però non è nemmeno tale, perché c’è stata una pura e semplice negazione dell’intellettualità superiore. Volendo fare delle comparazioni, l’intelletto di Hegel è la ragione del Guenon e la ragione di Hegel è il razionalismo degli scientisti moderni; nella filosofia idealista non vi è traccia dell’intelletto superiore, negato per principio.
La negazione della trascendenza è frutto di un pregiudizio e anche di ignoranza, si sostiene che tutto quanto è trascendente ci è incomprensibile e perciò è inesistente, guardandosi bene dallo specificare il punto di vista, cioè chi è che parla e stabilisce questa credenza. Se è l’io umano che parla, questo è valido solo per tale io, ma l’io è solamente una proiezione, un riflesso del Sé, e quindi ciò che vale per l’io non può valere per il Sé. Se è il mattone che parla, è ovvio che per questo l’architetto e il muratore, come esseri, sono realtà incomprensibili e perciò sarebbero inesistenti!
Un altro tipico pregiudizio è la separatività; la triade citata sopra (idealisti, umanisti, immanentisti) nega il rapporto gerarchico e il rapporto trascendente perché sarebbero separativi, stabilirebbero una frattura incolmabile che negherebbe l’unità del tutto, mentre l’unica cosa che negano, è il loro concetto morboso e malsano dell’unità! Costoro interpretano la trascendenza e la gerarchia in chiave spaziale: siccome l’architetto ha un’esistenza separata e autonoma dal mattone e dall’edificio, questa sarebbe una separatività che negherebbe l’unità del tutto! Invece l’architetto progettando e il muratore costruendo, stabiliscono un contatto e lasciano una traccia mnemonica del loro agire e del loro essere nel prodotto finito, quindi la coscienza-mattone, volendo, ha la possibilità di risalire la traccia creativa rimasta congelata nell’edificio, a condizione però di “mollare la presa” dal ciò che è in quel momento per identificarsi direttamente con il muratore e con l’architetto. Da questo punto di vista, l’affermazione di certi spiritualisti: “noi siamo Dio” è doppiamente falsa, sia in senso immanentista (Dio è fatto di noi), sia perché chi parla in questi spiritualisti è il loro io, e l’io è una semplice proiezione di un principio superiore, è quest’ultimo che è anche l’io, mentre l’io completamente identificato in se stesso non è Dio.
La separatività e l’indipendenza esteriore dei tre fattori creativi (questo vale anche per tutti gli ordini gerarchici e i gradi di realtà), è necessaria per garantire loro autonomia e libertà, è follia pretendere di eliminare questa separatività, che è solo “in manifestazione”, cioè corporea e spazio-temporale; è più che giusto che le vicissitudini dell’edificio in esistenza materiale non si ripercuotano sui suoi costruttori e viceversa (con grande scandalo per gli immanentisti), perché il rapporto è gerarchico e perciò governato dalla trascendenza, e l’unità è garantita dall’asse centrale informale e non manifesto che perciò garantisce piena autonomia a ogni livello.
La catena creativa deve essere risalita e non invertita, la creatura potrà sempre risalire al creatore (nonostante il dislivello gerarchico), in ragione del collegamento stabilito dal processo creativo, a patto però di mollare la presa in basso, cessando di identificarsi con la sua condizione inferiore; la sovversione mira invece a capovolgere il processo creativo, fissandosi sull’elemento inferiore e facendo di questo il solo fattore determinante. È il mattone che pretende di aver concepito il muratore e l’architetto affinché questi lo creassero, quindi non esiste alcun architetto e muratore, esiste solo il mattone! Non ha altro senso il famoso circolo dell’autoriflessione dell’io, dove l’io esce da sé per rientrare in sé allo scopo di determinarsi da sé; o là c’è il mentale che vuole comprendere se stesso da se stesso senza uscire da se stesso ed è come se una pinza pretendesse di afferrare se stessa; così come lo strumento-pinza implica l’esistenza di colui che la impugna e la cosa da afferrare, lo stesso è per il mentale, che implica colui che lo dirige e l’elemento da plasmare.
La consapevolezza implica sempre uno specchiarsi in verticale fra diversi livelli di realtà, mentre la filosofia, essendosi ridotta al semplice mentale, esprime semplicemente la coscienza di questo unico livello, da qui il suo fondamentale e ineliminabile immanentismo. Là dove i filosofi parlano di “spirito”, è sempre del mentale o dello psichico che si tratta, definiscono ”spirito” il semplice prodotto culturale umano, mentre questo è un semplice riflesso inferiore di un’essenza più profonda e di un potere superiore che hanno per questo la capacità di produrlo. Qui si inserisce la deriva immanentista, produttore e prodotto, creatore e creatura sarebbero la stessa cosa e starebbero in rapporto interdipendente, che è come dire che l’architetto sarebbe soltanto le sue opere concepite e realizzate e starebbe pure in rapporto interdipendente con esse, mentre in realtà il potere di “fare”, di concepire, di creare, è sempre in rapporto gerarchico con la cosa concepita e realizzata.
Chiedersi se Marx è idealista o materialista, questa è già un’impostazione sottilmente deviante, perché induce a credere che l’idealismo sia spiritualismo, invece è solamente mentalismo, e siccome il mentale è contiguo al corporeo, l’idealismo è solo materialismo trasposto, come accusava giustamente il Guenon. Si deve sempre stare attenti al trucco dell’ “impostazione del problema”, impostando il problema in quel certo modo, si imporrà un certo orientamento e una certa risoluzione del problema. La stessa accurata specificazione in termini filosofici della questione se Marx sia idealista o materialista, è essa stessa fuorviante, perché induce a credere che la filosofia stia al vertice della piramide della conoscenza umana e abbia la parola ultima su tutto, invece così non è; ci si deve pure chiedere per quale motivo per impostare o valutare certe questioni politiche o sociali ci si debba per forza mettere davanti agli occhi Marx, Hegel o qualsiasi altro filosofo, si può percorrere anche altre vie non filosofiche.
Per quanto riguarda il rapporto di Marx con Hegel, è evidente che senza Hegel non ci sarebbe mai stato alcun Marx; Marx è andato a scuola da Hegel e questo in senso letterale. È evidente che ha ragione Jean Daujat, che nel suo: “Conoscere il comunismo” ci descrive le varie tappe attraverso le quali la catena filosofica idealista è “evoluta” fino al materialismo dialettico di Marx e Engels. A tanto si ha tanto. La filosofia idealista era obbligata ad arrivare al materialismo dialettico, stante le premesse e le impostazioni iniziali. Il materialismo dialettico è quindi il frutto più maturo dell’albero filosofico idealista, ed è stato detto: “conoscerete l’albero dai suoi frutti”, allora: “a buon intenditor poche parole”! Il frutto implica il seme, e che cos’è il seme se non la codificazione rovescia del processo di sviluppo della pianta; siccome il materialismo dialettico risulta essere l’inversione dell’hegelismo, anche se ne mantiene la dialettica, e l’idealismo assoluto di Hegel è il vertice della catena filosofica idealista e quindi la riassume in sé, allora il materialismo dialettico è la codificazione rovescia dell’intero albero filosofico idealista.
Si è già visto che la filosofia soffre dei limiti, per cui è un errore vederla come il vertice supremo della conoscenza umana; la filosofia non è in grado di risolvere i problemi ultimi dell’essere, questo perché è semplice mentalismo. Magari il filosofo può avere ragione nel suo piccolo e nel suo particolare, ma appunto per questo ha torto nel grande e nell’universale, perché parte dal basso verso l’alto e perciò finisce per vedere l’alto in funzione del basso. Errore che non commette il vero metafisico, il quale parte sempre dall’alto e dall’universale verso il basso e il particolare.
Dice il Guenon: “Più angusti sono i limiti di una concezione, più essa è considerata strettamente “razionale”; “i più accaniti negatori di ogni realtà soprasensibile mostrano una tendenza particolare ad invocare la “ragione” ad ogni piè sospinto e a proclamarsi razionalisti”. Molti vedono Hegel come un santone o un “maestro” spirituale; in realtà Hegel è il tipico filosofo moderno, pieno dei pregiudizi tipici di tale mondo, è un autore completamente profano e totalmente privo della vera conoscenza metafisica. Anche su questo argomento Guenon è formidabile: “Il punto di vista profano è nato all’inizio da un difetto di comprensione, quindi da una limitazione delle facoltà umane, questa stessa limitazione, con l’accentuarsi e l’estendersi a tutti i campi, sembra a posteriori giustificarlo, almeno agli occhi di coloro che ne sono afflitti; per quale ragione essi dovrebbero mai ammettere l’esistenza di cose che non possono più realmente né concepire né percepire, cioè di tutto ciò che potrebbe mostrare loro l’insufficienza e la falsità del punto di vista profano?” (Tratto da “Il regno della quantità e i segni dei tempi”).
Il filosofo andrà sempre soggetto a quell’altro limite che si chiama “soggettivismo”; questo è particolarmente vero per il filosofo idealista, che nega l’esistenza della “cosa in sé”. Il filosofo, elaborando quel dato sistema filosofico o dando luogo a quella data impostazione, non fa altro che “dare via del suo”. È davvero da ingenui credere che il sapere filosofico sia un sapere neutro, impersonale e oggettivo, in realtà risente e risentirà sempre della condizione esistenziale in cui si trova il soggetto che ha elaborato tale sapere. Il filosofo parte dal suo io e dalla condizione esistenziale del momento: che cosa fa questo io? Piega tutto verso di sé e adegua ogni cosa alla sua condizione esistenziale. Non esiste né può esistere l’imparzialità o l’impersonalità filosofica, le teorie filosofiche risentiranno sempre della condizione esistenziale di colui che le ha elaborate. Il filosofo non potrà mai eliminare del tutto quel: “dare via del suo”, perché il soggetto agente si trova appunto in quella data condizione esistenziale e in quel dato stato di coscienza che finiranno fatalmente per essere confermati filosoficamente. L’Evola filosofo, per esempio, non ha fatto altro che codificare filosoficamente la sua tensione ideale interiore, la sua etica, il suo orientamento che prevaleva in quel momento, e questo vale per qualsiasi altro filosofo.
Collocare il mentale sul trono ha i suoi inconvenienti, uno dei quali è che così viene meno quel principio superiore chiamato “spirito” che dovrebbe guidarlo, orientarlo e anche trattenerlo, e allora il mentale andrà soggetto a tutta una serie di influenze sottili di cui ignora la natura e che non sa riconoscere e verso le quali non ha alcuna difesa. Così mentre i principali responsabili della catena filosofica idealista recitano la parte di protagonisti, essi in realtà si trovano nelle stesse condizioni di quelle palline senza freni che, poste su di un piano inclinato, non possono che rotolare automaticamente nella direzione che altri hanno voluto e stabilito, e così i nostri filosofi sono rotolati giù fino al materialismo dialettico! Morale della faccenda: quando si è su di un piano inclinato, bisogna badare di essere delle palline con i freni!
L’elasticità mentale e di coscienza. La filosofia, nonostante molti credano il contrario, è una scienza specialistica, come lo scientismo moderno, e ogni specializzazione è una restrizione di campo, si tratta di una conoscenza approfondita di un elemento particolare e ristretto che poi si pretende di generalizzare, tutto questo in realtà per la coscienza umana è una limitazione e un’alienazione. Questo spiega perché lo studio di ogni disciplina specialistica richiede sforzo e perfino sofferenza, conseguenza del fatto che bisogna alienarci dentro la nostra mente e la nostra coscienza, allo stesso modo di un tappo di sughero calato a forza nel collo di una bottiglia, che si comprime e si deforma per adattarsi alla sua forma; sforzo e sofferenza hanno lo stesso senso della compressione e della deformazione subita dal tappo di sughero. Ecco perché è così importante che dopo un intenso periodo di studio di discipline specialistiche, si faccia intervenire uno “stacco”, occupandosi d’altro e soprattutto comportandosi normalmente, lasciando libera la mente senza costringerla in ragionamenti “tecnici”. Questo è fondamentale per far recuperare alla nostra mente quella naturale elasticità che deve sempre avere, per non incorrere in quell’infortunio subito da quel tappo di sughero, che rimasto troppo a lungo nel collo della bottiglia, ne mantiene la forma anche quando è stato estratto fuori!
Molto probabilmente questo è il vero senso di quel modo di dire che consiste nell’accusare qualcuno di essere “un tappo”; purtroppo di “tappi” del genere ce ne sono molti in circolazione, dal filosofo di professione con la sua “filosofia da professori di professori di filosofia”, a quell’altro che si è letteralmente innamorato di una corrente filosofica o di un filosofo, e reagisce istericamente se qualcuno solleva qualche dubbio sul suo innamorato, fino al punto di fare “carte false” per coprire il suo beniamino, non rendendosi conto che l’una e l’altro sono solamente dei “colli di bottiglia”. C’è pure chi, come lo scientista moderno, si invasa volontariamente in quella determinata branca del sapere, magari credendo pure di essere una brava personcina e pure equilibrato, tanto, da definirsi “scienziato”, mentre è solo un povero invasato, squilibrato e privo di elasticità mentale. Questo processo di invasamento fa capire che anche a livello inferiore la conoscenza è “per identità”, la mente comprende perché si deforma come ciò che deve comprendere, allo stesso modo del tappo di sughero nel collo della bottiglia.
Può esserci “invasamento” solamente là dove c’è un ambiente più limitato, particolare e anche inferiore, interessandosi invece di ambienti più elevati e superiori, come può essere la metafisica, non può esserci alcun invasamento, perché questi richiedono un’espansione di coscienza, perciò non può esserci nemmeno sforzo o costrizione, ma solo incomprensione, la quale porta al momentaneo abbandono del campo o al rigetto.
La banderuola può dire in che direzione tira il vento perché ruota attorno a un perno fisso e verticale rispetto alle correnti che tirano; la coscienza umana e ciò che la sorregge: lo Spirito, dovrebbe essere questo perno centrale, se la coscienza non è in grado di essere perno fisso, finirà per essere foglia in preda al vento, illudendosi che il vento vada in quella direzione perché essa lo vuole, che è la stessa illusione dei tanti filosofi! La filosofia è un semplice gioco intellettuale tipo cruciverba, solo che mentre i cruciverbisti incasellano le parole, i filosofi incasellano i concetti, ma gli uni e gli altri sono scarsamente interessati al senso vero delle parole e dei concetti e alle loro conseguenze.
Negando la possibilità della trascendenza, il filosofo idealista nega la “perpendicolarità”, impedisce a se stesso di essere il perno fisso centrale, condannandosi ad essere una semplice corrente o direzione, oppure pendenza o inclinazione. Nessuna corrente filosofica può essere perno centrale e questo per ovvi motivi, per essere perno centrale fisso (questo è il privilegio della metafisica), non si deve essere corrente!
L’influenza esercitata dalla condizione esistenziale dell’io che elabora filosofemi, obbliga a trarne le debite conseguenze, per esempio: “dimmi in che condizioni esistenziali e psicologiche ti trovi e io ti dirò che filosofie elaborerai”. Allora chi elabora filosofie basate sulla contraddizione, sulla negazione, sull’opposizione, mettendo per giunta questi fattori sul trono e rendendoli obbligatori, deve per forza trovarsi in una condizione patologica, deve essere vittima di una contraddizione o di una disarticolazione interna, che mira assurdamente a rendere stabile e definitiva, imponendola per giunta all’intero universo. In realtà si tratta del classico “dare via del suo”; loro sono fatti così e funzionano così e allora elaborano filosofie che legittimano il loro modo d’essere; ma possono ben esistere altri esseri fatti in modo differente e che “funzionano” in modo differente e che perciò il funzionamento dialettico non ha per loro alcun interesse.
Mai fidarsi troppo dell’intellettuale di professione o dell’intellettuale puro, si tratta di elementi disarmonici che hanno perso il contatto con la realtà, che d’altronde essi negano (specialmente dopo lo sviluppo dell’idealismo). Anche l’ideologismo politico moderno è puro mentalismo; per dotare l’ideologo o l’intellettuale di senso pratico e tenerlo con i piedi per terra, niente di meglio che il lavoro manuale; se certi intellettuali o filosofi di professione avessero mai lisciato con l’uso il manico di qualche arnese, o rotto il manico di qualche badile, piccone o forcone, sicuramente non perderebbero costantemente la testa nelle nuvole delle loro elaborazioni artificiose e irreali!