Avvisiamo già i lettori di come, questo pezzo, non potrà che essere prolisso e forse non adatto alla lettura di chiunque: pur introducendo ai concetti espressi, non potremo vederli tutti in modo completo per lapalissiane questioni di spazio; anche per quanto riguarda l‟opera che ci accingiamo a commentare, non potremo – pur certamente presentandola, narrarla, neanche sinotticamente, per altrettante lapalissiane ragioni. Pertanto, ne si consiglia caldamente la visione; il seguente è soprattutto un pezzo tributario a qualcosa che, nella sua semplicità ed apparente banalità, non ha molto da invidiare ad un saggio di carattere filosofico bell‟e fatto. Spero che, semmai qualcuno dovesse leggere quanto segue non avendo potuto visionare quanto viene presentato, possa, grazie a questo tributo, avere il desiderio di recuperarlo.
Partiamo subito da un presupposto tanto semplice quanto di vitale importanza: lo scetticismo generale che possa esserci per un pezzo del genere è comprensibile, sinceramente comprensibile; non siamo stati abituati a vedere con occhio serio opere del genere che, spesso se non sempre, vengono presentate per il loro essere goliardiche, e questo è davvero un peccato non perché sia sempre vero il contrario, ma perché non esiste solo quella, la goliardia, nei prodotti di questo tipo.
Sono sempre stato, personalmente, sostenitore dell‟importanza – anche culturale, degli anime all‟interno della cultura di massa: seppure molti – moltissimi, non siano che veicolo di mero divertissement, altri sono garanti di vere e proprie possibilità di riflessione che, essendo supportate da una base audiovisiva molto spesso di impatto, amplificano ancora maggiormente quell‟emozione che può darci un testo illuminante. E‟, lapalissianamente, questo il caso di Neon Genesis Evangelion.
Credo fortemente sia doveroso – soprattutto per gli scettici di cui sopra – presentare, perlomeno superficialmente – e chi conosce l‟opera in questione ben potrà immaginare quanto sia complesso, l‟argomento in questione: narrativamente parlando, questa si presenta come un – forse stereotipico – anime vertente battaglie tra robot ed esseri soprannaturali, intrugli politici, piani segreti che molto di arcano possiedono, e religiosità fanatica che porta alla speranza che, nella trascendenza dell‟io, possa esserci la felicità, possa esserci, soprattutto, l‟annullamento della sofferenza; questo, per poi diventare una storia a più chiavi di lettura, estremamente stratificate e tangentesi. Quanto prima sembrava essere solamente una formula diegetica ingarbugliata alla Boiardo[1], diventa una vera e propria indagine nei meandri più profondi, sporchi ed inconsci, dell‟io di ognuno dei personaggi: ogni singolo personaggio di NGE[2] è caratterizzato in modo profondo, ha motivazioni e tormenti, ha contraddizioni e desideri, ha sofferenze e gioie. Un po‟ come tutti noi. In questo senso, dinnanzi ad un panorama nipponico circondato da eroi imbattibili, con motivazioni alle volte effimere, NGE esibisce un vanto ancora insuperato: presentarsi come un‟opera vertente l‟essere umano in quanto tale, con le sue contraddizioni e le sue problematiche. Seppure abbiamo tralasciato la narrativa “di superficie”, è necessario dire come questa sia magistralmente interconnessa al filone introspettivo testé presentato: è proprio questa caratteristica, tanto potente quanto complessa, a rendere questa opera un vero e proprio gioiello della narrazione e dell‟organizzazione delle strutture narrative; questo perché non solo le linee narrative sono molte ed interconnesse, ma lo sono anche in modo sopraffino e, seppure non senza qualche difficoltà che porta ad un riavvolgimento del nastro,
seguibili. Neon Genesis Evangelion presenta ogni singolo personaggio in quanto singolo ed individuale: lo perimetra entro la sua stessa persona, e cerca di sviscerarne i lati più oscuri e reconditi, incomprensibili anche al personaggio stesso, per poi operare una contestualizzazione diegetica con gli avvenimenti del mondo nel quale è – heideggerianamente, gettato. Eppure, la focalizzazione narrativa è chiaramente interna, come se il narratore – ipotetico, fosse omodiegetico ed anzi, fosse, come ora fatto intendere, uno dei personaggi, anzi, ogni personaggio: la potenza – non tanto narrativa quanto strutturale, di NGE, sta nel fatto che ognuno dei personaggi veda gli accadimenti da un proprio punto di vista il quale, essendo doviziosamente argomentato, porta alla sua legittimazione, qualsiasi esso sia. Anche gli stessi “antagonisti” dell‟opera hanno motivazioni che non sono, come spesso (spessissimo) accade in questa tipologia di animazione, il potere, o la voglia di superarsi: NGE è una lotta di ideologie, è un combattimento a suon di angosce e timori, è una complessione di concezioni di vita che non sono né giuste né sbagliate, è una battaglia che come fine ha la felicità, o quantomeno la negazione delle sofferenze.
Ogni personaggio è letteralmente un mondo nel quale ci passa trasversalmente la realtà in modo così struggente che un equilibrio è impossibile: la sofferenza sembra essere tutto quanto rimane dallo scontro di due inconciliabili dimensioni, quella dell‟io e quella dell‟io-nel-mondo.
“« Il singolo » è la categoria attraverso la quale devono passare il tempo, la storia, l‟umanità” – S. Kierkegaard, Diario
Infatti, l‟interezza della questione si gioca su quest‟argomento decisamente schopenhaueriano e non solo: tra stoicismo ed epicureismo, con presenza di influenze orientali ben comprensibili, l‟opera è una tensione irrefrenabile alla quiescenza, allo star bene con sé, all‟omeostasi, per essere tecnicamente corretti psicologicamente. Ogni personaggio ha sé stesso come fine, ed anzi, è il fine di sé stesso: prima che l‟autoconservazione di sé, ognuno dei protagonisti – e si potrebbe parlare davvero di pan-protagonismo visto quanto detto finora, cerca di ritrovarsi, rispettando quel del tutto canonico all‟interno dell‟opera principium individuationis[3] che permea la filosofia – e la psicoanalisi, di vari autori.
In senso tecnico ed un po‟ a volo d‟uccello, può NGE essere sintetizzato filosoficamente come di seguito: un calderone ordinato e sistematico di concezioni filosofiche interconnesse tra loro in modo tale che costituiscano una base – ed al contempo una superficie, solida, tanto narrativa quanto propriamente comunicativa. NGE infatti non vuole solamente narrare: vuole comunicare qualcosa con crudezza e potenza ineguagliabili, o quantomeno ad oggi ineguagliate nella stessa categoria.
E‟ necessario – per completezza, dire come NGE non solamente sia un‟opera d‟animazione filosofica, ma anche (oltre che di, intuibilmente, psicologia-psicoanalisi) esoterica: la già enorme mole di riflessioni filosofiche organizzate in modo tale da interconnettersi le une con le altre è in compagnia di un esoterismo di fondo che vede in oggetti quali i Rotoli del Mar Morto, ed in simboli quali l‟Albero delle Sephiroth, il suo apice. Il tutto, chiaramente, armoniosamente interconnesso alla complessione filosofica or ora vista, all‟analisi introspettiva dei personaggi di cui sopra, ed alla narrativa del mondo che abbiamo nell‟introduzione visto: come comprensibile, un‟opera di questo genere risulterà essere tanto densa quanto complessa, ma mai disordinata; NGE è un capolavoro proprio perché riesce ad essere tutto ma mai niente.
Quest‟opera animata è quindi un‟enorme e complessa costruzione filosofico-esoterico-psicoanalitica-religiosa che tiene le redini di una narrativa a sua volta avvincente e ricca di dettagli: come lo Zarathustra di Nietzsche, questa è un‟opera per tutti e per nessuno, e non voglio minimamente nasconderne le difficoltà di comprensione; eppure, al contempo, non vorrei mai si confonda questa difficoltà con un – alle volte presunto, disordine concettuale. Ogni cosa è al suo posto e dove dovrebbe essere. Tutto questo dimodoché colui che usufruisce dell‟opera non sia uno spettatore passivo che goda di un divertissement qualunque, ma un fruitore attivo ed attento, compartecipante agli avvenimenti: oltre che – lapalissianamente, funzionare molto bene per quanto concerne l‟immedesimazione e l‟immersione, ciò porta ad un‟attività noetica, ad uno sforzo di pensiero, mica da ridere.
Proprio questo sforzo viene incentivato dall‟opera stessa, la quale, è evidentissimo sin dai primissimi episodi, ed ora lo sappiamo, mira ad essere molto più che una bella storia, o una bella riflessione circa – seppur complesse, problematiche esistenziali: lo spettatore è chiamato a mettere sé stesso in questione grazie a riflessioni mediate da frequenti monologhi – che molto restituiscono quella sensazione di stream of consciousness[4]per quanto volutamente disordinati, dei personaggi.
NGE è una esperienza vera e propria: il vero soggetto al centro delle questioni non sono i protagonisti, quanto noi stessi; seppure la rottura della quarta parete non è un espediente utilizzato – e se è stato usato, lo è stato sicuramente non tanto spesso da ricordarmene, l‟intera opera ruota intorno a colui che la sta guardando. Come un saggio che – spesso e volentieri, ha toni impersonali ma che parlano direttamente al lettore, allo stesso modo NGE, pur avendo protagonisti sui quali si gioca la narrativa, è con lo spettatore che parla, ed è lo spettatore il fine dell‟animazione intera.
Vorrei concludere con un paio di citazioni – ho cercato di prendere le più emblematiche ed esemplificative, le quali testimoniano in modo incontrovertibile la firma filosofica sotto l‟intera opera.
“Crescere in fondo è un continuo provare ad avvicinarsi e allontanarsi l’un l’altro, finché non si trova la distanza giusta per non ferirsi a vicenda. [5]” – Misato Katsuragi, Episodio III
“Alla fine, il nemico dell‟uomo è l‟uomo stesso[6]” – Gendo Ikari, Episodio XI
NOTE
[1] Per i meno orientati, si sta facendo riferimento alla entrelacement: la tensione ad aprire innumerevoli archi narrativi che poi, dovendoli ricongiungere, si perdono nella loro stessa complessità, tanto numerica quanto propriamente diegetica.
[2] D‟ora in poi, eviteremo di ripetere il – se reiterato, ridondante intero titolo dell‟opera abbreviandolo nel rispettivo acronimo.
[3] Formalmente, non sarebbe sbagliato dire che la quasi totalità delle filosofie che abbiano l‟io come oggetto d‟analisi adempiscano ad un – in modo subliminale, ipostatizzato principium individuationis: le etichette sono sempre un ottimo strumento tassonomico, eppure stridono innanzi all‟immensità del pensiero di ognuno di noi. Convenzionalmente, specialmente Schopenhauer, Nietzsche, e psicoanalisti come Jung, sono coloro ai quali il principium individuationis canonicamente inerisce.
[4] Tecnica narrativa utilizzata nel „900 dal letterato irlandese J. Joyce: volendo egli sperimentare una tipologia espositiva che potesse carpire la fugacità ed il disordine dei pensieri che circolano nella nostra mente, tanto consciamente quanto inconsciamente, tenta questo metodo particolarissimo che concretamente consiste nel riportare per iscritto i pensieri – per come circolano disordinatamente, dei personaggi. L‟effetto, per quanto sicuramente caotico, è cionondimeno suggestivo e sicuramente letterariamente attraente.
[5] Qui, neanche troppo velatamente dato che viene esplicitamente detto poco prima, si sta facendo riferimento al Dilemma del Porcospino, concetto di matrice schopenhaueriana che viene sinotticamente presentato con la citazione a cui questa nota fa riferimento e con un discorso sempre presente nell‟episodio in questione.
[6] Qui il rimando credo che sia evidentissimo: T. Hobbes, nel “Leviatano“, parlando dello stato di natura, ossia di quella condizione che vedrebbe l‟uomo in oggetto prima del sopravvenire delle leggi e dello Stato, ritiene che l‟essere umano sia lupo per l‟altro uomo (homo homini lupus); ciò starebbe ad indicare come, perlomeno naturalmente – o istintivamente, l‟uomo sia nemico dell‟altro uomo. Certamente la questione è hobbesianamente più complessa, una nota non potrebbe mai contenerla tutta, eppure, il fatto che l‟uomo, in senso hobbesiano, faccia del male per assolvere ad un principio di autoconservazione è contestuale rispetto agli avvenimenti di NGE.
Simone Santamato