«… La Filosofia vuole conoscere
il contenuto, la realtà dell’Idea divina…»
G.W.F. HEGEL
È indubbio che l’oggetto della presente riflessione intende pro-vocare, nel significato etimologico del termine, cioè suscitare una “vocatio” a favore di un certo discorso.
Qual’è questo discorso, nel senso proprio di parola piena di significato, per sé, secondo la definizione di Kerenyi, e quindi Mito? È presto detto: la Filosofia è greca (come ha autorevolmente ribadito Heidegger) perché nasce greca, il suo stesso nascere attesta (Vico diceva che “natura delle cose è loro nascimento…”) che la sua quidditas è lo stare, il risiedere nei pressi del “che cos’è” dell’Essere che è l’evidente, l’anipotetico e che è il Divino cioè la phýsis, nella sua cosmica interezza e finitezza (Dèi, demoni, eroi, uomini, piante ed animali). “Il principio del Logos (che si manifesta “exàiphnes“- immediatamente! – Platone, Lettera VII) non appartiene al Logos ma è qualcosa di più forte e chi mai se non il Dio stesso può essere più forte della Scienza e dell’Intelletto?” (Aristotele, Etica Eudemia,VII, 1248 a, 26-40). In termini di indirizzo cosiddetto continentale della filosofia contemporanea, stiamo enunciando il principio secondo il quale il fondamento della Logica è metafisico (infatti, nello Hegel tale principio conduce all’assorbimento della vecchia metafisica dualistica e scolastica nella Logica che assume così contenuti e natura ontologici). È la priorità greca e classica dell’Essere sul Pensiero, priorità che è la madre dell’oggettivismo greco (Platone insegna, infatti, che è il Dio la misura di tutte le cose e non certamente l’uomo!). La Filosofia è dunque Teologia come la Fisica è Metafisica (1), poiché tutto è ricolmo del Divino! Quindi l’amore per la Conoscenza nasce dallo stupore dell’uomo greco che è uomo aperto al Mondo (Kenenyi), stupore per le Forme del Mondo (W. Otto), nasce dal thaumàzein, dal pàthos religioso (Aristotele) della meraviglia per la Luce, la radura aperta ed il suo chiarore! La Lichtung, come la chiama Heidegger.
Nasce dall’esigenza di fissare in piazza, in pubblico, con il discorso e la parola, per mezzo della categoria (da katà agorà = secondo la natura della piazza e della sua pubblica convinzione) ciò che nel tempo arcaico era la sapienza oracolare dei Maestri di Verità che si esprimeva secondo l’immagine essendo semanticamente esoterica.
Il suo linguaggio era sia il racconto del Mito, attraverso la mediazione plastica della fantasia (Schelling), sia la fissità immutabile del Simbolo a cui, come dice Eraclito, il Signore di Delfi semàinei, cioè accenna, indica.
Giorgio Colli ha defiitivamente dimostrato che la spinta iniziale che produce la Domanda filosofica è questa e non altra: il Filosofo non è il Sapiente dei tempi arcaici che sa decrittare il linguaggio enigmatico degli Dei gareggiando con gli stessi ma è l’amante dell’Essere, l’innamorato del Divino e quindi della Sapienza, alla ricerca della stessa, con il fine di ritrovarla là dove è sempre stata, anche se l’uomo del suo tempo non la vede più. Tale verità dello Spirito è confermata da quanto lo stesso Hegel afferma nelle Lezioni sulla storia della filosofia (Firenze 1998, vol. I, pag. 62 ss.). Ecco la epocale rivoluzione conservatrice del divino Platone, Maestro della Tradizione Occidentale. Egli indica Apollo che è la Misura Luminosa dell’Ordine, attraverso la Via erotico-religiosa che è l’apollinismo dionisiaco (Evola), cioè la Via della lucida follia, la mistica razionale o teologia speculativa, l’unica adatta all’uomo dei suoi tempi. Il fine è, per mezzo dell’anàmnesi, cioè della reminiscenza, la riappropriazione del vedere, della epoptèia (epi òp teòs = vedere il Dio dall’alto), le Forme dell’Essere, le Idee. Pertanto, l’anima religiosa della Filosofia platonica non è fare un discorso filosofico della o sulla religione (che è l’intento del cristianesimo già con Agostino, spezzando così quel tutt’uno greco…) ma fare un discorso, anzi essere il Discorso religioso come Conoscenza, nòesis del Divino. Questa è la teoria cioè la Visione e quindi la Filosofia. Tale è la ragione per cui, platonicamente, in Hegel la Filosofia non è altro che Teologia!
Noi ci riconosciamo, in guisa inequivocabilmente esplicita, nella Tradizione platonica, che è la Tradizione dell’occidente greco-romano. Tradizione che non conosce l’ateismo, poiché sarebbe hýbris, cioè vana stoltezza, negare gli Dèi e il mondo che sono l’evidenza. Essa non conosce “spirituale” e “materiale”, “soggetto” ed “oggetto”, “irrazionale” e “razionale”, “naturale” e “sovrannaturale”, termini, problematiche, laceranti passioni, diatribe infinite, sorte con l’avvento, nella storia spirituale dell’Occidente, dello stato psichico della pístis, che è la fede nel libro, nella legge scritta e nel complesso religioso dogmatico che ne segue: espungendo la Scienza del Divino e separando la Scienza dal Divino.
Conseguenzialmente, tutto il sapere (la vita degli uomini) è stato fondato su qualcosa di inaudito e sconosciuto alla spiritualità dell’uomo occidentale, da qui proviene la causa remota della catastrofe spirituale dell’Europa e del suo millenario sonno. Lungi dall’essere, questa, sterile nostalgia, noi diciamo invece che, oscurata la Visione che è Conoscenza nonché la passione per la riconquista della stessa come Bene perduto, resta il dato umano troppo umano (per dirla con Nietzsche) o dell’irrazionale e psichicamente labile “fides” o l’orizzontale suo contrario la “ratio” ed è la storia delle idee e delle culture, delle guerre e delle violenze inaudite degli ultimi due millenni! Perduta la certezza visionaria della Divinità, che è Armonia invisibile nel mondo e del mondo, strappati gli occhi del nous, cioè dello Spirito (nous arcaicamente è l’occhio di Zeus che vede solo l’Essere nel momento in cui lo ordina come tale 2); il Mondo non è più Divino e quindi Eterno, quale Cosmo vivente e sacro e pertanto è abbandonato alla meccanicistica materialità (natura est massa diaboli ac perditionis, per il cristianesimo); e non avendo più il mondo sussistenza per se stesso, essendo solo una transeunte creatura, è oggetto della volontà creatrice o distruttrice di due Soggetti che si succedono nel tempo storico: del Dio ormai ente supremo, lontano e distaccato dal Mondo, nell’era cosiddetta dell’evo medio o dell’uomo e della sua tecnica nella incipiente modernità. Ed ecco i dualismi di “spirito” e “materia”, “anima” e “corpo”. La fede, pertanto, è rapporto psichico e non spirituale cioè noetico e, per lo effetto, è rapporto individuale e soggettivo con il proprio Dio (Agostino inaugura il concetto di relazione individuale con Dio; realtà spirituale, che iniziò a fare capolino già nei Misteri ellenistici, che sotto il profilo spirituale sono un protocristianesimo, ma che non sfociò mai nell’individualismo religioso, in virtù della forte sensibilità comunitaria e politica delle religioni antiche). Il rapporto individuale e soggettivo con il proprio Dio, introdotto dal cristianesimo nella psicologia religiosa dell’Occidente, può essere o volontaristico e irrazionale o razionalistico e sistematone (valgano due grandi esempi come Agostino per la prima e Anselmo e Tommaso per la seconda). Tale è l’individualismo, il soggettivismo che, spentasi la fede, forte coesione comunitaria nell’ecumene medioevale, divengono la base del razionalismo astratto della seconda scolastica di Suarez, il vero padre di Cartesio e della modernità o della follia fideistica di Lutero.
Valga il fatto estremamente probatorio che il soggetto come “io” e “volontà” non esiste nella spiritualità greco-romana.
Platone, infatti, nei Dialoghi dice sempre emèis cioè noi! Nella Romanità, poi, il singolo non solo non esiste socialmente ma nemmeno come categoria mentale; tanto che i personaggi della Tradizione romana lo sono in quanto simboli cioè oggettivi exempla di mores. A tal proposito può essere illuminante tutta la cultura che nel mondo romano sta dietro alla Tradizione del jus imaginis. A questo punto che ne è del Mondo? (che era pieno di Dèi come iniziò a dire Talete e concluse Proclo…?); che ne è dell’Impero se non è più pontificale cioè facitore di ponti con l’Invisibile? Sono queste le tragedie della modernità da Hobbes a Kelsen, da Galilei a Newton. Ed è la distruzione dello Stato come Ordine Politico, dell’uomo e della natura, privati di ogni sacralità ed intesi ormai come macchine (Cartesio per primo usa il termine “Homo Machina“) da cui prelevare pezzi o su cui esercitare la tecnica come provocazione (Heidegger)! Tutto ciò proviene da molto lontano e nacque con la scelta antropocentrica cristiana che sostituì il cosmoteocentrismo greco. Nel secolo appena trascorso, due dei più grandi studiosi e profondi conoscitori della spiritualità religiosa greca e romana sono stati, per strano destino e singolare coincidenza, due autentiche anime pagane in veste di sacerdoti cristiani: Vincenzo Cilento e Andrè Jean Festugière! Cilento affermava, tra l’altro, che i Greci non credevano negli Dei, perché li vedevano! Se riusciamo a percepire l’enorme significato epocale di tale espressione, possiamo e dobbiamo, tutti noi, che ci riconosciamo nella Spiritualità religiosa platonica e nella Teologia dell’Imperium Populi Romani, lottare per un nuovo Inizio che coincida con il vivere la nostra Tradizione indoeuropea elleno-romano-germanica in trincea, contro il mondo moderno ed il suo satanico pensiero unico dominante che odia lo Spirito, l’uomo ed il mondo.
Note:
1 – G.W.F. HEGEL, Scienza della logica, Bari 2004; J. EVOLA, La tradizione ermetica, Roma 1976; A.G. MAGEE, Hegel e la tradizione ermetica, Roma 2013; G. CASALINO, Sul fondamento. Pensare l’Assoluto come Risultato, Genova 2014; cfr. infine il commento di Heidegger a Fisica, b, 1 di Aristotele in M. HEIDEGGER, Segnavia, Milano 1987, pp. 193 ss..;
2 – K. KERENYI, La religione antica nelle sue linee fondamentali, Roma 1951, pp. 101 ss.
Giandomenico Casalino
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