9 Ottobre 2024
Il Punto...

“…la fragile e deliziosa Italia ferita che non muore…”(1) – Sandro Giovannini

Questo Verso nobile e dolente racchiude tanta della nostra storia ma è ancor più valido nell’attualità. Sappiamo in troppi ormai che uno scivolamento nell’irrilevanza e nella decadenza è più di una fosca visione. E’ una fortissima probabilità. Qualsiasi sia il parametro che ci guidi nell’indagine, qualsiasi sia il teatro della nostra inchiesta specifica s’evidenzia ormai una caduta verticale di ogni fattore di speranza e risalita. I più lucidi analisti prevedono uno scivolamento progressivo e fatale verso un modello complessivo di convivenza alla messicana, irreversibile e crismato da due derive primarie, nel campo antropologico ed in quello economico.  Una società dell’1 su 5, ove un 1 s’avvantaggia economicamente, favorito dalla tendenza all’esclusione sociale e dall’inarrestabile sperequazione enormemente accresciutasi negli ultimi decenni, ma si sente accerchiato (e si avvertirà sempre più minacciato, come nell’est-europa, in Brasile, in Sudafrica…) rispetto ad ogni altro fattore vitale (quella che una volta veniva definita qualità della vita), un 2 ed un 3 ormai adattati sostanzialmente alla decadenza ed in fasce sempre maggiori di lateralità e devianza utilizzanti, volenti o nolenti, ogni potenzialità del degrado stesso in termini di escamotages, (originati dalla crisi epocale del welfare: volontariato sempre più ambiguo per una società sempre più medicalizzata, cooperativismo per un terzo settore troppo spesso ormai avido e colluso quando ricerchi e trovi, anche legislativamente, giustificazione ideologica in una falsa teoria della sussidiarietà e della libertà di azione sociale in supposta sostituzione dello stato molto assente ed ancor più complice (…lotterie, gioco d’azzardo, etc., “accoglienza”, sostituzione etnica). Con conseguente drammatico sfruttamento e diversione. Ed un 4 ed un 5 più o meno fuori dal sistema di copertura, disprezzati quando non odiati dalle raffazzonate élites neo-oligarchiche, (che valutano positivamente solo gli allogeni politicamente sfruttabili – forse – ascarizzabili, ma comunque ghettizzabili), caricati di ogni disvalore perché privi di una coscienza di “classe in sé”, ma eventualmente solo cooptabili se assimilati utopisticamente in una logica di re-mobilitazione ove i residuali radicals-chic, anch’essi in minor parte rincorrenti il populismo, recupererebbero magicamente il ruolo di “avanguardia di classe”. In ogni modo, un 4 ed un 5, sia al dritto che al rovescio, sempre più emarginati, poveri, disperati.

Questo è il quadro, di fatto innegabile, se non cambieranno drasticamente le condizioni della nostra Nazione, dell’Europa, del mondo.

Per drasticamente siamo convinti che si possa definire solo un cambio talmente ampio e traumatico di condizioni generali, ove anche la scarsa propensione degli italiani al cambiamento, per di più storicamente sempre condizionati da due ideologie intrinsecamente antinazionali in crescente necessitata combutta, venga per forza maggiore trascinata in un vortice pesante di azioni-reazioni, fino al punto da legittimare un completo rivolgimento di prospettive.

In tal senso, sapienti e spiacenti, dovremo ancora procedere maggiormente nel degrado, nella reazione da rifiuto, nella rabbia, nell’odio sordo e nella perfetta complessione di colpa (sempre più diffusa) del sapere di non potere cambiare alcunché di sostanziale, perché in effetti si possa solo sperare di poter cambiare qualcosa.

Per questa ragione, da questi nostri anni, ormai perfettamente consapevoli della nostra funzione  di immettere consapevolezza profonda in circoli forzatamente ristretti ove altrimenti vi è solo resa, compromissione e degrado, dobbiamo esaminare senza falsi complessi volontaristici ed imperativi categorici, quella che potrebbe essere la nostra funzione di rilevamento e d’accompagno.  Per farlo dobbiamo affrontare, qui fuori da una logica d’approfondimento per questioni di spazio e quindi con arrischiata concisione, due campi legati alla nostra azione culturale. Quello antropologico, connesso alla nostra azione intellettuale ed artistica e quello politico-geostrategico-economico, legato alla visone nostra del populismo. Dando per scontato, come abbiamo già fatto in altri precedenti scritti, essere il populismo, comunque lo si giudichi e comunque lo si utilizzi, l’unica evenienza praticabile.

A) Antropologicamente sappiamo che tutta la speculazione attuale si basa su due ipotesi interpretative, sostanzialmente divergenti, la critica sociale e la critica artistica. La prima sostanzialmente colloca il produttore culturale al centro di una interazione di vari gradi col sistema, il secondo contro il sistema od in vari gradi di libertà dal sistema. Ma, in vero, tutta l’arte in vista del sistema, ovvero l’arte che nutre o si nutre del sistema, ovvero, per essere ancora più chiari, la gran parte di artisti che si pongono ufficialmente e di necessità a vendere, tutti orbitano conseguentemente, con varia giustificazione e vario esito, nel mondo di produzione capitalistico. In altre condizioni, fuori da questo circuito, si dà solo arte “amatoriale”,

magari eccelsa, ma fuori dai percorsi di capitalizzazione. Per sottolineare ulteriormente la logica di capitalizzazione possiamo ben dire che la critica attuale (ed anche l’esperienza comune ed immediata) rinviene nello svolgimento intellettuale ed artistico attuale una sempre maggiore svolta sociologica, non più intendibile o non solo più intendibile come produzione, accanto, in funzione, in vista, derivante da… il contesto sociale, ma come processo, come progetto nel corpo sociale medesimo, consustanziale al medesimo, persino nelle sue peggiori mode e tic, fino a divenire uno degli infiniti strumenti espressivi (ovviamente più articolati e strumentati, anche nei casi di autentica, auto-accertata o etero-accettata, violenza creativa) del corpo sociale. L’interazione sempre crescente tra artisti ed architetti, urbanisti, musei, enti vari ed istituzioni pubbliche, da una parte tende benignamente ad ovviare (qualche volta) all’imbruttimento innegabile della convivenza sempre più omologata, ma dall’altro lega del tutto a sé, con una deriva partecipativa priva spesso d’ogni autentica consapevolezza ideologica e comunque come trascinamento ben prevedibile, l’atto intellettuale ed artistico, al processo capitalistico. (2) Questo avviene sempre, ripetiamolo a scanso di equivoci, nelle due supposte divergenti direzioni che si auto-arroga l’atto creativo, forse – ammettiamolo  pure – più in una che in un’altra, ma comunque in ambedue, perché il condizionamento non è una ipotesi opzionale (è addirittura del tutto crescente solo nel caso di una convintamente consapevole partecipazione al sistema) ma strutturale, altrimenti, appunto, si darebbe atto ad un’arte “amatoriale”. Per il mercato priva di valore, oltreché di riconoscimento sociale.

Qui noi non passiamo che confermare ciò che dicevamo già negli anni ’80, in documenti comunitari od in scritti personali, quando affrontavamo il “Mostro dell’Apparato”: “In tal senso, se pur mutato nel maquillage, come in ogni restaurazione che si rispetti, il Mostro dell’Apparato è fortissimo per quanto riguarda la conduzione della mentalità di massa, ieri permettendo una notevole agibilità alla moda marxista, soffrendo in silenzio per il ribellismo scatenato ed oggi soffiando sul fuoco del disimpegno e dello scoramento politico-ideale, ovvero aggregando sempre più l’ex impegno intellettualistico al mugugno qualunquista, risibile, squalificante e funzionale al regime. Il quale regime, che si declini a destra od a sinistra, ormai è da noi giudicato sostanzialmente omologo  ed omologante a se medesimo, ovvero ad un consumismo globalistico, al di là di certe agibilità che sono superiori per noi – e quindi per noi preferibili almeno per riscattare, sia pur parzialmente e tardivamente, inesauste ghettizzanti mentalità -, governando il centro-destra, come erano superiori per la “sinistra intellettuale” governando il centro sinistra. (…) …Tra le pseudo-opposizioni, gli pseudo-apocalittici e gli pseudo-integrati delimitano anche il tono generale del sistema  come cartina tornasole del menefreghismo  e del senso di scoramento che avanza…   (…)  L’area delle ‘tangenti impazzite’ aumenta a danno  di una vera opposizione e di una sana alternativa…”  (3)

 

Il nostro giudizio al proposito è giocoforza rafforzato in questi ultimi decenni, ove tale deriva si è fatta sempre più evidente, persino per chi non voglia vedere e capire. Avevamo già individuato in una precisa categoria spirituale: gli “emarginati differenziati” l’unica potenzialità fornitaci per non essere distrutti od imbrancati, prima o poi, nel sistema dominante. “…E’ ovvio quindi che noi crediamo a un ruolo attivo, testimoniale, propositivo di questi ‘emarginati differenziati’, che pur mai cadendo nella facile lusinga dell’affabulazione del ghetto e della logica da riassicurazione da branco o da setta, ed anzi scoprendo e addirittura inventando tutte le vie d’incontro contro il comune avversario (secondo una prima parzialissima logica  secondo la quale gli avversari  del nostro Avversario sono nostri amici), sappiano, rendendosi autarchici in tutto, fuori da velleitarismi, da isolazionismi e da dilettantismo deteriore, essere (per far divenire) realmente e globalmente liberi”.  (4)

Questo è quanto dicevamo e quanto abbiamo operato, ovviamente in pochi, nei decenni trascorsi. Un’opera di sostanziale testimonianza nella ricerca e nel lavoro per linee interne.

Ora il vento della storia sta cambiando per la medesima realizzata mostruosità della globalizzazione in processo, priva di qualsiasi possibilità di controllo ed autentico governo, che nulla hanno però a che vedere con la governance (espressione anzi perfetta della carenza di potestà) e ci pone nuovamente in condizione di agire, fuori dal pecorume liberista, dall’impotenza progressista e dalle velleità di qualche radicalismo di risulta.

La nostra scelta artistica quindi deve divenire ancora più fortemente significante ed evocativa, affinché possa essere letta con maggiore facilità da tutti nel tempo della delusione, della rabbia e della rivolta ideale possibile. Non si daranno canoni, ché sarebbero ridicoli in tanto sconquasso, ma solo un profondo richiamo a ciò che solo può salvarci, una reazione profondissimamente consapevole dello spirito atavico sommerso da secoli di devianza e di meschineria, di abbandono e di resa, con poche luci tragiche presto storicamente soffocate.

“…Fuori infatti, dalla nostra stessa capacità realizzante (adesso parlo proprio di “noi”) si determina (sempre, già, ora, anche se non sappiamo riconoscerla ed intercettarla) ‘necessariamente’ (nel senso di cui sopra) un’alterità assoluta, anche a noi estranea, anche a noi sconosciuta, che per quanto stordita ed inorganica, non può non emergere, non fare capolino, alla fine, dalle onde del riflusso sistemico.  Intuire, conoscere, intercettare ovunque si presenti ed ovunque noi si possa riconoscerlo, tale rifiuto, aggiungervi il nostro specifico, programmando il programmabile, dando segni di permanenza di stile nella mobilità necessitata dello stendere la rete delle intelligenze e delle alleanze creative, questa è la nostra vocazione, questo è il nostro compito”.   (5)

B) Da cui ne discende, in via chiarissima, l’unica potenzialità storica che lo scivolamento epocale ci presenti. Non gli faremo la corte al modo che alcuni dei più intelligenti radicali oggi gli stanno facendo, perché essi sono, al di là della loro compiaciuta verbalità, sempre legati ai miti, parziali se non del tutto truffaldini, della classe e della guida di classe. Andremo anzi ad esaminare l’oggetto del desiderio con un pedestre riscontro di dare-avere.

– Il populismo viene considerato dai suoi detrattori un misto di Qualunquismo e Fascismo. Vero e falso. Vero perché nel qualunquismo, sia quello internazionale che quello italiano, storicamente non si poteva prescindere dall’esperienza del Ventennio. Falso perché l’esperienza del Ventennio era ormai superata, nel migliore dei casi, sia per fascisti che per antifascisti e semmai diveniva storicamente un fantasma operante e tragico l’esperienza della R.S.I. all’imbuto finale della crisi epocale. Essa, superata profondamente solo nella pur calda illusione del boom economico, ai primi freddi segnali di retrocessione si rendeva nuovamente operante come limite, come alternativa, come spauracchio, come alterità di un passato da amare od odiare sempre più, paradossalmente, man mano che s’allontanava… (6)    Quel fascismo è rimasto fisso, a torto od a ragione, al dritto ed al rovescio ed è ormai inestirpabile dal mondo immaginale italiano, qualsiasi siano i risibili riti apotropaici che vengano compiuti con paranoia degna di miglior causa, anzi io credo che non potrà non ritornare sempre più in forme sottili e pervasive, anche se spesso del tutto distorte dalla necessità, proprio perché non accompagnato alla sua sede sepolcrale con le sacrali formule di riassicurazione ed i necessari legati testamentari. Quindi il populismo comunque si autoschernisca di volta in volta, in relazione al senso di colpa che dovrebbe portarsi addosso per l’occhiuto giudizio del secolo, con il suo sacco nero di memorie ancestrali, ha del Qualunquismo e del Fascismo, se ben esaminiamo, le stimmate archetipiche che ne sono quindi però la parte più vitale, creativa e smarcante. Non per niente riemerge con una spaventosa forza tellurica essendo le sue ragioni eidetiche, solari, atemporali, forzate da decenni di devianti narrazioni.  Soprattutto se calde intelligenze, come ora succede, si applicassero in itinere, alla sua ridefinizione attualistica.

– Da parte liberaloide il populismo implicherebbe una sostanziale abdicazione del popolo alla partecipazione democratica a favore dell’utopia decisionista dei capi. Vero e falso. La partecipazione (più o meno democratica) è un’Araba Fenice mai realmente operante nel regime delle deleghe costituzionali e culturali, perché troppo pericolosa per le società liberali post-industriali, tanto è vero che è stata sempre osteggiata soprattutto dalle cosiddette forze progressiste, paurose di perdere uno strumento di classe.  Ora che timidamente l’affacciano alcuni che non ne capiscono né la genialità né la fragilità, in un regime di deriva finanziarista, potrebbe divenire solo un tentativo disperato e terminale, come fu un tentativo (disperato), avendo contro il mondo, nella R.S.I.  In realtà solo in una del tutto nuova società ove il ricorso alla partecipazione fosse estesamente lanciato nei limiti di un quadro complessivo e statuale decisionista, ovvero in un orizzonte ove il potere dei capi, tornasse ad essere autentico, e non la ridicola e burattinesca parodia attuale, magari con sconquassi e giravolte a causa della reazione feroce del sordido sistema globalista, forse potrebbe avere una qualche capacità di unire in potenza il desiderio di protagonismo, sempre legittimo, con l’altrettanto necessaria cura e salvaguardia della maggioranza.

L’incompetenza eletta a metro di giudizio. Mentre le varie governances, ovviamente sarebbero competenti e non manifestamente ottuse e malevole come hanno certificato le ultime crisi sistemiche, per giunta mai profondamente criticate e quindi mai superate, e sempre, purtroppo, incombenti.  La pancia, questo orrendo calembour: “s’ils n’ont plus de pain, qu’ils mangent de la brioche” ripetuto a sfinimento dai nostri squisiti gazzettieri, all’assolutamente sì… o…  all’assolutamente no… La competenza del sopravvivere poi, non sarebbe neanche la peggior cosa, ma qui non parliamo più di competenze alte, ideologiche, di visione del mondo. Siamo nel mercato. Siamo solo dei consumatori, fragili, medicati, malassistiti, nevrotici, paurosi.

 

Democrazia diretta…  Da chi? Quando sentiamo dire, appena al proferire la parola élite, chi decide il decisore? Allora sappiamo già che è un discorso fra sordi. Una èlite, come noi la intendiamo, non certo quella dei Soros e dei vari altri corruttori e complottisti (…quelli sì)  in s.p.e., si determina per forza propria, ovvero con la stessa forza con la quale si determina la cupola mafiosa che oggi globalmente ci governa, tramite la quale guadagnano miliardi i vari Soros, per poi finanziare in tutto il mondo i loro conseguenti progetti sovversivi. Solo che è il suo esatto contrario, la sua nemesi, la sua potenziale assassina. Loro lo sanno bene.

– La lotta al signoraggio, l’antifinanziarismo, persino questi che potrebbero essere programmi minimi (si fa per dire), accettabili da chiunque in buona fede, li vedono schiumanti avversione a cui oppongono, se costretti, solo dialettiche da quattro soldi: il complottismo, etc…

– In ultimo i liberaloidi sono preoccupatissimi dell’emergenza dal basso. Democratica. Dalla pancia. E rispolverano pratiche dialettiche apparentemente tratte dal più ben classico reazionarismo. Ma ne manca al minimo l’afflato, la sottile ironia, la pungente critica del costume… Perché come fanno, seppur quasi sempre senza vergogna, a cassare ora l’aperturismo che li vide per decenni osannanti, furenti e scalmanati? Qui c’è solo il desiderio di mantenere forza e privilegi per loro, e tra i migliori ovviamente i cattocomunisti, fautori fino a poco fa di tutte le aperture… Poveretti, vanno chiudendosi… Che ridicola inversione!  Che triste fine!

Così, meglio sopravvivere ancora fra noi pochi, giocandoci tutto il possibile verso il tempo che nasce, senza mai cedere al Mostro dell’Apparato.

Note

1) “…Voi perbenisti frenatori / dal passo calcolato voi / becchini cocciuti nello /sforzo di seppellire primavere /entusiaste di gloria / ditemi siete soddisfatti / d’aver potuto cacciare / infondo fondo al vostro / letamaio ideologico la / fragile e deliziosa Italia / ferita che non muore…”  Filippo Tommaso Marinetti, Quarto d’ora di Poesia della Decima Mas, edizione critica, Heliopolis Edizioni, 1985, 2011.

2) Sandro Giovannini, Su  Rem Koolhaas, vari siti, tra cui   www.heliopolisedizioni.com

3) Sandro Giovannini, L’armonioso fine, ‘I Parte – Patria e stile, Il Mostro dell’Apparato’, SEB, Milano, 2005, pag. 35-39.

4) Sandro Giovannini, L’armonioso…, cit., pag. 40.

5) Sandro Giovannini, L’armonioso…cit., ‘I Parte – Patria e stile, L’edizione di poesia in tempo di massificazione’, pag. 82.

6) Sandro Giovannini, …come vacuità e destino, ‘I Parte – Memoria. Mitizzazione esogena del Fascismo’, NovAntico Editore, Pinerolo, 2013, pag. 118.

 

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