La vita umana è breve: nel migliore dei casi, ottanta, novant’anni. Un soffio rispetto ai tempi della natura e al concetto di eternità. Chi si avvicina alla vecchiaia, tuttavia, ha sperimentato, in un orizzonte temporale limitato, cambiamenti epocali. Qualcuno osserva che il mondo di oggi non lo riconoscerebbe nemmeno la madre che lo partorì. E’ l’impressione che proviamo dinanzi al completo ribaltamento di valori, principi, modi di essere, vivere, stare nel mondo, sperimentati, sofferti dagli anni Sessanta del secolo andato sino al presente, in cui il moto si fa più veloce, forse irreversibile.
Non c’è aspetto della quotidianità che non sia stato capovolto. Ciò che prima era bene è diventato male e viceversa. Il panorama umano delle nostre città è mutato , sfigurato. Parliamo, viviamo, agiamo in modi del tutto nuovi. Il nostro rapporto con la natura, la scienza, lo spirito, la quotidianità non è lontanamente paragonabile a quello del mondo di ieri. A chi scrive capita di pensare al proprio padre: se tornasse in vita sbarrerebbe gli occhi e crederebbe di essere stato scaraventato su un pianeta lontano, tra esseri alieni di cui ignora azioni, linguaggio, valori.
A chi soffre come una ferita – fisica e spirituale – una vita che non comprende e a cui non può adattarsi, non resta che il disagio di vivere un tempo non proprio e indagare sui perché della grande mutazione. Un fenomeno enorme che viene presentato come invitabile, positivo, il frutto compiuto di un concetto al quale riferirsi con la devozione dovuta una volta alla religione, il progresso, categoria che ha assunto connotazioni pressoché metafisiche. La megamacchina che tutto travolge e globalizza – tecnologica, scientifica, valoriale – è presentata come un avanzamento, una crescita continua della nostra condizione. Il miglioramento ( se tale è ) di alcune condizioni materiali, l’estensione di certi “diritti” , la possibilità “tecnica” di realizzare una serie di cambiamenti pratici ed esistenziali conduce l’uomo a credersi il Dio di se stesso.
Sostituto di un Dio tramontato – ipostasi ingenua di tempi barbari, arretrati, immobili – l’ homo sapiens diventa homo deus grazie alla tecnologia. La promessa è falsa e vuota: per realizzarla l’uomo deve cessare di essere umano. Sta terminando l’era “umana” e siamo entrati in quella transumana. Progrediremo – in alcuni sensi – ma il prezzo è la fine dell’uomo. La neo-entità transumana professa la religione del Progresso; la tecnologia permette di essere ciò che vogliamo essere.
Il progresso tecnologico è accompagnato da un sistema etico in cui tutte le categorie di valori stabilite dal giudeo-cristianesimo da duemila anni perdono la loro rilevanza. Saremo migliori intellettualmente, cognitivamente, fisicamente ( forse e al prezzo di mutare la nostra specie) ma senza punti di riferimento e nessuna bandiera: un prospettiva del tutto relativista. L’Homo Deus della grande mutazione non è una novità. L’esperimento di staccare l’uomo dalle sue radici e di modellarlo come se fosse argilla ha le sue origini in alcuni filoni dell’Illuminismo del secolo XVIII. Condorcet e Diderot già ragionavano sulla perfettibilità perpetua dell’essere umano. Diderot adombrava un secolo prima di Nietzsche l’idea di superuomo , mentre per un altro illuminista, Julien de La Mettrie, l’uomo è solo un meccanismo. Prospettive non realizzabili al loro tempo, ma oggi concrete: tecnologie come l’intelligenza artificiale, l’editing genetico o la robotica hanno la capacità di riconfigurare la specie umana. Nel XIX fu Charles Darwin a fornire argomenti per togliere l’uomo dal piedistallo : non più la creatura prediletta di Dio, bensì il frutto casuale dell’evoluzione. Di passo, al di là dei suoi intendimenti, fornì un arsenale di idee al nascente capitalismo, che agisce come darwinismo sociale, sulla scia del positivismo di Herbert Spencer e della sopravvivenza del più adatto, da cui sono nati il razzismo scientifico e l’eugenetica. L’intero processo infrange l’idea secondo cui siamo tutti figli di Dio, con pari dignità. Le conseguenze si sono viste durante il Novecento. Da un lato l’homo sovieticus, figlio dell’ XI tesi su Feuerbach di Marx: “i filosofi hanno finora solo interpretato diversamente il mondo; ora si tratta di trasformarlo”. Dall’altro il capitalismo che spazza via ogni residuo etico, comunitario, ogni differenza in nome dell’economia di scala e del consumo standardizzato. Bisognava correre, sinonimo di progredire, innanzitutto tecnicamente. L’ idea di progresso come garante di un mondo migliore fu smentita dal massacro di due guerre mondiali, in cui la scienza e la tecnologia vennero poste al servizio di immani carneficine. Gli uomini sono imperfetti e devono essere migliorati: è la ricorrente idea gnostica di illuminati che conduce a catastrofi e si rivela antiumana. Un critico di questa idea di progresso è John Gray, autore di Cani di paglia, in cui afferma che è assurdo pensare che il progresso tecnologico porti al progresso morale: gli esseri umani sono essenzialmente gli stessi da migliaia di anni. L’Homo Deus progressista non può ascoltare tale monito senza infuriarsi e paragonarsi orgoglioso ai nani del passato, che vuole scacciare finanche dalla memoria. La sua volontà di potenza ha un carburante e un motore: la tecnica e la tecnologia, unite per il Progresso.
Ciò che permise la prima rivoluzione industriale fu una tecnologia, la macchina a vapore. Trent’anni dopo apparvero le industrie tessili. La tecnologia generò un nuovo, gigantesco processo economico destinato a diventare antropologia: il capitalismo moderno. Le tecnologie più recenti sono di un ordine di grandezza superiore alla macchina a vapore; hanno il potenziale per alterare l’ambiente umano e riconfigurare l’essenza della specie umana oltreché la relazione con la natura, il tempo, l’idea generale di esistenza. Rendono possibile un nuovo modello economico: il passaggio dall’economia fisica all’economia digitale.
Questo stabilisce nuovi rapporti di forza e dinamiche politiche ed esistenziali, descritte da Karl Polanyi ne La grande trasformazione. Pertanto, è anacronistico leggere la realtà di oggi attraverso il prisma del passato, con la contrapposizione tra destra e sinistra nata nel Settecento. La mutazione ci pone di fronte a un Moloch potentissimo: la categoria para religiosa – in tempi di materialismo totale – di Progresso a cui nessuno osa opporre alcun orizzonte alternativo. Tutt’al più si eccepisce sui tempi, si difende la cornice formale del liberalismo e della democrazia rappresentativa – sconfitta dal moto perpetuo tecnologico – mai si discute il Progresso in quanto tale.
La guerra del XXI secolo non si combatte solo sui versanti politici, finanziari, culturali o sociali. Il fronte è l’attacco antropologico che concepisce l’essere umano come perfettibile, plastico. La resistenza non esiste o è frammentata in un’infinità di ambienti, idee, visioni occupate più in lotte intestine che a formare persone impegnate a difendere la dignità e integrità dell’essere umano. riportando la scienza, la tecnica e la tecnologia al suo servizio. Lo spiegò il fondatore della civiltà agli sgoccioli, Gesù (indipendentemente dalla pretesa di verità religiosa): il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato.
Occorre tornare all’uomo come fine e non come mezzo, all’indisponibilità della vita e della dignità di quest’essere specialissimo, a cui vengono oggi proposti “diritti” e possibilità coincidenti con i desideri, le bizzarrie, le mode. Se accettiamo che una persona possa definire il proprio sesso come desidera, apriamo la porta a fenomeni inquietanti come il transumanesimo e a entità confuse a cavallo tra il mondo fisico e quello virtuale. Nel momento in cui ci è vietato distinguere perfino l’uomo dalla donna e il nostro Sé individuale di oggi da quello possibile di domani siamo già all’interno della grande mutazione.
In nome del progresso tecnologico, tutte le categorie dell’essere umano vengono svuotate di statuto ontologico. Non esiste più il dimorfismo sessuale, ma centinaia di generi; non vi è alcuna differenza tra adulti e bambini, non solo ontologicamente ma anche per quanto riguarda le decisioni che possono prendere. Tutti sono inclusi nella categoria ( svuotata di significato etico) di “persona”, che non per caso è l’architrave della neolingua delle istituzioni accademiche americane. Il linguaggio “person first” consiste in locuzioni contorte e complessa che iniziano con il termine “persona [che]“ per nascondere e non definire.
I prefissi sono importanti, in particolare “trans”: ciò che attraversa e supera, ponendosi “al di là”. E’ il transumanesimo, la transizione dell’umano che passa dalle categorie di transessuale o transgender, trans-nazionale, trans-razza, trans-età, trans-specie, trans-capace. Possiamo inserire tutto nel calderone “trans” svuotando di contenuto l’essere umano. Possiamo, dobbiamo essere qualsiasi cosa e usare la tecnologia per il cambiamento, la riconfigurazione, la mutazione generale dell’umano e del naturale, sino ai fondamenti della creazione della vita. Presto si potrà ottenere seme maschile dalle cellule staminali femminili, escludendo l’uomo dal processo riproduttivo. Questo spiegherebbe la violenza dell’attacco al maschio della specie umana, con gli sproloqui su eteropatriarcato e violenza “strutturale “.
Probabilmente, il nucleo centrale della grande mutazione sta nell’agenda ambientale, madre del progressismo, la base su cui l’essere umano è messo sotto accusa in quanto responsabile, secondo il verbo progressista, del cambiamento climatico. L’uomo è un rischio esistenziale, la “piaga umana” descritta dal cineasta e naturalista David Attenborough, che richiede misure drastiche, moralmente giustificate per salvare il pianeta. È qui che entrano in gioco il controllo della popolazione e tutte le agende della mutazione: aborto, LGBT, educazione sessuale, femminismo radicale, ideologia transgender, sorveglianza digitale. La “diversità” in cui sono indottrinati i bambini e gli adolescenti promuove le relazioni che non portano alla procreazione con l’obiettivo di ridurre la popolazione.
Poi c’è il femminismo radicale, che non è più legittima emancipazione delle donne, ma criminalizzazione del comportamento sessuale naturale degli uomini. Poi vengono lo specismo e l’animalismo; infine l’eutanasia che, come l’aborto, riduce a cosa l’essere umano, trattato come un oggetto superfluo. Non si tratta più di aiutare una persona in difficoltà, ma di scoprire che nel rapporto costi-benefici è più economico ucciderla.
Il vero pericolo di questa guerra antropologica è che alla fine, secondo i criteri malthusiani e postdarwiniani, tutti i mezzi per ridurre il flagello – la specie umana – siano giustificati. E’ un progetto apertamente eugenetico; il rischio è che la trasmissione della vita venga affidata alla tecnologia, determinando la fine dell’essere umano, dominato dalla specie Homo Deus, la minoranza che controlla, commercializza, produce, regola e supervisiona le tecnologie della creazione, riproduzione e cessazione della vita. Esistono già tecniche genetiche per il preimpianto e la fecondazione in vitro; in Gran Bretagna è operativo lo strumento giuridico che consente l’artificializzazione della riproduzione umana, il British Three Parents Act.
Il programma transumanista determina forte resistenza, per fortuna: la maggioranza, anche nel disastrato Occidente, intuisce che il trans-mondo è un colossale inganno, ma non sa e non è messa in condizione di sapere. In più manca l’iniziativa politica; le popolazioni sono state condizionate da tecniche di sfinimento e demoralizzazione: il covid, la crisi economica ed energetica, eccetera. Se non reagiremo in tempo saremo sopraffatti da un sistema di coercizione e disumanizzazione consolidato attraverso il controllo tecnologico. La grande mutazione è in atto e per ribadire la volontà di non soccombere non troviamo frase più suggestiva di quella del latino Terenzio: homo sum; humani nihil a me alienum puto. Sono un uomo, e non ritengo estraneo a me nulla che sia umano.
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