Può iniziarsi con la certezza di perdere e condurre egualmente una guerra con la certezza di perderla?
Pare ovviamente di no.
Una tale conduzione di guerra è inconcepibile.
Se non vi è certezza per l’esito se non quella di una perdita e di una disfatta come definiremmo una tale condotta di guerra? Tratterebbesi di un puro suicidio diverso dal suicidio del singolo per essere un suicidio di massa deliberato. Se tali proposizioni sono irricevibili perché insensate non resta che definire la guerra come un azzardo ed una scommessa. La certezza del futuro sarebbe comunque paralizzante per rispetto a un’iniziativa di guerra. Ma non si è ancora definita propriamente la guerra.
Né la perdita né il guadagno è bene siano per ora definiti.
Perdita e guadagno possono intendersi come salvezza, sopravvivenza o morte.
Dev’essere però chiaro sia ai superstiti che ai perdenti che di li a poco o tanto di tempo vitale che sia morranno comunque.
E’ questa una condizione insopprimibile che concerne sia una guerra decisa che una guerra comunque procrastinata.
Tutti coloro che intraprendono una guerra con l’incertezza di vincerla o di perderla sono in possesso di una sola certezza e cioè che oltre alle cause naturali di morte se non morranno di guerra morranno comunque.
La scelta si pone dunque se si debba morire di guerra o non morire di guerra ma soprattutto se si possa vincere la scommessa di essere vincitori o perdenti.
Morire di guerra non è così atroce a volte come il morire di una morte propria in un letto d’ospedale circondati dalla vita persistente di chi si addolora per noi. Morire di vecchiaia circondati dalla cura di giovani sani non è uno spettacolo edificante o perlomeno è uno spettacolo di cui si farebbe volentieri a meno.
Non vi è definizione delle molti che ho sentito, letto e trascritto per mio conto della guerra di una che colsi alla TV in un’intervista a un soldato giapponese. A questo soldato giapponese reduce dagli eccidi della seconda guerra mondiale per la conquista del Pacifico fu chiesto dall’intervistatore cosa fosse e fosse stata per lui la guerra condotta. Egli rispose semplicemente che in guerra si ha il permesso di uccidere. E’ questo un permesso che il gruppo non concede all’individuo ma ritiene per sé soltanto qualora si preveda la pena di morte od un suo equivalente estremo come nel caso dell’ergastolo per mezzo di una segregazione definitiva dalla vita del gruppo di cui fece parte donde la mortificazione più completa fino alla morte inevitabile perché umana.
In un film dedicato alla figura di Yukio Mishima si ha a necessario complemento di questa definizione la risposta che l’eroe diede a un membro della sua setta che gli chiese se fosse lecito uccidere qualcuno. Yukio rispose al seguace che sì si può dare la morte purché si sia disposti a morire di quella stessa morte.
Renato Padoan