“In tempo di pace i figli seppelliscono i padri,
ma in tempo di guerra sono i padri a seppellire i figli.”
(Erodoto, Storie, libro I, 87)
Da sempre la Natura nasce, muore e si rigenera. Il suo incedere non è buono né cattivo, pertanto l’uomo che vi partecipa non fa il bene più di quanto faccia il male. Nel tentativo di mantenersi in equilibrio capita talvolta che viva in pace, ma non appena l’esistenza del Sacro viene messa in pericolo qualcuno nel mucchio reagisce con la forza per «rimettere le cose a posto».
Da sempre le guerre nascono da un disordine morale per essere raggiunte, ma solo in un secondo tempo, da uno squilibrio economico o da una perturbazione dell’ordine politico. Parlando come un perfetto eroe solare, Cristo si espresse con queste parole: “Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace ma la spada. Sono venuto infatti a dividere il figlio dal padre, la figlia dalla madre e la nuora dalla suocera” (Matteo, 10, 34-36).
Non tanto la parola quanto più la spada di Cristo, ovvero l’affermazione categorica di una determinata visione del mondo, consentì al cristianesimo di portare ovunque la Luce di una verità ritenuta superiore che contemplava l’accettazione di una realtà «naturale» creata appositamente per elevare il Male fino all’altezza del Bene, trasmutandolo.
Un’operazione del genere oggi sarebbe impossibile persino in presenza di un soggetto capace di realizzarla. Preda di un materialismo avido che ha preso il sopravvento nella cultura, nella società, nell’animo umano, la spiritualità non abita più in questo mondo. Si è ostruito il canale che fino a ieri permetteva l’interscambio di relazione tra la dimensione visibile e quella invisibile, tra il come e il quando, tra il prima e il dopo.
Il «passaggio di consegne» inter-generazionale non viene più garantito dal Padre, da intendersi come autorevole figura precedente che continua ad esser-ci anche dopo la morte, mentre il Figlio rinnega i vincoli di sangue sentendosi figlio del suo tempo, ovvero del Tempo della Velocità, uno spazio indefinito in cui nulla rimane stabile neppure nell’arco di una semplice e breve vita.
Qui dentro sono state azzerate l’identità, l’origine, il carattere, la memoria. Al loro posto c’è un gigantesco buco nero di cui si ignorano consistenza e profondità. Impazza lo smarrimento perché non si può far rinascere il mondo di generazione in generazione, di volta in volta, in una sorta di eterno ritorno della creatio ex nihilo. O meglio, la cosa è possibile al prezzo di uno stato di rassegnazione permanente dove conta l’oggi. Solo e soltanto l’oggi. Nessun orizzonte, né un domani, zero prospettive, solo la monotonia delle cose che si ripetono da almeno tre secoli.
Risale probabilmente al mondo classico l’archetipo che ha fatto del cinismo una necessità: quello del Senex, o vecchio Re che non molla l’osso (il trono) al nuovo Re. Potendo, anzi, se lo mangia. Il mondo-senex, o mondo di Kronos, è una caratteristica delle società in disfacimento come quella dell’odierno Occidente, che temendo di perdere la propria posizione dominante impiega enormi risorse per combattere se stesso dietro l’alibi del Nemico da vincere.
Fino a che punto i pacifisti del XXI secolo ne sono consapevoli? Sanno che prima ancora di coinvolgere gli Stati le guerre si combattono in famiglia? Inserito in questo contesto il conflitto padri-figli si qualifica come «guerra esemplare», diventa lotta primigenia, perpetua, immortale, che trova di volta in volta giustificazioni diverse acriticamente accettate da un mondo in declino il cui unico scopo è quello di tirare a campare.
Ma purtroppo non può regnare la pace là dove i cadaveri dei congiunti finiscono in concime. Un sistema “naturale, sicuro e sostenibile che comporterà significativi risparmi in termini di emissioni e di utilizzo di terreno“, lo ha definito il sindaco di Washington accodandosi a una pratica già consolidata in Svezia e nel Regno Unito.
Si prevede che nei prossimi anni il compostaggio umano diventerà il principale competitore dell’industria funeraria, che oggi in America fattura ogni anno la bellezza di 20 miliardi di dollari. Dopo avere rappresentato una pietra miliare nel passaggio dalla magia naturale (sciamanica) alla magia cerimoniale (sacerdotale) il culto dei defunti è diventato una pagina dell’agenda economica globalista. Il tutto nel menefreghismo generale, ovvero in una società che non trova pace.
Plasticamente espresso dall’età media di chi lo dirige il mondo-Senex tira dritto, continuando a riproporre i soliti vecchi schemi. Il Figlio non ha nulla da ridire, visto che il Padre gli ha «mangiato» i neuroni: metti i visori Metaverso e divertiti, l’irrealtà è molto meglio, non t’immischiare, qualcuno sta masticando il boccone al posto tuo, dovrai solo deglutirlo.
Da una parte si evita di sollecitare lo spirito giovanile all’azione, che è esperienza e realizzazione, libertà, dall’altra si dorme sugli allori. Se fosse ancora vivo il dottor Freud direbbe che il non poter/dover più scegliere non rappresenta affatto un vantaggio ma fa scivolare l’individuo in una nevrosi mortifera e paralizzante.
La permanenza ossessiva e spaesante di un quotidiano riveduto e corretto annichilisce e avvilisce, dunque non ci si stupisca se i Figli si disinteressano di tutto e non sanno più niente di niente, se i bambini fanno il verso a Greta senza capire che la posta in gioco non è il miglioramento dell’ambiente, se gli adolescenti scendono in piazza invocando un utopico «mondo di pace» senza chiedersi come mai glielo lasciano fare mentre le vere proteste vengono osteggiate.
Ciò non significa che i nuovi genitori non amino i propri figli, o si disinteressino di loro, semplicemente l’amore non basta quando mancano il rispetto e l’onore, virtù sparite dalle mappe concettuali del mondo-Senex. Vero è che molte cose si sono realizzate grazie alla presenza dell’amore; ma quante sono state impedite o deviate dall’amore, e quante sarebbero state fatte meglio se non vi fosse stato di mezzo l’amore?
Il rispetto degli altri invece è un fattore di miglioramento, contribuisce a formare la stima di sé, mentre l’onore è rettitudine, ovvero capacità di comportarsi in privato allo stesso modo in cui ci si comporta in pubblico. In presenza del rispetto e dell’onore vengono meno la competizione, la rivalità, l’invidia, la sfida. Le guerre. Lo sventolamento dei finti arcobaleni torna ad essere ciò che è, aria fritta, mentre gesti e parole diventano migliori, più gentili, perfino più sensati.
Qualcuno potrebbe osservare che solo in un contesto guerresco si riesce a fare buon uso di risorse preziose quali la passione e l’azione. E’ sempre stato così. Magari, chissà, è giunta l’ora di andare oltre i dettami del mondo-Senex, e forse alla fine del noto calvario c’è davvero la pace. Le cose cambiano, dopotutto.
Certamente non sarà indolore il distacco da qualcuno/qualcosa che fino ad ora ha costruito per noi un orizzonte di senso, fornendoci una serie di «codici» per mappare il mondo. Ma la dismisura tipica dell’attuale fase a-storica potrebbe giocare a favore del cambiamento, agevolando il «distacco». La sopportazione ha raggiunto il limite, il Tempo lineare è in agonia, la Storia si sta avvitando su se stessa. Cos’altro deve accadere?
In una società dentro cui il Padre non è più in grado di trasmettere al Figlio una traditio che possa servire al suo presente, né valori condivisi, qualsiasi aspettativa è destinata al dissolvimento. Pesano sugli attori del dramma l’assenza della comunicazione intergenerazionale, la perdita di potere della parola. E la guerra è ciò che accade quando il linguaggio fallisce, ha scritto da qualche parte Margaret Atwood.
Non a caso l’uomo-Senex che rifiuta il tramonto e il figlio immaturo che stenta a crescere sono due estranei. Un rapporto superficiale e precario lega questi soggetti tra loro, come gli Stati, le culture, i modi di vivere, i colleghi, i vicini di casa, i conoscenti, i parenti. Ed ecco servito sul vassoio d’argento il mondo infelice della solitudine in cui le donne si sono liberate degli uomini, i figli degli anziani, gli adolescenti dei genitori e si muore nell’anonimia più totale prima di finire in un sacchetto di concime per piante da appartamento.
Chiaramente non c’è pace in una società come questa senza relazioni con la Storia, la cultura, le tradizioni, il territorio, la comunità. Nel Tempio dell’Ansia, il luogo dove finiscono i randagi sprovvisti di una mappatura del mondo ereditato, c’è posto solo per la guerra.
A torto si crede che l’angoscia, questa caratteristica inconfondibile dell’uomo moderno, sia dovuta all’incertezza del futuro, causata a sua volta dalla rapidità dell’evoluzione sociale, culturale, tecnologica. Ma l’angoscia proviene essenzialmente dall’oblio del passato! Chi dimentica ciò che è stato, il figlio del Genitore1 e del Genitore2 il cui sesso è incerto, perde tutti i punti di riferimento riguardo al presente, e di conseguenza riguardo a se stesso, votandosi a una specie di follia tecno-scientifica che si propone come supplente d’eccezione e promette di rispondere a qualsiasi domanda.
Per mancanza di civiltà l’entità ideologica che risponde al nome di «Occidente» invoca la guerra a giorni alterni e dappertutto trova nemici da odiare. Il rifugio dell’uomo moralmente, intellettualmente, artisticamente ed economicamente in bancarotta è la guerra.
Facciamocene una ragione: abbiamo creato un mondo artificiale, innaturale e oltremodo strano che non conoscerà la Pace finché l’equilibrio spirituale non sarà ristabilito. L’uomo in guerra con se stesso non può pretendere che gli uomini non facciano la guerra tra loro. La cosa può risultare indigeribile, ma l’arcano era già stato svelato da Tolstoi: “Se un uomo vuole aiutare il mondo, non deve pensare di fuggire dal mondo. Deve imparare a conoscerlo e a vivere in esso, diventando un’oasi, un rifugio per chi è alla ricerca della propria anima“.
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