Un mistero racchiuso in una donna,
“suo fedele corpo di guardia”
- La Creazione del Caduceo
Dunque, rammentando le riflessioni fatte sul conto della donna “appartenente al corpo di guardia” di Julius Evola, ho detto che per ritenerla tale, Evola doveva intravedere in lei un potere che valica il comune senso attribuito a chi è di “guardia” e intuire che si doveva trattare di un occulto “guardiano astrale”. E conseguentemente è come intravedervi il misterioso “Guardiano della Soglia” che altri non è, se non il Nume Saturno. E procedendo per questa strada ecco che si delinea la visione della dea Saturnia Tellus, considerato che si lega magnificamente all’antica Urbe Roma dal suo “nascere” in poi, e il cerchio si chiude con il “gran maestro Julius Evola“, un poderoso IO destinato perciò a “troneggiarvi” occultamente.
Su che basi si può reggere questa ipotesi è difficile dirlo, salvo a far luce sull’aspetto esoterico in base al quale Evola riteneva fondata la ragione che la giovane donna del “corpo di guardia” di Evola in questione potesse essere un’occulta vergine terrena prescelta per ospitare nel suo “petto” il suo Nume Tutelare Saturno. Si capirà poi a cosa alludo con questo “petto”. Insomma, in modo molto semplice questa concezione potrebbe essere spiegata immaginando che questa vergine terrena sia una sorta di Rea Silvia, la mitica madre di Romolo e Remo. Secondo la versione albana, Rea Silvia, figlia di Numitore, perseguitata dallo zio Amulio usurpatore del trono, fu costretta a farsi vestale. Ella, obbligata alla verginità, non poteva avere eredi e così togliere il trono al malvagio zio. Ma la sorte volle (il solito « caso ») che fosse fecondata “miracolosamente” da Marte mentre dormiva presso una fonte. Viene da intuire che le “azzoppature”, come quella biblica di Giacobbe e poi l’altra supposta da me per Evola, abbiano sfaccettature diverse fra loro e non escludono casi come quello mitico per Rea Silvia, che va interpretato in modo occulto e non sul piano storico. Tuttavia ci dovette essere anche per lei il ruolo della «casualità». Ma intanto vediamo il lato occulto della vergine terrena che si associa a quella del “corpo di guardia” di Evola e per questo occorre che ricorra a questo articolo in merito, pubblicato sul sito Giuliano Kremmerz. La tradizione Ermetica a cura di Orpheus21:
CAVEA SIBYLLARUM (L’ANTRO DELLE SIBILLE)
L’autore di questa incisione (illustr. 1) dice che essa rappresenta “l’antro delle Sibille, ossia l’antro delle vergini che hanno il potere della divinazione”.
E subito dopo spiega che “vergine” significa “donna o pulzella il cui petto accoglie il Nume”. La verginità alchimica, dunque, non ha nulla a che fare con la verginità profana. Secondo i profani, posseggono la verginità le donne non ancora deflorate, e soltanto esse.
Secondo gli alchimisti, invece, posseggono la verginità tutte le donne il cui petto accoglie il Nume, e soltanto esse, indipendentemente dalle vicende del loro imene.
Ciò si collega con l’enigma della Vergine dello Zodiaco Alchimico. Molti studiosi sanno che la costellazione della Vergine (nello Zodiaco Alchimico) rappresenta la bacchetta magica del Mago. Ma non tutti sanno che la stessa costellazione rappresenta anche la bacchetta magica della Fata o Sibilla. Comunque, si contano sulla punta delle dita quelli che conoscono il procedimento segreto mediante cui le comuni bacchette diventano veramente magiche, ossia il procedimento mediante cui un uomo diventa Mago ed una donna diventa Fata. La Sibilla, dunque, è vergine poiché la sua bacchetta è stata trasmutata in Vergine dello Zodiaco Alchimico. Ed il procedimento che la Sibilla ha seguito per acquistare questa miracolosa verginità, è costituito dalle attività divinizzanti mediante cui ella “accoglie nel suo petto il Nume”.
Quanto al Nume, l’incisione lo illustra ben poco. E per trovarlo, conviene rivolgersi altrove, e cercarlo nei recessi ove si celano le sue sparse membra. In ogni caso, però, occorre tener presente che le singole membra di lui non sono il Nume, ma che all’opposto esse si trasmutano in Nume allorquando vengano esattamente congiunte, con il concorso armonico di tutte le virtù e con la piena consapevolezza dei mezzi e del fine.
CAVEA SIBYLLARUM (L’ANTRO DELLE SIBILLE)
La scoperta di questo “antro” viene qui facilitata da tre indicazioni:
1°)- Dove cercarlo;
2°)- Come cercarlo;
3°)- Dove è celato.
Il luogo ove questo “antro” giace è la terra. Ciò si desume senz’altro, tanto dall’incisione quanto dalle iscrizioni. Naturalmente, la Terra di cui qui si parla è la Terra degli alchimisti.
Ma essa non è altro che una terra terrestre, perfettamente scomponibile in elementi chimici, ordinari.
Una iscrizione dice che la Terra è “nobile”. E chi potrebbe negarlo? Senonché, mentre, a parole, tutti i profani glorificano la Terra e ne esaltano i valori, ben pochi sono quelli che effettivamente la apprezzano: piacciono a tutti le piaghe soleggiate e civettuole, ma quasi tutti spregiano le plaghe disadorne e buie.
Ed anche quelli che sono proprietari di terra si sforzano in ogni modo di nascondere agli altrui occhi le zone che ritengono meno attraenti e meno produttive, quasi ché si vergognassero di averle.
Al contrario, i sapienti non dimenticano mai che i più preziosi tesori sono nascosti nei luoghi più insospettati e nei recessi più oscuri.
Un’altra iscrizione dice: “Vai dalle formiche e considera quale sia il luco (il recesso buio) nel quale vivono.”
Rimandiamo a tra poco la discussione sull’antro, o luco, o petto. Soffermiamoci, qui, sulla prima parte della frase: “Vai dalle formiche”. Andare dalle formiche, cercare le formiche, trovare le formiche.
È facile: basta andare in aperta campagna ed osservare la nuda terra: e se per caso la terra è rivestita di un manto di erbe o di sostanze estranee che la celano ai vostri occhi, basta rimuovere quel manto per vedere le formiche. Con la Terra alchimica, dovete comportarvi in modo analogo.
Osservatela da vicino, rimuovendo le coperture ed i veli che la occultano e ricordatevi che di essa tutto è nobile, tutto è divino, e tutto possiede proprietà divine, le quali ne fanno un oggetto degnissimo di amore in ogni sua parte, tutte incluse e nessuna esclusa.
Quanto all’antro, l’iscrizione suggerisce di considerare in quale recesso buio (luco) le formiche vivono. Ebbene, le formiche vivono nelle viscere della terra, entro un nido che è costituito da una serie di celle, collegate tra loro da un insieme di gallerie intercomunicanti.
Dunque, il Nume viene accolto entro le viscere (celle) della Terra Alchimica, le quali sono collegate fra loro da moltissime gallerie interne, e sono assai più preziose che non le viscere della terra agricola.
Infatti, le gallerie sono percorse da torrenti ove si depositano le pagliuzze d’oro formanti il corpo del Nume.
I nidi delle formiche hanno in ogni caso più di una entrata, situata a fior di terra.
Anche la terra alchimica, dunque, dovrebbe, secondo l’autore dell’incisione, presentare alcunché di analogo. Ciò si collega al segreto del laboratorio alchimico, ed al problema di come deve esser fatto per poter essere utilizzato con vantaggio.
Ma questo è un altro degli argomenti che l’incisione non illustra, cosicché per studiarlo occorre rivolgersi altrove.
* * *
Commento del Maestro:
si osservi bene, attentamente e con pazienza, la figura (l’illustr. 2). In essa si troveranno preziosissime indicazioni di ordine pratico e philosophico. Si analizzi l’insieme della figura: la scena si svolge in aperta campagna, tra la terra. In primo piano, un lembo di terra con erbe e piante, la Terra dei Filosofi Ermetici. Tre Sibille in primo piano: una al centro, una al suo lato destro, una al suo lato sinistro; la prima a sinistra (di chi guarda) reca un velo, quella al centro ha un copricapo circolare, quella a destra una sorta di cuffia dimessa. Altre sette Sibille appresso a loro, poste in semicerchio e in secondo piano. Lo spazio di terra attorno a loro appare scavato, come dimostra lo spessore rialzato del tratto posto innanzi alle tre prime Sibille.
Ognuna di esse tiene in mano una pianta, tolta presumibilmente da quella stessa terra nella quale hanno scavato. Cosa indicano le Sibille? Esattamente il punto dal quale la pianta è stata tolta, vale a dire ciò che ha dato origine alla pianta stessa: il suo stesso seme, nutrito dalla terra. […] Ciò che vi è scritto potrà risultare di ulteriore aiuto. Tutt’intorno all’intera immagine, a mo’ di cornice, un serpente dalla forma ovale, senza testa né coda, cioè senza principio né fine: l’immortalità. Ricordate ciò che scrive Elifas Levi: “Un seme viene messo nella terra: nessuno lo vede, escluso chi lo semina, e quando la terra si chiude su di esso, ugualmente nessuno lo vede. Gli uomini passano accanto al luogo in cui è nascosto, e vi camminano sopra, ma esso fermenta a lungo e nel silenzio germina. Poi, un sottile germoglio sale dalla terra e si divide in due foglie, e tra queste appare una gemma. Così rimane per lungo tempo, senza che nemmeno se ne accorga. Un giorno infine il germoglio è divenuto un arboscello, poi questo cresce e lentamente diviene un albero.” (illustr. 3)
Il queste parole è indicata simbolicamente la creazione del Caduceo Filosofico, o Trinità equilibrata di Corpo-Anima-Spirito, segreto dell’immortalità dell’Anima.
- Julius Evola e Tommaso Palamidessi
Con una lettera inedita di Julius Evola
9.1 La lettera, una finestra di un mistero da dover capire
Roma, 20 gennaio 1972
Egregio dr. Palamidessi,
Ho avuto la Sua lettera, di cui La ringrazio.
Le ho già detto che un trattato di astrologia iniziatica sarebbe un’opera importante e colmerebbe una lacuna; e sarebbe anche interessante tracciare, secondo il suo proposito, una tipologia delle razze interiori con utilizzazione dell’elemento astrologico. Nel mio libro, di esso vi è solo un abbozzo, che andrebbe adeguatamente sviluppato. Un editore mi aveva incitato, in Germania, a dedicarmi a questa ricerca, ma ho dovuto rinunciarvi. Peraltro, si tratterebbe soprattutto di una morfologia a priori, non su base empirica. Per tale ragione, che esistano attualmente tipi puri, completamente conformi alla struttura fondamentale, ciò non ha importanza, né viene meno anche il valore pratico. Così, ad esempio, il definire la donna assoluta e l’uomo assoluto, che empiricamente sono quasi inesistenti, è di grande utilità per l’analisi di quelle donne e di quegli uomini che sono tali solo approssimativamente, o con mescolanze (vedi Weininger). La conoscenza caratteriale di sé negli stati più profondi sarebbe una importante possibilità offerta da tale indagine. Non vedo invece possibili relazioni per quel “risveglio della razza europea”, a cui Lei accenna. – Un precedente, però senza utilizzazione di contributi astrologici, potrebbe essere la Rassenseelekunde di L.W. Clauss, mio amico (lo studio dell’anima delle anime di razza); credo che ne ho accennato in un mio libro.
Se vuole, può includermi in quegli schizzi di figure, che Lei intende tracciare, a patto di escludere ogni “enfatizzazione”, come direbbero gli Inglesi. Una mia relazione con l’“individuo assoluto”, ad esempio, sarebbe solo umoristica.
Purtroppo ho dimenticato di darle direttamente, in occasione della Sua visita, il libro “L’Arco e la Clava”. Vedremo come si può fare: o alla prossima occasione oppure se l’editore ha un servizio di rimessa diretta a domicilio, i servizi postali specie per le stampe essendo divenuti infami. Comunque una copia Le è riservata.
Un’altra cosa. Una mia amica, appartenente al mio fedele corpo di guardia, avendo saputo della Sua visita e conoscendo il Suo nome, mi rende la vita impossibile perché vorrebbe avere da Lei un quadro astrologico del suo carattere e dei suoi “destini”. Se per caso avesse un po’ di tempo da sciupare per una ricerca più che sommaria, i dati sono: nata il 25 febbraio 1945 alle 15.20, (Venezia).
Con cordiali saluti,
suo
Evola
9.2 Tommaso Palamidessi e Julius Evola
Con la visione della lettera di Evola indirizzata all’astrologo Tommaso Palamidessi, appena pubblicata, siamo in grado di completare il quadro per impostare il tema che ci si è prefissi di configurare con questo scritto. Cioè, intravedere, se possibile, il destino, naturalmente metafisico, del filosofo romano in stretta relazione con la presunta sua “pupilla” nata il 25 febbraio 1945 a Venezia. Di questo destino, però legato alla storia, ne hanno parlato e discusso in tanti, bene o male, e sappiamo anche quanto abbia inciso il suo pensiero su molti che oggi quasi lo venerano per essersi battuto come strenue difensore di un’identità umana secondo gli antichi principi di un paganesimo imperiale della tradizione romana. Era nel vero, era nel giusto o altro? Tuttavia, considerando le riflessioni fatte, non tanto da me, ma dalle stesse persone intorno a Julus Evola al tempo del suo Gruppo di Ur, e particolarmente del noto Ekatlos col suo scritto LA «GRANDE ORMA»: LA SCENA E LE QUINTE del libro, INTRODUZIONE alla MAGIA, più vole citato, la storia è composta da “segmenti” definibili come « casi » “insignificanti” ai fini metafisici.
Dunque, lo stesso Evola, se fosse qui presente fra noi col suo spirito, ci esorterebbe a esaminare bene il lato dell’alchimia che sta, di sicuro, dietro le QUINTE, dove si può vedere la sua pupilla della lettera vaticinare, similmente a quell’antica Sibilla Tiburtina, detta Albumea (illustr. 4):
« “La decima fu la Sibilla Tiburtina, che veniva venerata a Tivoli come una dea, presso le rive del fiume Aniene. Si racconta che nei gorghi di questo fiume fosse trovata una statua che la raffigurava e che teneva in mano un libro: il Senato allora ordinò che il libri sibillini fossero trasferiti in Campidoglio”». (Varrone in Lattanzio Divinae institutiones 1.6.3.)
Oggi faccio emergere uno squarcio su una possibile realtà metafisica attraverso una finestra appena storica, la lettera mostrata al capitolo precedente, che non è stata mai esaminata sotto il profilo esoterico, per farvi trapelare i suoi possibili segreti reconditi. È necessario, comunque iniziare a riesaminare almeno il lato storico che riguarda le figure di Julius Evola e Tommaso Palamidessi, quali ultimi “attori scenici” della lettera suddetta. Ma è una cosa che è stata fatta con molta accuratezza, come già detto in precedenza, dal prof. Francesco Baroni, attento storico, sia di Evola che di Palamidessi con l’articolo: Julius Evola e Tommaso Palamidessi, con una lettera inedita di Julius Evola di Francesco Baroni: Fonte: Fondazione Evola
Occorre dire in premessa che si tratta di fatti, seppur “casuali” dal punto di vista esoterico, tuttavia si tratta di fondamentali “semi” che la sorte ha predisposto simbolicamente nel citato “Roseto dei Filosofi” di Michael Maier, da ritenersi la CAVEA SIBYLLARUM, ovvero il “petto” della sibilla che ha accolto il Nume di Julius Evola e se ne parlato nel capitolo 8.
A questo punto rimando il lettore alla lettura del citato scritto di Francesco Baroni dal quale mi limito a estrapolare ciò che maggiormente può influire sul possibile risvolto esoterico che andrò poi a fare e che lo stesso autore ha segnalato, evidenziando a conclusione i punti dottrinali in cui emergono le differenze più sensibili. Fra queste emerge su tutte la differenza sulla questione dell’esoterismo cristiano.
« In termini generali ‒ egli dice ‒, è il disegno complessivo del fondatore dell’Archeosofia che si oppone, ed in modo frontale, ad alcune prese di posizione di Evola in materia di dottrine tradizionali, con particolare riferimento alla questione dell’esoterismo cristiano22. Evola aveva più volte qualificato il cristianesimo come religione devozionale e sentimentale, tuttalpiù mistica, ed in ogni caso sprovvista di ogni spessore iniziatico od esoterico23 – nell’accezione guenoniana del termine -, ammettendo solo più tardi, proprio in seguito ai primi scambi con Guénon24, la possibilità di una “reintegrazione” del cristianesimo nella cosiddetta “tradizione primordiale”25.
Il discorso di Palamidessi è di valore uguale e di segno opposto: per lui si tratta di provare che il cristianesimo delle origini ha rappresentato la forma più pura di esoterismo, e che le sue dottrine includevano, riservandoli ad una élite, tutti gli insegnamenti indispensabili per intraprendere il cammino iniziatico. Una lettura serrata dei primi Padri della Chiesa funge da supporto a questa riflessione, che d’altronde non è solo teorica. Palamidessi, infatti, descrivendo alcuni presunti ricordi di una sua vita passata, afferma di essere stato Origene, allievo di Ammonio Sacca e depositario dell’autentica dottrina cristiana esoterica26.
Oltre a questa ‒ nettissima ‒ divergenza di orientamento generale, vi sono poi dei punti di disaccordo più specifici, ma legati in qualche modo alla prima. In particolare, Palamidessi critica le posizioni di Evola sulle tre questioni seguenti: lo statuto della donna ed il diritto di questa all’iniziazione; l’anima e la sua immortalità; il rapporto tra via mistica e via iniziatica.
Nel quaderno intitolato Esperienza misterica del santo Graal, scritto nel 1970, Palamidessi esprime la sua avversione all’“assurda opinione corrente che nega alla donna il diritto all’iniziazione e all’adeptato”27, e afferma, riprendendo una tematica ampiamente diffusa nelle correnti esoteriche occidentali28, che lo Spirito Santo (la “Madre Divina”) “si incarnerà in un corpo di donna”29. La critica indiretta all’antifemminismo evoliano trova dunque una nuova linfa in un contesto diverso, ormai definitivamente cristiano.
Sempre nello stesso quaderno troviamo un’altra allusione ad uno dei leitmotiv del sistema evoliano, la nozione di “individuo assoluto”: “La contro-iniziazione opera inculcando idee luciferiche e ahrimaniche diverse, tra cui quella che siamo Dio, facendo assumere atteggiamenti interiori di autarca, di individuo assoluto; invece Dio è Dio e noi siamo immagini di Dio, semplici creature che partecipano alla theosis”30.
La critica, velata ma non indecifrabile, si inasprisce più in là: “Altre insidie della contro-iniziazione sono i capi, gli istruttori di non poche associazioni, inseriti là dove avrebbero dovuto esserci degli Adepti dell’Alta Iniziazione, mentre vi sono degli atei, dei materialisti, dei negatori dell’immortalità dell’anima”31.
Critica non indecifrabile, dicevamo, se si considera che Evola (pur non essendo esattamente all’epoca un “capo” o un “istruttore” legato ad un’associazione precisa) aveva scritto in “Ur”: “L’idea che ognuno possegga un’anima immortale […] è una vera aberrazione ideologica”32. Di fatto, per Evola l’anima (yuxh/) è mortale perché si identifica con i corpi sottili o psichici, i quali si disgregano alla morte dell’individuo; il nou=j, invece, è il vero e proprio “principio intellettuale […], immutabile presenza e pura luce”33, che in quanto tale non è soggetto a disgregazione.
Infine, Palamidessi contesta in modo netto la scissione, più volte affermata da Evola, tra via mistica (o lunare) e via iniziatica (o solare). Nel testo Gli scopi dell’ordine iniziatico “Loto+Croce”, scritto nel 1969, si legge: “Coloro che sostengono esser la religione e la mistica estranee alla Via Iniziatica o solare, sono nell’errore. Costoro si sono tagliati fuori dalla salvezza perché escludono la chiamata di Dio, negano la realtà di Dio”34.
Senza spingerci in un’analisi dettagliata di simili questioni dottrinali, si può dire che la ragione ultima di tali divergenze di vedute è da rintracciarsi nell’orientamento marcatamente cristiano assunto dal pensiero di Palamidessi a partire dalla svolta degli anni ’50.
Ciò spiega, ad esempio, il dissenso sulla questione dell’anima. Per Evola infatti, che segue in ciò il Vedanta e le dottrine apparentate, l’uomo non è nient’altro, nel suo fondo ontologico, che il metafisico Atman-Brahman. Egli è dunque un essere divino che si ignora, e non vi è affatto bisogno di postulare un’“anima” immortale.
Per Palamidessi invece, che fonde il pensiero dei primi Padri della Chiesa con le speculazioni della teosofia, l’“anima immortale” esiste: si tratta del “corpo causale”, composto di “materia intelligibile divina”, che attraversa le varie incarnazioni cambiando corpo “come un cavaliere cambia cavallo”35.
Queste stesse considerazioni sull’anima spiegano anche l’avversione di Palamidessi ad una nozione tipicamente evoliana, quella di “individuo assoluto”. L’idea di una coincidenza essenziale tra l’Io dell’uomo e il Principio metafisico supremo, presentata da Evola come il maggior elemento di superiorità delle dottrine orientali rispetto al cristianesimo, non è tollerabile in una prospettiva che si vuole aderente alle speculazioni dei primi Padri della Chiesa, i quali sviluppano ampiamente il tema della “somiglianza” tra l’anima umana e Dio, in conformità al dettato biblico, ma non possono certo andare fino all’identità36.
Quanto al problema del rapporto tra mistica ed iniziazione, poi, è evidente la necessità, per Palamidessi, di non lasciar screditare il patrimonio della mistica cristiana, la quale nella prospettiva evoliana si riduce ad essere l’incarnazione di una spiritualità “femminile’’, più subita che vissuta, e dunque passiva nel senso deteriore del termine37.
Il contrasto di vedute e di terminologia è dunque nettissimo, e ciò si evince anche dalla gravità, in un contesto simile, dell’accusa (per quanto priva di riferimenti diretti ad Evola) di essere un “capo della contro-iniziazione”.
Non sappiamo se tali critiche, alcune velate, altre più esplicite e dirette, siano mai pervenute all’attenzione di Evola. Se così non fosse, allora è da attribuire unicamente al ricordo del plagio subito negli anni ’40 il giudizio, perentorio e durissimo, che un Evola ormai settantatreenne dà su Palamidessi in una lettera a Hans Thomas Hakl del 15 luglio 1971.
Hakl, nella sua lettera ad Evola, aveva nominato Palamidessi, con il quale aveva avuto uno scambio epistolare alcuni mesi prima. La reazione di Evola non si fa attendere:
Mi meraviglio di veder citato da Lei il nome di Palamidessi, il quale non è che un imbroglione (uno Schwindler) privo di ogni qualificazione, se non di una generica astrologia che egli sfrutta professionalmente per fini di lucro38.
Il ricordo del plagio subito sembra vivo, anche se non si può escludere che a questo si sia sovrapposta l’asprezza della disputa ideologica, di cui ci restano solo le testimonianze degli scritti di Palamidessi. E’ poi da notare che Evola non può negare che tra le qualifiche di Palamidessi rientri l’astrologia, benché si tratti, secondo lui, di un’astrologia “generica”. Menzionare questo aspetto era forse inevitabile, dato che Palamidessi era certamente ben noto nel milieu astrologico italiano, il quale aveva da poco dato vita al CIDA (“Centro italiano di discipline astrologiche”, costituitosi nell’ottobre 1970)39.
Se dunque questo giudizio di Evola, nella sua durezza, non desta particolari sorprese visti i precedenti rapporti tra i due, può sorprendere il tono di una successiva lettera di Evola, indirizzata proprio a Palamidessi. La lettera in questione, ritrovata di recente in quella che fu la biblioteca di Palamidessi a Roma, è datata 20 gennaio 1972.
Da questo documento si evince che i due si erano visti a casa di Evola, poco prima di questa data, e che avevano discusso di astrologia. In seguito, Palamidessi aveva scritto ad Evola esponendogli il progetto di una pubblicazione futura. Doveva trattarsi di uno studio, appunto, di “astrologia iniziatica”, che prevedeva una “tipologia delle razze interiori” stabilita sulla base di criteri astrologici. Palamidessi aveva intenzione di accludere al suo lavoro un’analisi del tema astrale di Evola, il quale nella lettera gli dà il suo consenso40.
Non sappiamo nient’altro di questo incontro: né se fu il primo, né se fu seguito da altri. Non sappiamo neppure se vi furono degli intermediari, anche se si può pensare che Evola e Palamidessi avessero delle frequentazioni in comune, dati i rispettivi interessi, e visto anche che entrambi avevano rapporti con le Edizioni Mediterranee (Evola fondò e diresse la collana “Orizzonti dello spirito” dal 1968 al 1974, anno della sua morte, mentre Tecniche di risveglio iniziatico di Palamidessi fu pubblicato dalla Mediterranee nel 1975). Infine, non sappiamo per il momento chi sia l’amica che rendeva “la vita impossibile” ad Evola, desiderando che quest’ultimo chiedesse a Palamidessi di farle il tema astrale (dettaglio che conferma la fama di cui godeva Palamidessi come astrologo a quei tempi).
Ciò che si nota senza difficoltà è che il tono di Evola è cordiale; non vi è nessuna traccia dell’acredine che aveva caratterizzato i rapporti tra i due, e che ancora traspare nella lettera di Evola a Hakl di alcuni mesi prima. Se vi sia stato un reale rappacificamento, ed in che modo questo sia avvenuto, è ormai difficile saperlo. »
NOTE
21 Fonte: Giulianokremmerz.com
22 Sull’atteggiamento di Evola nei riguardi del cristianesimo, cf. G. Lami, “Evola e il cristianesimo: uno scontro annunciato”, Studi evoliani 1999, Rome: Settimo Sigillo, 2001, pp. 31-42, e C. Bonvecchio, “Evola e l’impero interiore: una fine e un inizio’’, in Julius Evola, Imperialismo pagano [1928], Roma: Mediterranee, 2004, pp. 17-51 (si vedano in particolare le pp. 43-49).
23 Si vedano soprattutto la parte finale dell’Uomo come potenza, dedicata ad un raffronto tra tantrismo e cristianesimo (L’uomo come potenza, ed. cit, pp. 293-304), e Imperialismo pagano (Imperialismo pagano, capitolo V, “Valori pagani e valori cristiani”, éd. cit., pp. 129-150).
24 Evola iniziò a corrispondere con Guénon tra il 1929 e il 1930. Cf., al riguardo, R. Guénon, Lettere a Julius Evola (1930-1950), introduzione, traduzione e note di Renato del Ponte, Carmagnola: Edizioni Arktos, 2005, p. 23.
25 “Partendo dalla materia del cattolicesimo, saper giungere a ciò che in essa, per essere veramente “cattolico’, ossia universale, va al di là del cattolicesimo, e permette di comprendere ciò che nell’antichità o fuori dall’Occidente si trova esposto in forme diverse da quella cattolica – tale sarebbe dunque, per un cattolico, la via per giungere al giusto punto di vista” (J. Evola, Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo, Torino: Bocca, 1932, p.
26 Si veda in particolare il testo “Memoria delle vite passate e sua tecnica”, in Archeosofia, Roma: Archeosofica, 1989, Vol. III, pp. 5-41.
27 T. Palamidessi, Archeosofia, ed. cit,, Vol. II, p. 70.
28 Si pensi al caso di Guillaume Postel et della “mère Jeanne’’, nella quale Postel vedeva la “Madre del mondo”, ossia il nuovo messia femminile destinato a salvare l’anima dell’uomo (la parte inferiore, sensuale dell’anima umana), completando così l’opera del primo messia, il Cristo (cf. a tal riguardo gli articoli di J.- P. Brach “ ‘Deux en une seule chair’: Guillaume Postel et le messie féminin”, in Féminité et spiritualité, Cahiers du G.E.S.C. n° 3, Milano-Parigi: Arché, 1995, pp. 35-42 e “Dieu fait femme: G. Postel et l’illumination vénitienne’’ in La face féminine de Dieu, Parigi: Noêsis, 1998, pp. 41-61).
29 T. Palamidessi, Archeosofia, ed. cit., Vol. II, p. 63.
30 Ibidem, p. 77. Il corsivo è nostro.
31 Ibidem.
32 J. Evola (sotto lo pseudonimo di “Ea”), “Il problema dell’immortalità”, ora in Introduzione alla magia, Roma: Mediterranee, 1971, Vol. I, p. 164.
33 J. Evola, Metafisica del sesso, Roma: Mediterranee [1958], 1996, p. 148.
34 T. Palamidessi, Archeosofia, ed. cit., Vol. II, p. 106.
35 T. Palamidessi, Archeosofia, ed. cit., Vol. III, p. 39.
36 T. Palamidessi, Archeosofia, ed. cit., Vol. III, p. 39. Cf. C. Casagrande, S. Vecchio, Anima e corpo nella cultura medievale. Atti del V Convegno di studi della Società Italiana per lo Studio del Pensiero Medievale, Firenze, SISMEL, Edizioni del Galluzzo, 1999.
37 Si veda a questo proposito l’articolo “Esoterismo e mistica cristiana”, pubblicato sotto lo pseudonimo di “Ea” in Introduzione alla magia, ed. cit, Vol. III, pp. 274-295.
38 J. Evola, Lettere 1955-1974, catalogate, annotate e commentate da R. Del Ponte, Finale Emilia: la Terra degli Avi, 1996, p. 162.
39 Quanto all’accusa di “sfruttare l’astrologia per fini di lucro”, va pur detto che Palamidessi aveva fatto dell’astrologia il proprio mestiere; si può dunque ritenere che rientrasse nella logica delle cose che ne ricavasse dei profitti.
40 Circa questa pratica, ricordiamo che diversi quadri astrali di personaggi celebri, spesso accompagnati da una breve analisi, vennero inseriti nell’edizione postuma di Astrologia mondiale di Palamidessi del 1985 (cf. T. Palamidessi, Astrologia mondiale, Roma: Archeosofica, 1985, pp. 415-520). Roma, 20 gennaio 1972.