Sembra che di questi tempi io sia proprio destinato a girare intorno a me stesso, a riprendere in mano tematiche che avevo abbandonato da anni, riguardo alle quali mi sembrava di aver già detto tutto quanto fossi in grado di dire. Varie circostanze mi hanno indotto, come avete visto, a riprendere in mano il discorso di Ex Oriente lux, ma sarà poi vero?, che avevo tenuto in sospeso per due anni, altri tre articoli. Ora parrà strano, ma la stessa cosa è opportuno farla con La malattia Occidente.
Io non penso di richiedervi uno sforzo eccessivo di memoria ricordandovi un concetto che ho più volte esposto, cioè che la vera antitesi a quell’Oriente che qualcuno vuole farci digerire a tutti i costi come materno grembo originario della civiltà umana, non è “l’Occidente” ma l’Europa.
Questo termine, “Occidente”, un tempo indicava l’Europa (contrapposta al mondo orientale-asiatico), più le propaggini extraeuropee del nostro continente formatesi a seguito dell’intenso movimento di esplorazione e colonizzazione mondiale che gli stati europei hanno iniziato a partire dal XVI secolo: le Americhe e l’Oceania, ma a partire dal 1945, esso ha cambiato del tutto significato, perché l’egemonia del mondo “occidentale” è passata dall’Europa agli Stati Uniti. “Occidentalismo” in pratica oggi significa essere succubi o servitori consenzienti del predominio americano, qualcosa di totalmente difforme da ciò che noi siamo o dovremmo essere, in più, ormai non giustificato dall’emergenza della Guerra Fredda e dalla minaccia sovietica che ormai sono di fatto cessate da quasi un trentennio.
In più, facevo notare che questa egemonia acquistata dagli yankee su di noi con la più brutale forza militare resa ancor più micidiale dalla totale assenza di scrupoli nel colpire le popolazioni civili, non è semplicemente una dominazione statica, ma l’importazione di elementi “culturali”, modi di vita, perfino i neologismi anglicizzanti che vanno a degradare sempre di più la nostra lingua, veicolata dal più imponente sistema mediatico mai esistito, porta a una progressiva degradazione della cultura europea, del nostro stile di vita, dei nostri valori, delle nostre tradizioni, tanto che se ne può parlare come di una vera a propria malattia dello spirito europeo, la malattia Occidente, appunto.
In questo modo, la mia intenzione era quella di costituire con questi articoli una sorta di pendant, di contraltare a Ex Oriente lux, tuttavia non intendevo andare molto avanti con essi, di non avere tante cose da dire come in Ex Oriente, anche perché c’è lo splendido saggio di Sergio Gozzoli L’incolmabile fossato a cui mi sono richiamato più volte.
Io quindi adesso non ci tornerei più sopra se non fosse per un fatto casuale che mi ha fatto letteralmente sbattere il naso su quanto ristretta, piatta, atrofica sia la maniera di considerare le cose nell’ottica di questa democrazia diventata ormai un malanno esteso a una dimensione planetaria, di come essa abbia ristretto gli orizzonti mentali fino a non lasciar sussistere alcuna forma di pensiero dotato di un briciolo di autonomia, fino a imporre la completa anchilosi mentale.
Tempo addietro ho scritto e pubblicato su “Ereticamente” un articolo dal titolo alquanto singolare, Creonte. Quest’ultimo è il nome di un personaggio dell’antica tragedia greca, dell’Antigone di Sofocle, cognato e successore di Edipo, che condanna la stessa Antigone per aver dato sepoltura al fratello Polinice, che, considerato traditore che aveva marciato in armi contro la città di Tebe, doveva essere lasciato insepolto. Mi ero servito di questa tematica per introdurre un discorso importante e attuale, il conflitto fra legge pubblica e morale personale soggettiva.
A interpretare in questo senso il mito di Antigone e la tragedia di Sofocle, a dare a essi una lettura fortemente attualizzante, è stato in particolare lo psicologo Eric Fromm. Io ho seri dubbi sul fatto che questa lettura sia storicamente corretta, e mi sembra che piuttosto esso rappresenti il conflitto fra la legge-morale della polis e quella più antica, matriarcale, pre-ellenica incarnata da Antigone, perché nel pensiero greco antico, la distinzione e la contrapposizione fra religione, legge, ethos, era qualcosa di inconcepibile, e la stessa cosa si può dire per il mondo romano: la frattura fra la dimensione morale-spirituale e l’appartenenza alla polis, alla civitas, s’introduce nel nostro mondo con il cristianesimo.
Fromm, bisogna dirlo, non è stato certo il solo a teorizzare il ripudio e l’opposizione alla legge in nome di una morale soggettiva, si può ricordare ad esempio Lev Tolstoj, teorizzatore di quello che lui stesso definiva un cristianesimo anarchico. Questione di gusti o forse di istinto, a me già l’espressione “cristianesimo anarchico” fa sentire un sapore in bocca come se masticassi una scorza di limone di quelle belle acide, e si arriva subito alla contraddizione di qualsiasi soggettivismo: se è la soggettività che deve essere assunta a regola, perché quella di Lev Tolstoj e non quella di qualsiasi altro, magari quella di Fabio Calabrese o la vostra?
Contraddicendo Fromm e Tolstoj, prendevo dunque le parti di Creonte contro Antigone (che, lo ripeto, non rispecchia il personaggio di Sofocle), ma – lo ammetto – era un discorso in cui avevo gioco facile, perché nel caso attuale cui lo applicavo, i “principi morali” cui si appellavano i sindaci di sinistra per rifiutarsi di applicare le disposizioni del ministero dell’interno contro l’immigrazione clandestina, erano e sono solo un pretesto, che non nasconde certo il fatto che “i migranti” sono diventati un business a spese dei contribuenti italiani, al punto tale da superare la redditività del traffico di stupefacenti.
Tuttavia occorre essere chiari, perché c’è un forte rischio di essere fraintesi. La legge dello stato non può essere oggetto di una feticistica adorazione solo perché scritta nei codici, essa merita rispetto solo in quanto e SE adempie quella che dovrebbe essere la funzione fondamentale dello stato, “forma” che esiste o dovrebbe esistere per difendere, proteggere, garantire lo sviluppo futuro alla nazione, intesa come comunità e continuità storica, culturale, ma soprattutto etnica, cioè di sangue. Le democrazie odierne sono palesemente al disotto del minimo, prima di tutto perché sono solo apparentemente stati sovrani e in realtà proconsolati USA e dipendenti da diverse organizzazioni internazionali su cui i popoli non hanno alcun controllo (ONU, NATO, UE), e in secondo luogo perché non solo non assolvono, ma violano la tutela dell’entità nazionale che dovrebbe essere il compito fondamentale dello stato: obbedienti a un “ordine internazionale” tirannico non deciso certo dai popoli, spingono per il meticciato, la sostituzione etnica, al punto da manifestare un vero e proprio razzismo contro i propri cittadini, e a favore degli allogeni, specialmente quando un popolo ha la disgrazia di essere governato da governi di sinistra (o di centrosinistra, che è esattamente la stessa cosa).
Contro questa forma di democrazia, la ribellione è legittima e doverosa.
Il filosofo J. G. Fichte diceva che “L’unico regime veramente tirannico è quello che rifiuta per principio di riformarsi”, se questo è vero, non esiste regime più tirannico della democrazia, che non soltanto si percepisce come regime “ultimo” non ulteriormente superabile, ma predica e pratica la sua estensione a livello planetario a popoli che alle sue coordinate mentali sono del tutto estranei. L’ultimo esempio sono state le cosiddette “primavere arabe”, certamente montate dall’esterno, che dovunque hanno portato (nei casi meno disgraziati) alla nascita di nuove dittature, oppure a situazioni di guerra civile permanente. Ora ci riprovano con il Venezuela.
A ogni modo, steso l’articolo su Creonte, come sono solito fare, mi sono messo a cercare su Google immagini un’immagine adatta per illustrarlo, e sono rimasto basito.
Poiché volevo avere una scelta ampia di possibili soggetti, avevo digitato “tragedia greca”. Si, immagini che si riferivano ad Antigone ce n’erano in abbondanza, anche se non molto variate (perlopiù un gran numero di versioni del quadro ottocentesco di Giuseppe Diotti). Possibile, mi sono chiesto. La tragedia greca presenta un enorme spaccato della natura umana, di tutte le passioni, i sentimenti, i conflitti che possono albergare nell’animo degli uomini e nei rapporti fra loro. Di tutto questo solo Antigone sembra suscitare l’interesse dei contemporanei, di cui “il web” è un grande specchio?
Poi a un tratto ho capito: a coloro che attraverso il sistema mediatico dettano il pensiero dei nostri contemporanei, interessa soprattutto questo personaggio, interpretato alla maniera di Fromm, in chiave “moderna” e possibilmente “femminista”.
Si tratta di un sintomo di significato non secondario. Noi non solo non facciamo nessun onore a un personaggio dell’antichità quando pretendiamo di scoprirlo “moderno”, significa solo che lo stiamo appiattendo al livello dell’uomo contemporaneo, ma in questo caso fa sicuramente gioco l’interpretazione falsata datane da Fromm (che in definitiva non vale più della rilettura del mito di Edipo fatta da Freud), cioè la riduzione della tragedia greca a un pezzetto dell’ideologia contemporanea per la quale tutti sono (o a tutti viene imposto di essere) democratici, femministi, antirazzisti, anti-omofobi, pro-LGTB, multietnici, oltre che liberisti in campo-socio economico.
Il “pensiero unico” non vale solo in campo economico, dove negli ultimi trent’anni sta facendo da supporto alle privatizzazioni, alla riduzione dello stato sociale, alla progressiva cancellazione di tutte le conquiste delle classi lavoratrici negli ultimi due secoli, con la complicità e la benedizione di una sinistra ormai convertita al dogma liberista. Esso vale ormai in ogni ambito, producendo la totale piattezza ideologica e mentale, rendendo la vantata libertà di pensiero delle democrazie null’altro che una tragica barzelletta, anche perché sappiamo bene che su coloro che non si adeguano, che continuano a pensarla diversamente, cala con facilità la scure di una spietata repressione.
Pensiamo solo al fatto che solo dubitare del dogma olocaustico proclamato al processo-CONCILIO di Norimberga è di per sé un crimine, o allo squallore delle campagne elettorali USA dove sembra che i problemi nazionali non siano altro che decidere se concedere o meno il matrimonio e la possibilità di adottare bambini ai gay. Che una politica economica di stampo liberista risponda solo agli interessi delle classi dominanti capitaliste, o chiedersi quale vantaggio, tranne l’odio quasi dell’intero pianeta, provochi per gli USA il sostegno a spada tratta dell’entità sionista in Medio Oriente, sono questioni che non sembrano interessare a nessuno, anzi che nessuno sembra capire.
Se un’opera settantennale di inquinamento della nostra cultura non portasse l’Europa a somigliare a livello mentale, a una fotocopia sempre più somigliante dello squallore americano, potremmo semplicemente sogghignare. Invece è forse il caso di riflettere che, grazie alla democrazia, l’uniformazione, la standardizzazione, l’appiattimento dei modi di pensare, cioè in definitiva il “pensiero unico”, l’ “ultimo uomo” profetizzato da Friedrich Nietzsche in Così parlò Zarathustra si sta traducendo in realtà.
Un altro bell’esempio di come attraverso il sistema mediatico e “la rete” si attui un condizionamento, a volte nemmeno tanto sottile, della mentalità della gente, si può vedere andando sempre su Google immagini e digitando in inglese “hate symbols” (potete digitare “simboli di odio” in italiano, ma il risultato è meno chiaro). Trovate un florilegio di svastiche, comprese quelle buddiste, simboli runici, a cominciare ovviamente dalla doppia S, croci di ferro, croci celtiche (e non si sa se mettersi a ridere o a piangere pensando a quanti di questi “simboli di odio” sono disseminati nelle chiese e nei cimiteri irlandesi).
Niente stelle rosse, e l’unica falce e martello che si trova, è quella dentro un cerchio barrato in segno di divieto, non è il comunismo a essere “odioso” ma l’anticomunismo. Bene, possiamo concludere che se la tirannide rossa ha ucciso decine di milioni di persone, il solo stalinismo è responsabile di un numero di vittime massacrate e fatte morire nei gulag in numero dieci volte superiore a quello attribuito ai nazionalsocialisti dal processo di Norimberga, poi ci sono altre cosucce, come i milioni di civili tedeschi massacrati dall’Armata Rossa negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, l’orrore a lungo misconosciuto delle foibe, le stragi compiute dai partigiani, le fosse di Katyn, il gigantesco cimitero in cui i Khmer rossi hanno trasformato la Cambogia sterminando un terzo della popolazione, gli assassinii degli anni di piombo, tutto questo è stato fatto senza odio, per pura generosità e bontà d’animo, esattamente come per generosità e bontà d’animo gli yankee hanno massacrato gli Americani nativi (quelli veri, i cosiddetti pellirosse), ucciso milioni di civili coi bombardamenti terroristici della seconda guerra mondiale, e buttato due ordigni nucleari sul Giappone, le stesse generosità e bontà d’animo che spingono l’entità sionista a imprigionare, torturare, uccidere, sterminare gli inermi Palestinesi.
Tuttavia per Google non ci sono dubbi: gli odiatori, i cattivi, le brutte persone sono gli altri.
Alcuni di questi “simboli di odio” sono più tipicamente americani: la croce con la goccia di sangue del Ku Klux Klan, la bandiera sudista, e alcuni simboli forse per noi inconsueti che la destra americana sta usando al posto di quelli ufficialmente proibiti: Pepe la rana e la bandiera dello stato immaginario del Kekistan.
Non molto tempo fa, qualcuno ha inalberato una bandiera del Kekistan a una manifestazione leghista. E’ stata fotografata e presentata ai lettori di “Repubblica” come bandiera del Terzo Reich, dando in questo modo una plateale dimostrazione del fatto che i redattori del periodico fondato da Eugenio Scalfari, oltre che politicamente miopi, sono anche daltonici, dato che la bandiera del Kekistan è a fondo verde.
Più in generale, ci si può chiedere se l’odio, il fatto di provare odio sia una cosa di per sé così deprecabile. I sentimenti negativi sono utili alla sopravvivenza quanto quelli positivi. L’odio richiede un certo carattere, un certo orgoglio, una volontà di reagire alle minacce e ripagarle con la stessa moneta, senza la quale un uomo è inerme come una pecora.
Nel momento in cui siamo sottoposti alla doppia aggressione di un’invasione mirante alla sostituzione etnica, e del terrorismo jihadista, pecore, è precisamente questo che il potere mondialista vuole che siamo. Io ho espresso più volte l’opinione che tra i fenomeni della cosiddetta immigrazione e del terrorismo jihadista esiste uno stretto collegamento: al di là del fatto religioso, che è soltanto un pretesto, è un modo di marcare il territorio, è un modo per i nuovi venuti di dirci: “Guardate che questa non è più la vostra terra, ora è terra nostra”.
Nello spirito della perfetta accoglioneria, l’arma che ci è consigliata dal sistema mediatico per combattere il terrorismo sono i gessetti colorati, e soprattutto bisogna evitare ogni atteggiamento meno che magnanimo verso coloro che ci invadono, finti rifugiati di guerre inesistenti, e soprattutto evitare sentimenti di odio che potrebbero risvegliare non dico il leone, ma almeno l’uomo nella pecora che cercano di farci diventare.
A suo tempo, pompata al massimo dal sistema mediatico fece il giro del mondo una frase a effetto scritta dal marito di una vittima di un attentato jihadista contenuta in una specie di lettera aperta indirizzata da quest’ultimo ai terroristi: “Non avrete il mio odio”.
Bello(?), ma in concreto cosa significa? Tornarsi a rinchiudere nella dimensione bovina di consumatore soddisfatto alla quale la tragedia l’aveva momentaneamente strappato, in attesa che un’altra tragedia simile arrivi a colpire di nuovo i suoi familiari o lui stesso.
Invece, io penso che il nostro odio sia proprio l’unica cosa che dovremmo essere disposti a concedere a chi colpisce la nostra gente e vuole distruggere il nostro futuro.
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