24 Giugno 2024
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La medicina epidaurica: una silloge di scritti sulla guarigione spirituale – Giovanni Sessa

L’idea della morte è stata allontanata dalle nostre vite. L’uomo contemporaneo, produttore-consumatore, ha ben altro a cui pensare e a cui dedicarsi, quello della morte è pensiero ozioso, improduttivo. Ad esso può dedicarsi, al massimo, qualche «residuale» filosofo, incapace di comprendere il clima spirituale del tempo presente. La morte è sempre, come mostrò nei suoi testi illuminanti, Elias Canetti, morte dell’altro, non ci appartiene, non ci riguarda. Tale atteggiamento superficiale, a causa della pandemia da Covid-19, si è trasformato in paura della fine, se non in vero e proprio terrore. Il virus, un merito lo ha avuto: ha ricordato, ad un’umanità distratta, il limite della vita. Da qui la sacralizzazione, cui stiamo assistendo, del medico e della medicina, che hanno surrogato funzioni un tempo attribuite al sacerdote e alla religione. Per queste ragioni, tornare a riflettere sulle possibilità terapeutiche di un’«altra prassi medica»,  può risultare utile. Per questa riscoperta consigliamo la lettura di una recente pubblicazione, L’esperienza terapeutica secondo la Sapienza di Giuliano Kremmerz. Scritti di G. Kremmerz e S. Catalano, curata da Luca Valentini per l’editore Stamperia del Valentino (per ordini: 0815787569, pp. 141, euro 15,00). Si tratta di una raccolta di testi di Kremmerz e Catalano inerenti la guarigione spirituale. Il primo, all’anagrafe Ciro Formisano (1861-1930), napoletano, è considerato uno degli esoteristi italiani più rappresentativi del secolo XX. Nel libro è contenuta la sua opera, Medicina Dei, così come essa apparve nell’edizione del 1935. Kremmerz fu discepolo di Giustiniano Lebano e del misterioso Izar e fondò la Fratellanza Terapeutica di Myriam, applicazione, in ambito curativo, della realizzazione magica. Il secondo, medico di professione, operò a lungo in Uruguay,  ed è autore  dello scritto, Medicina Mistica, uscito a Napoli nel 1899, che apre la silloge. I due saggi sono proceduti dall’introduzione del curatore. Il volume è chiuso da una serie di lettere di Kremmerz e dallo scritto, Le guarigioni miracolose.

Dal volume si evince l’esistenza di due diverse medicine: la medicina epidaurica, che nell’antichità era riservata agli ierofanti, e la medicina empirica: «di limitata competenza del volgo» (p. 8). La prima è da ritenersi scienza in senso proprio, la seconda mera opinione. Tanto Catalano, quanto Kremmerz ritengono necessario tornare alla pratica della medicina epidaurica. I due, in particolare, sostengono che il dolore prodotto dalla malattia, deve essere, innanzitutto, considerato come una possibilità, atta: «ad una trasmutazione verso l’Alto, […] possibilità di risveglio interiore» (p. 11). Ovviamente, ciò può accadere a quanti si pongano, come ricorda Valentini nello scritto introduttivo, lungo la via di una effettiva realizzazione. Per gli altri, al contrario, l’incontro del dolore ha tratto negativo: conduce o all’affidamento ad un dio inteso in termini fideistici, o ad un depotenziamento delle componenti animiche e vitali. Medico epidaurico o ermetico è colui che fa del dolore un solvente capace di illuminare la sua interiorità, affinché essa possa essere spesa a vantaggio dei sofferenti, nella messa in atto di un riequilibrio delle loro componenti psichiche e corporee. Ad essi il terapeuta si sente legato, non nei termini di un riduttivo e moralistico «amore del prossimo», ma per la simpatia universale che discende, come ben specifica nel proprio saggio il Catalano, dal Principio primo del cosmo.

    L’Amore simpatetico offre all’operatore la: «capacità alchimica di liquefare le componenti   saturnine che lo separano dal tesoro» (p.13), affinché possa: «arricchirsi della massima energia della fonte del principio-vita universale, fino a poterne disporre e nutrirsene e nutrire gli organismi che ne difettano» (p. 13). Questa esperienza è retaggio di una predisposizione naturale, atavica: essa ci pone innanzi, rileva Kremmerz, a ciò che l’ermetismo definisce il Solvente Universale, alla dissoluzione della corporeità. Ecco, allora, che la coscienza: «deve maturare un potere di centralità, di presenza» (p. 15). Esso si mostra sostanzialmente nella capacità di trasformare il veleno-dolore in farmaco riequilibratore. I terapeuti epidaurici, secondo Kremmerz, concedono: «agli infermi una forza interiore […] che il medico profano non può dare; noi possiamo dare alla vita indebolita     […] un principio vitale che tutti quanti noi […] possediamo» (p. 16). Anziché la trasfusione di sangue, di elementi materiali: «una trasfusione di fluido della vita animale e psichica» (p. 16).

Tali pratiche mediche sono afferenti alle potestates del dio greco Asclepio e della dea romana Minerva. Asclepio, affidato da Apollo a Chirone, dopo che il dio della Luce aveva ucciso sua madre, l’amatissima ma fedifraga Coronide, apprese dal Centauro i segreti dei medicamenti. Fu ucciso da Zeus, in quanto Ade aveva compreso che la sua azione terapeutica sovvertiva le leggi di natura. Dopo la morte, a lui fu attribuita la costellazione detta del Serpentario. Il suo bastone, il caduceo, simbolizza il suo intersecarsi con il potere di Hermes: «essendo il messaggero degli Dei principio cangiante che trasmuta la Forza […] che il Dio Guaritore attuerà e manifesterà come potere d’Amore e terapeutico» (p. 19). Tale potere di guarigione, in alchimia corrisponde alla «fissazione del volatile», che dona al malato la Salus. Nella verga di Asclepio, simbolo del suo ambito d’azione, compare la serpe retta, personificazione del potere terapeutico: essa si attua per ispirazione di Minerva, potenza dell’Intelletto. La salute ritrovata è armonia micro e macrocosmica, è riacquisizione, da parte del paziente, della dimensione del vigore e della forza, da intendersi in senso spirituale prima che fisico. Dell’Amore terapeutico può essere latore soltanto un Io che si sia realmente lasciato alle spalle la dimensione egotica, la brama e il desiderio e che abbia compreso le verità dell’Uno-Tutto. Per questo: «il fondamento di  tale pratica ermetica è la fraternità […] riscoperta della Forza Uranica che pervade il Tutto e su cui il Mago aristocraticamente domina» (p. 27).

Quel che, a chi scrive, interessa davvero della medicina ermetica, la quale ha avuto anche altre declinazioni oltre quella kremmerziana, è proprio il riferimento ad un Io attivo anche nella malattia, il cui iter è un cammino di autoliberazione dalla dimensione puramente biologica, cosale. Quest’ultima, per la maggior parte degli uomini del nostro tempo, risulta esclusiva ed invalicabile.  Hans Jonas, con la sua filosofia della biologia, ha mostrato, al contrario, che persino nell’atto del nutrirci, e nei successivi processi metabolici, incontriamo la Libertà. E’ nel suo regno che dobbiamo insediare le nostre vite.

Giovanni Sessa

4 Comments

  • lorenzo merlo 8 Febbraio 2021

    Chiedo A Giovanni Sessa e a Luca Valentini, che saluto:

    1. l’avvento della guarigione/miglioramento avviene sempre?
    Oppure è necessario che il paziente:
    2. accrediti, o abbia accreditato, la persona del terapeuta, lo ritenga portatore di un verbo a lui (il paziente) necessario;
    3. o la guarigione avviene indipendentemente da quel credito?
    4. per via che l’esperienza non è trasmissibile, in che termini, in quali circostanze il paziente, dall’intervento del mago in poi, può disporre delle consapevolezze necessarie a mantenre l’armonia che, prima perduta, lo aveva intossicato fino alla patologia?

    Grazie lm

    • Luca Valentini 10 Febbraio 2021

      Caro Lorenzo, ricambio il saluto e ti rispondo.

      La guarigione è legata non solo alla potestà magica del terapeutica, ma anche ad altri due fattori: l’apertura sottile dell’infermo che ha chiesto l’intervento (regola arcaica è quella secondo cui si aiuta solo chi chiede di essere soccorso) ed a quelle che vengono definite “malattie karmiche”, cioè quello che detrminano il trapasso, per cui ogni intervento risulta vano, perchè così le Parche hanno decretato. La consapevolezza è già in atto nel momento in cui si esplicita la richiesta di aiuto, perchè l’intervento è un supporto di un processo che si attua prinicipalmente nell’ammalato stesso, che ritrova il centro, indi la salute. Non sempre tutto si realizza, non sempre l’infermo comprende che l’esperienza patologica è, in realtà, un’esperienza catartica.

  • lorenzo merlo 11 Febbraio 2021

    Bene.

    C’è l’eventualità che il decreto delle Parche venga da loro stesse ritirato in caso di improvvisa santità dl soggetto destinato a malattia karmica? (Domanda idiota?)

    L’intervento guaritore trova il suo campo d’azione soltanto in chi dispone già delle consapevolezze utili per accreditare la realtà sottile e per sapere di essere il responsabile del proprio destino. C’è in indicatore fisico per ipotizzare o pensare fino a che degrado patologico l’azione guaritrice sottile possa compiersi, avere effetto terapeutico?
    Ovvero – in crescendo – un’egregora, un eczema, un’allergia, una malattia, una malattia autoimmune, un cancro hanno pari eventualità di risolversi?

    Grazie

    • Luca Valentini 11 Febbraio 2021

      La morte non è sempre una condanna, ma solo il passaggio verso l’Invisibile, quindi non è detto che la nostra dipartita sia necessariamente un segno di decadimento interiore, potrebbe essere il contrario: ogni uomo, ogni anima ha la sua storia, senza che vi siano regole predeterminate. La terapeutica presuppone non solo la guarigione ma anche il conforto dai mali e dai dolori, pertanto, dinanzi a “malattie karmiche” il terapeuta può adoperarsi affinchè il decorso possa realizzarsi senza dolore o eccessivo patimento. Il tutto è sempre sotto la classica legge del buon senso. P.S. E’ importante precisare, che in presenza di patologie, ci si rivolge ad un medico, non a guaritori improvvisati o ciarlatanti, questo lo specifica diverse volte Kremmerz nei suoi scritti.

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