L’esame dei diari dei protagonisti dell’avventura fascista tra il 1919 e il 1922 consente un approccio diverso ad uno dei più noti miti “in negativo” della recente storia italiana
Rispetto al diario di Piazzesi, il racconto di Adolfo Baiocchi, squadrista dell’Amiata, può apparire meno ricco di avventure, ma è forse più interessante per coloriture più squisitamente “politiche”.
Nel darci, per esempio, il resoconto di una riunione del suo piccolo fascio di paese, riunito per decidere l’ammissione di due nuovi richiedenti, così egli testimonia come venga fuori, anche in forme estreme e radicali, la natura “sociale” dello squadrismo:
“Ma il Brizzi – spiegò il segretario politico – è stato volontario di guerra, combattente tanto valoroso da conquistarsi, sul campo dell’onore, una medaglia al valor militare”
“Non importa – riprese cocciuto l’interpellante – è un ricco e non può stare nella nostra famiglia”
“Ma essere benestante non è un disonore” obiettò il segretario politico
“Tu lo difendi perché appartiene alla tua stessa classe” rispose il Piccinetti, ergendosi a pubblico accusatore
“Piccinetti, tieni la lingua a posto” disse seccato il segretario politico, cercando di non dare peso alle parole del compagno
……
“Tu non dovresti mai aprire bocca” soggiunse una voce
“Ah ! Io dovrei stare zitto? – riprese il Piccinetti invelenito – Iscrivete, iscrivete pure tutti i ricchi della zona, e voi vedrete che fascio avrete formato ! Provatevi poi a fare una proposta che intacchi i loro interessi, se sarete capaci. A questi lumi di luna, i ricchi entrerebbero tutti in mezzo a noi, a braccia aperte entrerebbero. Sapete perché? Per difendere i loro interessi, per farci andare contro i loro contadini, contro i loro sottoposti, per tapparci la bocca col danaro al momento opportuno… Ecco perché essi desiderano iscriversi ai fasci di combattimento
“Il Picinetti ha ragione – urlò Renato Ceccarelli, un calzolaio alto e forte come una quercia – I ricchi son come le mele fradice, guastano tutto. Del resto, se l’Italia è nelle condizioni attuali, se noi siamo costretti a sostenere questa battaglia, non è solo ai rossi che dobbiamo essere grati, ma anche ai proprietari, gretti, avari e paurosi”
……
“Noi fascisti – ribattè il Piccinetti – siamo antiborghesi, antisocialisti e antic
apitalisti, noi siamo contro tutti” (11)
apitalisti, noi siamo contro tutti” (11)
Nel libro di Baiocchi, l’ostilità verso i “padroni” è un tema ricorrente; addirittura destinata ad aumentare dopo la presa del potere, come testimonia il seguente dialogo tra il segretario politico del fascio e un piccolo industriale della zona, che viene a chiedere trattamenti di favore in nome di presunte benemerenze antemarcia:
“Sì, sì, voglio farle vedere quello che sono stato ! Non glielo avrei detto mai, ma, giacchè lei mi porta a questo punto, aspetti un momento”. E, cavato dalla tasca interna della giacca un grosso e gonfio portafoglio, con le dita agitate si mise a frugare nei vari scompartimenti, borbottando: “Dove sono andate? Queste? No, santo cielo, non le avrò mica perse? Ah, eccole, guardi, legga, sono due ricevute da mille lire ciascuna. Vede? Vede se ho aiutato lo squadrismo io?”
Il segretario, colpito dalla sfrontatezza dell’industriale che, con aria vittoriosa gli agitava sotto il viso le ricevute, quasi a sfida, provò la voglia pazza di saltargli al collo, ma si trattenne, e, dominatosi, disse con voce ferma:
“Vedo e comprendo. Il signore ha ragione. Ha sborsato i denari, e noi fascisti siamo stati pagati per l’opera prestata. Siamo pari. Cosa pretendiamo adesso? La partita è chiusa, anzi noi, in forza di queste ricevute, dovremmo aiutarlo a licenziare tutti i suoi operai. Ha ragione. Lei ha pagato. Sa, signore, cosa è lei? – disse il segretario guardandolo fisso negli occhi – Lei è un perfetto mascalzone. No, non faccia quel viso, non sono arrabbiato. Lei è in regola; il torto è della rivoluzione fascista che ha salvato uomini della sua risma, che avrebbero dovuto penzolare ai lampioni delle strade…il mio dovere sarebbe di trascinarla alla sede del fascio, per darle, davanti a tutti i camerati, la lezione che si merita…ma mi ripugna. Mi dia le ricevute. Guardi cosa ne faccio ! Le straccio in piccolissimi pezzi…ma se lei non ingoia questi pezzi, io la trascino in mezzo ai suoi operai, e là la svergogno…”
“Signor segretario, abbia pietà ! Abbia compassione! Io non credevo…”
“Mangi, mangi”
“Mi ascolti”
“Mangi, o venga con me”
L’uomo prese con le mani grassocce i piccoli pezzi, e li portò alla bocca per ingoiarli (12)
Del libro di Santi, che pure ci offre un interessante e per certi versi inedito spaccato dello squadrismo milanese, anch’esso non alieno da spirito di beffa e popolato da personaggi “caratteristici”, è, però, soprattutto da ripotare l’amaro sfogo delle pagine iniziali:
“Ho detto dianzi che lo squadrismo è stato un fenomeno estremamente complesso: bisogna aggiungere qualcosa in più. Bisogna dire, sia pur brevemente, in che cosa è consistito.
Non storcete la bocca e non esclamate annoiati: “Ma lo sappiamo”
No, non lo sapete…. E lasciatemi dire
Chi erano gli squadristi?
Una volta per sempre, è tempo che venga finalmente cancellato e distrutto il clichè stereotipato che perfidamente venne lasciato circolare per l’Italia, e poi per il mondo. Il quale presentava, descriveva lo squadrista come una specie di mercenario nerboruto e semi irresponsabile, violento per natura e inclinazione
Nulla di più falso, di più atrocemente falso e vile !
……
Immediatamente dopo la Marcia su Roma – a vittoria ottenuta – davanti ad ogni squadrista si prospettò il problema aggrovigliato, quasi tragico, della propria esistenza
Problema trascurato, dimenticato durante la fiammata di passione, ma pur sempre, ed in quel momento soprattutto, impellente
Difatti, lo squadrista non era che un cittadino. Studente, commerciante, operaio, professionista o contadino, per ben tre anni si era trovato forzatamente costretto a trascurare le sue attività più necessarie ed indispensabili
……
Che fece il fascismo per costoro? Nulla !
Cioè, offerse loro un moschetto (l’A allude alla fondazione della Milizia) e l’onore di sfilare gomito a gomito con legioni di individui che, una volta deposta la divisa, erano certi di ritrovare una casa, un focolare, un’esistenza tranquilla, che gli anni precedenti non avevano potuto turbare
Troppo poco per gente la quale, invece, per quattro anni aveva maneggiato armi e si era avvezza a sfilare sì, ma sotto il fuoco dell’avversario!
Troppo poco… ma fu tutto
Cioè no. Commise anche un’ingratitudine. Li sconfessò
Dimenticando che essi erano i combattenti suoi più fedeli, ne sconfessò il passato, non avvedendosi che con questo rinnegava la parte più bella, più fulgida e più pura della sua vicenda rivoluzionaria
Agli occhi dei più, lo squadrismo apparve allora come uno spauracchio da seppellirsi nell’oblio; come una parentesi torbida da far dimenticare (13)
Sembra incredibile che un simile impietoso atto di accusa, scritto nel 1930, contro i compromessi del Regime ormai “normalizzato” potesse tranquillamente sfidare un’occhiuta censura… a meno di pensare che essa tale non fosse
La delusione di Santi e di molti altri che, come lui, erano stati protagonisti della “primavera di bellezza” del movimento, non impedì – dopo il periodo di lungo silenzio e di emarginazione – la partecipazione all’epilogo repubblicano; in qualche caso, l’amarezza per il “tradimento” subito portò a scelte diverse, anche radicali.
Fra tutti, un caso resta emblematico: quello di Gino De Scalzi, prima attivo comandante squadrista e organizzatore del fascio di Stradella, poi “fascista dissidente” e, infine, capo partigiano “autonomo” della sua zona.
Alla sua morte, nel 1966, ai quattro lati del feretro, per esplicita volontà del defunto, c’erano quattro “suoi” uomini: due ex squadristi e due ex partigiani, in una visibile ricongiunzione della storia d’Italia, così come vissuta da molti, senza soluzioni di continuità, forse con qualche personale errore nelle scelte, certamente in una ideale fedeltà a valori ereditati dalla tradizione risorgimentale, e vissuti nel confronto con la mutevole e “difficile” realtà italiana della prima metà del secolo scorso.
(fine)
NOTE
(1) Adolfo Baiocchi, “Camions” Milano 1932, pag 42
(2) Adolfo Baiocchi, op cit, pag 83
(3) Emilio Santi, “Bagliori”, Milano 1930, pag 25 e segg