24 Giugno 2024
Ambiente

La mia Amazzonia – Piero Rivoira

Così doveva apparire la Pianura Padana quando, nel 568, re Alboino guidò i suoi Longobardi alla conquista dell’Italia. «La selva è il luogo prediletto dei liberi, uomini e bestie, di coloro che non hanno qualcuno sopra di loro. Di banditi, di reietti, di fuorilegge, di eremiti. Di orsi, lupi, cervi, cinghiali. Inselvatichirsi significa tornare libero» scrive Franco Perco, in FORESTE «DISUMANE» PER CERVIDI (1).

 

«Fratelli miei, audaci Winnili, e anche voi, valorosi Eruli: i vostri padri conobbero l’amarezza della sconfitta pur essendosi battuti con onore contro il popolo dei Winnili e ora, dimenticando l’antica inimicizia fra le nostre genti, vi siete uniti ai nemici di un tempo. Molte generazioni fa la nostra gente, guidata da Ibor e Aio, due guerrieri giovani ma che, con il loro valore, si erano meritati sul campo il rango di capi, abbandonò l’antica terra degli Avi, l’isola chiamata Scania, che più non riusciva a nutrire tutti i suoi figli diventati numerosi come le stelle del cielo. I nostri guerrieri non ebbero timore di scontrarsi con i Vandali nella terra di Scoringa, e Frea donò loro la vittoria. Non li fermarono le paludi e gli acquitrini della Mauringa, la terra degli Assipitti, né li sottomise Tiberio quando, spinto dall’avidità e dall’ambizione, invase Golanda, la loro nuova patria, scacciandoli oltre l’Elba. Ma i figli dei loro figli videro in Arminio un nuovo condottiero, quando, dal Reno all’Elba, le donne cantarono le imprese del cherusco. Egli conosceva i Romani, avendo offerto loro la sua spada, e sapeva che essi non sono invincibili: non combattono per la libertà del loro popolo, ma per soggiogarne altri, spinti non dall’onore che si guadagna dimostrando il proprio coraggio sul campo di battaglia, ma da una dura disciplina e dalla voglia di impadronirsi di ciò che loro non appartiene. Nè riuscirono gli Unni a privare della libertà il nostro popolo, quando Laiamicho vendicò il nostro re, Agilmondo. Dopo aver attraversato la terra dei Rugi, i nostri antenati si rassegnarono forse a pagare tributi agli Eruli? No, li affrontarono in battaglia, uccidendo il loro re Rodolfo. Né sono trascorsi molti inverni da quando il prode Audoino schiacciò i Gepidi e Wotan concesse a me, suo figlio, di conficcare in un palo davanti alla mia tenda la testa di Torrismondo, il figlio del loro re e di infliggere la stessa sorte a Cunimondo. E ora ditemi, fratelli miei: per quanto tempo ancora permetterete che i Romani si crogiolino al sole dell’Italia sorseggiando il dolce succo della vite, mentre voi vi spezzate la schiena per sfamare i vostri figli con dure focacce di segale e d’orzo, passando il lungo inverno in una capanna umida in queste terre di nebbie e di gelo? O lascerete l’Italia ai Franchi? Non importa che voi siate Winnili, Gepidi, Eruli, Unni, Sarmati, Svevi, Sassoni o Romani: ora siamo un unico, grande popolo ed io vi chiedo di seguire il vostro re nella nuova patria che ci attende, l’Italia. Chi di voi è pronto a seguir…»

 

In quel lontano giorno di Pasqua Alboino non riuscì a finire di parlare; come il rombo di un tuono, si levò al cielo il grido di guerra dei suoi soldati, che non lasciava adito a dubbi circa le loro intenzioni: lo avrebbero seguito anche all’inferno. (2)

Quando i Longobardi e i loro alleati, percorrendo le antiche strade militari romane della Pannonia (la provincia romana compresa tra i fiumi Danubio e Sava), varcarono l’Isonzo, il paesaggio che li accolse era un immenso incolto, in cui la proprietà privata degli Italici si era ormai drasticamente ridotta dopo secoli di incuria e di abbandono. La pianura, infatti, aveva cessato da tempo di essere un luogo sicuro in cui vivere: percorsa da eserciti che saccheggiavano le città e devastavano le campagne e soggetta ad inondazioni, dal momento che le opere di regimazione delle acque fluviali non erano più sottoposte a manutenzione e ripristino, si era progressivamente impaludata, e ciò favoriva la diffusione della malaria; la crisi demografica del tardo Impero Romano aveva fatto il resto.

Tuttavia non si deve pensare che la Pianura Padana fosse una monotona distesa di piante, tutt’altro: era, almeno per ampi tratti, la selva primigenia (Urwald), dove gli alberi morivano soltanto per effetto della vecchiaia o delle malattie ed i loro tronchi colossali, ancor prima di venire schiantati al suolo dalla forza del vento, erano l’habitat di una miriade di creature.

Dove si apriva una radura la luce iniziava nuovamente a penetrare, permettendo lo sviluppo di arbusti ed alberi eliofili: ontani, sorbi, betulle, salici, noccioli, biancospini, pioppi, rose canine e lamponi. I germogli e gli amenti di queste piante venivano consumati in inverno dal francolino di monte, un galliforme che oggigiorno sopravvive, in Italia, soltanto più in alcune foreste alpine.

Fiumi e torrenti che attraversavano la pianura la inondavano spesso essendo liberi di cambiare, anno dopo anno, il proprio alveo, lasciando dietro di sé, dopo che le acque si erano ritirate, un labirinto di stagni e laghetti, ricchi di pesci e di altri animali, come i sempre più rari gamberi di fiume e i tritoni, anfibi urodeli (provvisti di coda anche allo stadio adulto) che trascorrono tutta la loro vita immersi in acqua.

Po a Saluzzo

Ancora oggi, a Nord di Saluzzo (CN), alcuni tratti del Po sono abbastanza integri: non essendo costretto a scorrere fra argini artificiali, il fiume, costeggiato da una vegetazione ripariale lussurreggiante, modifica il proprio corso secondo una dinamica quasi naturale.

Fontanile Vigone

 

Cantogno

 

Palude Cardè

 

 

Dalle risorgive, presenti un po’ ovunque nell’alta pianura piemontese, scaturiscono acque fredde e limpide che alimentano corsi d’acqua perenne, come il pittoresco Rio Cantogno a Villafranca P.te, o che si raccolgono in piccole paludi.

Un tempo, in questi ambienti, gli ormai rari aironi rossi potevano scegliere le proprie prede fra decine di specie di piccoli pesci d’acqua dolce, molte delle quali sono ora sull’orlo dell’estinzione (3).

Le eleganti cicogne nere che Federico II disegnò nel suo trattato sull’uccellagione De arte venandi cum avibus, una delle opere scientifiche più significative del Medioevo, documentandone, indirettamente, la presenza in Italia meridionale, dove l’imperatore visse per lunghi anni a partire dal 1220 dedicandosi al governo del Regno di Sicilia, e di cui per secoli non si ebbero più notizie di nidificazione nel nostro paese, raggiungevano questi ambienti per andare a caccia di piccoli pesci dopo la lunga migrazione dai quartieri di svernamento africani.

Dopo secoli di assenza, la cicogna nera è recentemente tornata a nidificare in Piemonte (4) in una vasta area collinare dal clima fresco e piovoso, ricoperta da una lussurreggiante selva di latifoglie (Parco Naturale del Monte Fenera, NO).

I castori, costruendo le loro dighe, contribuivano a modificare continuamente la morfologia degli alvei; dopo secoli di assenza, questo simpatico roditore sta ricolonizzando le foreste del Friuli (5).

Sempre più di rado i fiumi principali formano ampie anse alcune delle quali, abbandonate dalla corrente, si trasformano in lanche, ambienti umidi ricchi di vita dove il luccio (6) tende i propri agguati alle prede di cui si nutre (soprattutto pesci della famiglia Ciprinidi, che comprende barbi, cavedani, vaironi e tinche), rimanendo immobile e ben nascosto fra la vegetazione acquatica.

Una lanca del Po

 

Semisepolto nel fondale melmoso del Po (e degli altri grandi fiumi europei), il bivalve Margaritifera auricularia (7), grande come il palmo di una mano, poteva vivere anche un secolo.

Laghi e fiumi della Valle Padana erano il palcoscenico di uno degli spettacoli più belli della Natura: le parate nuziali dello svasso maggiore (8) che, in Piemonte, sta recentemente ricolonizzando le zone umide a canneto al margine dei laghi.

Dopo aver sopraffatto la debole resistenza delle truppe bizantine, i vari gruppi tribali germanici recentemente insediatisi in Italia settentrionale si impossessarono di questo spazio «naturale», confiscarono le proprietà fondiarie dei membri del clero e dei nobili romani ed iniziarono a sfruttarne le risorse in modo comunitario, in un primo tempo soprattutto attraverso la caccia, la pesca e la raccolta di erbe selvatiche e frutti di bosco, oltre che con l’allevamento semi-brado di suini e bovini.

In Europa, infatti, fino al VII-VIII secolo, chiunque aveva il diritto di catturare e uccidere qualsiasi animale, con qualunque metodo, in ogni periodo dell’anno («Recht des freien Tierfangs», diritto di cacciare liberamente).

«Res nullius», cose di nessuno, erano gli animali selvatici, prima che qualcuno li catturasse o li uccidesse. E così è stato, almeno in Italia, ancora in tempi recentissimi, prima che la legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio – 9), modificasse lo stato giuridico della fauna, dichiarandola «patrimonio indisponibile dello Stato».

Da quando, molto tempo prima, avevano lasciato i loro villaggi lungo il fiume Elba, i Longobardi smisero di praticare l’agricoltura per dedicarsi all’arte della guerra, al saccheggio ed alla conquista al seguito del leader carismatico di turno, o arruolandosi come mercenari nei reparti delle truppe ausiliarie al servizio di Roma, attirati dalle possibilità offerte dalla carriera militare nell’esercito imperiale. Tutto ciò ebbe importanti conseguenze anche sul piano culturale e religioso: i conquistatori scandinavi abbandonarono gli antichi culti della fertilità per diventare adoratori di Wotan, il dio degli eserciti e della guerra. I lavori agricoli furono, allora, delegati agli schiavi o a uomini semi-liberi, appartenenti a gruppi etnici sottomessi essendo stati sconfitti in battaglia, come dimostra il ritrovamento, nei siti archeologici, di tombe prive di armi, ben diverse da quelle dei cavalieri sepolti nella Necropoli di Collegno (10), scoperta nel 2002 all’avvio dei lavori per la costruzione della metropolitana torinese. Qui croci d’oro cucite sui veli funebri e cinture per la sospensione delle armi con guarnizioni in ferro decorate a incastro di filamenti metallici impreziosiscono i corredi funerari degli uomini di più alto rango. Che fossero guerrieri lo dimostrano gli scudi ammaccati e le teste spaccate dai colpi di spada, segno di un’intensa attività bellica, che sarebbe diminuita nei secoli successivi, quando all’accampamento militare originario si sostituì un villaggio rurale. I guerrieri sarebbero diventati contadini ed alle ferite inferte dalle armi da taglio sarebbero subentrate le carenze nutrizionali di una dieta sempre più basata sul consumo di cereali nonché l’artrosi, conseguente all’usura determinata dal duro lavoro, che lasciò segni evidenti sui resti scheletrici risalenti al IX-XI secolo.

Per secoli la gente che viveva lungo il Po si dedicò regolarmente alla caccia ed alla pesca, oltre a bere l’acqua del fiume.

Un esemplare di trota marmorata (fonte: wikipedia)

Si pescavano le trote marmorate, le anguille, le nacie (ghiozzi), i lampré (lamprede), i temoli, i lucci e gli storioni. Questi ultimi hanno recentemente ripreso a migrare lungo il corso del Po per riprodursi nel Ticino grazie alla realizzazione di una sorta di scala, che consente loro di superare la diga della centrale idroelettrica di Isola Serafini nel Piacentino (11, 12); tale progetto di ripristino della connettività fluviale è stato coordinato dal Dr. Franco Mari, un appassionato e competente biologo faunista che ho avuto il piacere di conoscere.

La tecnica di pesca più primitiva, come sperimentai in una calda giornata estiva di tanti anni fa durante una pesca comunitaria (assolutamente illegale), richiede soltanto l’uso delle mani, la cui resistenza al freddo viene messa a dura prova dovendo queste essere tenute immerse in acqua per decine di minuti, immobili ma pronte a richiudersi sulla trota che incautamente le sfiorasse.

C’è qualcosa di atavicamente affascinante nel procurasi il pranzo da soli, in Natura, senza ricorrere ad alcun aiuto tecnologico, forse perché non lo si deve scambiare con del denaro. Per un giorno sono uscito dal Sistema Industrial-capitalistico, e mi sono sentito libero. Anzi, per la prima volta ho capito che cosa sia la libertà, entrando a far parte di un altro sistema, quello della Natura, che è anche il titolo della mirabile opera di Linneo (Systema Naturae). Ero un cacciatore indigeno, e i boschi lungo il fiume, e il fiume stesso, erano la mia Amazzonia: un mondo primordiale, tutt’altro che «selvaggio» ma accogliente, in cui sentirsi, finalmente, a casa. Cambiando prospettiva, per adottare una nuova filosofia di vita che è, in realtà, antichissima: l’unica cosa che conti è la sacralità della vita, tua e di tutte le creature che ti circondano, anche se avrai dovuto ucciderne alcune, chiedendo loro di donarsi a te, affinchè tu possa sopravvivere.

«Secondo la morale siberiana, la caccia è un processo depurativo che aiuta una persona a tornare al livello in cui si trovava l’uomo quando Dio lo ha creato. I siberiani non cacciano mai per piacere, solamente per sfamarsi, e soltanto quando vanno nel bosco profondo, nella loro patria, in Taiga», scrive Nicolai Lilin in Educazione siberiana (13).

Quella esperienza mi ha indotto a dubitare che la vita umana sia, necessariamente, un treno in corsa su binari già tracciati, fatto di obblighi verso lo Stato, di doveri a cui adempiere, di compiti da assolvere e di obiettivi da raggiungere, anche se l’indottrinamento a cui siamo sottoposti fin da piccoli attraverso la famiglia, la scuola ed i mezzi di (dis)informazione ci induce a credere che le cose stiano davvero così. Ogni uomo nasce libero, e le uniche leggi a cui dovrebbe sottostare sono quelle di Madre Natura, «la realtà che noi non abbiamo creato ma che abbiamo trovato, che non dipende da noi» dice Marcello Veneziani (14).

L’uomo moderno, grazie al progresso scientifico e tecnologico, si è già sottratto alla dura legge della sopravvivenza del più forte, alla selezione naturale ed ora la teoria dell’identità di genere come costrutto sociale ed il transumanesimo vorrebbero recidere l’ultimo esile filo che ancora ci lega alla nostra natura umana: l’essere maschio o femmina, le imperfezioni, i difetti, tutto ciò che ci rende unici, fino a sconfiggere anche la morte attraverso l’integrazione uomo-macchina.

Nel frattempo, milioni di persone in tutto il mondo si mettono diligentemente in fila per ricevere la propria dose del rimedio salvifico che restituirà loro la libertà perduta, senza rendersi conto che il Sistema li sta ancora una volta ingannando e corrompendo: non diversamente dal Dottor Faust che, spinto dalla brama di conoscere, vendette la propria anima al diavolo, noi vendiamo il nostro corpo a Big Pharma, facendoci iniettare, con una leggerezza sconcertante, un acido nucleico virale che stimola le cellule endoteliali dei vasi sanguigni a sintetizzare miliardi di copie di quella stessa proteina spike che, stando ai risultati delle ricerche più recenti, non solo è la vera responsabile della malattia covid-19 ma i cui effetti a lungo termine sull’organismo umano sono totalmente ignoti (15).

«Vorrei essere libero come un uomo
Come un uomo che ha bisogno di spaziare con la propria fantasia
E che trova questo spazio
Solamente nella sua democrazia

Che ha il diritto di votare
E che passa la sua vita a delegare
E nel farsi comandare
Ha trovato la sua nuova libertà»,

cantava Giorgio Gaber (16).

 

La libertà è contribuire, attraverso il proprio impegno nello studio o nel lavoro, al «progresso» dell’umanità, si insegna a scuola. Quale progresso abbiamo fatto, sul piano spirituale e dell’empatia, dal Paleolitico Superiore ad oggi? Siamo forse diventati più compassionevoli, generosi o solidali nei confronti dei nostri simili?

Ogni cosa ha un prezzo: il generale miglioramento delle condizioni materiali di vita e il beneficio derivante dall’esserci liberati dei lavori più faticosi ed usuranti hanno avuto, come contropartita, la perdita della libertà ed una crescente dipendenza dalla tecnologia, a vantaggio delle classi dominanti che hanno progressivamente espropriato dei beni comuni tutto il resto della popolazione.

La libertà è costruirsi una capanna di tronchi e vivere di ciò che la Natura ti offre: per Sylvain Tesson, autore del racconto Nelle foreste siberiane (17), la taiga, cristallizzata nel gelo dell’inverno, è il luogo dei sogni, il paradiso in cui vagabondare sui monti e nei boschi, immergersi nella lettura, bere vodka, temprarsi spaccando legna e spalando neve, per viaggiare dentro sé stesso alla scoperta del proprio mondo interiore. Nella minuscola capanna in cui Sylvain si rifugia a poche centinaia di metri dalla sponda del lago Bajkal, un gigantesco zaffiro che da 25 milioni di anni giace incastonato tra montagne alte 2000 metri nel verde smeraldo della foresta, il tempo scorre lentamente, fin quasi a fermarsi.

È prendersi cura delle altre creature, umane e non, è custodire la bellezza e l’armonia, nonostante la sua tragica mancanza di pietà, del mondo naturale. Il pianeta Terra non sarà perfetto ma è meraviglioso nella sua imperfezione: la sua bellezza supera quella di qualsiasi opera dell’uomo, la sua varietà, complessità, ricchezza di strutture surclassano la fantasia degli artisti più creativi. Tutto ciò dovrebbe indurre il saggio alla contemplazione piuttosto che all’azione, alla passività piuttosto che all’attività, alla conservazione piuttosto che al cambiamento.

A partire dalla Rivoluzione Industriale e dalla conseguente urbanizzazione di miliardi di esseri umani in tutto il mondo, la maggior parte delle persone, avendo perso qualsiasi contatto con la Natura, trascura il fatto che è dalla Madre Terra, dal suolo che il cibo proviene. Nei paesi industrializzati quasi tutti ormai considerano sé stessi «cittadini», dal momento che di fatto sono abitanti delle città, e delegano la produzione alimentare ad un’esigua minoranza di professionisti che svolgono un lavoro sconosciuto ai più: l’essenziale è che il settore primario provveda a rifornire gli scaffali dei supermercati. Da dove provengano quei prodotti preconfezionati e quale ruolo svolga la Natura per ottenerli rimane un mistero per molti di noi.

Di conseguenza, non solo abbiamo smesso da tempo di considerare «casa» l’ambiente naturale ma quest’ultimo ci è diventato sempre più estraneo, quasi come se non ne facessimo più parte. Paradossalmente, l’ideologia ecologista ha accentuato tale frattura, estromettendo l’uomo dalle ultime aree naturali che, anzi, devono tristemente essere «protette» dall’invadente e distruttrice presenza antropica, soprattutto dell’uomo comune, barbaro ed ignorante. Ma non di quella dello scienziato, universitario o consulente esterno, che studia gli animali selvatici adducendo come pretesto il fatto che per proteggerli meglio sia necessario conoscerne esigenze ed abitudini. E, così, si cattura un lupo con un laccio da piede non molto diverso da quelli usati dai bracconieri per i cinghiali, senza curarsi troppo del terribile stress causato all’animale, del tutto inconsapevole di cosa gli stia succedendo, tanto che, in quei terribili minuti che precedono l’arrivo dei ricercatori con le loro cerbottane di narcotico, potrebbe addirittura amputarsi l’arto a morsi pur di essere nuovamente libero (18). Per raccogliere dati su territorio e spostamenti, utili solo alla carriera del ricercatore e non certo agli animali, che hanno un’unica esigenza: essere lasciati in pace. Tutto ciò muove milioni di euro dei contribuenti italiani ed europei, tanto che alcuni Enti Parco sono ormai diventati veri e propri comitati d’affari (19).

Nel frattempo, le popolazioni di moltissime specie selvatiche si sono talmente ridotte di consistenza ed impoverite in termini di variabilità genetica da indurre il legislatore a vietarne l’uccisione a scopo venatorio o a regolamentarla in modo estremamente rigido. Costringiamo queste creature a sopravvivere in piccole isole di territorio protetto (20), dalle quali lupi (21), caprioli (22) e cinghiali (23) ostinatamente evadono, invadendo il «nostro» spazio antropizzato ed urbanizzato.

Attrezzati con gli ultimi ritrovati dell’abbigliamento tecnico e dell’equipaggiamento da montagna, oltre che con gli immancabili gadget tecnologici, godiamo dell’avvistamento di un’aquila o di un camoscio e ci vantiamo di essere ambientalisti e, dunque, moralmente superiori agli odiati cacciatori. Per poi ritornare, dopo qualche giorno, alla nostra vita di sempre, alle nostre abitazioni, comode e debitamente riscaldate, al nostro ufficio o fabbrica da raggiungere con mezzi energivori ed inquinanti e in cui lavorare con dispositivi meccanici od elettronici non meno avidi di energia, pienamente integrati nella tecnosfera di Dmitry Orlov (24).

 

Sognando una vacanza in un angolo remoto del pianeta in cui evadere per due settimane da quel mondo artificiale e disumano che ci siamo costruiti.

 

«Vacanza» deriva dal latino vacare, «essere liberi».

∼∼∼

Nota dell’Autore

Pubblicato il 7 dicembre 2021 su sfero (https://sfero.me/article/amazzonia)

Aggiornato il 14 luglio 2022

 

FONTI:

 

1) https://web.archive.org/web/20190429032253id_/http://ojs.aisf.it/index.php/ifm/article/download/107/96

2) Jörg Jarnut, Storia dei Longobardi. Piccola Biblioteca Einaudi, Giulio Einaudi editore, Torino 1995.

3) https://www.minambiente.it/biblioteca/condannati-allestinzione

4) https://www.researchgate.net/publication/319018587_Storia_evoluzione_e_status_della_Cicogna_nera_Ciconia_nigra_in_Italia

5) https://oggiscienza.it/2018/12/01/castoro-tornato-italia/

6) https://www.youtube.com/watch?v=_AZXGWWAR3g

7) http://www.animalbase.uni-goettingen.de/zooweb/servlet/AnimalBase/home/species?id=3016

8) https://www.researchgate.net/publication/288993671_Uccelli_nidificanti_in_Piemonte_e_Valle_d%27Aosta_Aggiornamento_della_distribuzione_di_120_specie

9) https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1992/02/25/092G0211/sg

10) https://www.museotorino.it/view/s/73865b7f6f10413fa213ec44838e3f2f

11) https://www.ilsecoloxix.it/animal-house/2018/10/11/news/cosi-la-scala-per-pesci-supera-la-maxi-diga-dopo-55-anni-cefali-e-storioni-risalgono-il-po-1.30570622

12) http://www.life-conflupo.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=1&Itemid=186&lang=it

13) https://www.einaudi.it/catalogo-libri/narrativa-italiana/narrativa-italiana-contemporanea/educazione-siberiana-nicolai-lilin-9788806195526/

14) http://www.marcelloveneziani.com/articoli/la-guerra-mondiale-contro-la-natura/

15) https://ijvtpr.com/index.php/IJVTPR/article/view/23/49

16) https://www.youtube.com/watch?v=j3vowbyQBiQ

17) https://sellerio.it/it/catalogo/Foreste-Siberiane/Tesson/5303

18) https://www.jstor.org/stable/3801811?seq=1

19) http://www.ruralpini.it/file/Alpi%20Marittime%20%281%29.pdf

20) http://visregpga.territorio.csi.it/visregpga/?printEnabled=true&ricercaTopoEnabled=true&lang=it&topic=AREE%20NATURALI&bgLayer=0&layers=Aree_Protette_e_siti_della_rete_ecologica20161028165545254,ZSC_SIC___Zone_Speciali_di_Conservazione___Siti_di_Importanza_Comunitaria_20190215104131611,ZPS___Zone_di_Protezione_Speciale20161028165614454

21) http://www.piemonteparchi.it/cms/index.php/natura/item/3909-dalla-montagna-alla-pianura-ecco-la-nuova-frontiera-del-lupo

22) https://agricoltura.regione.emilia-romagna.it/caccia/temi/ungulati/documenti-ungulati/caprioli-in-pianura

23) http://www.piemonteparchi.it/cm

s/index.php/natura/item/3239-l-era-del-cinghiale-bruno

24) https://catalog.slcpl.org/search/title.aspx?&pos=1&cn=630920

Immagini allegate dell’Autore pubblicate su Wikipedia

 

Piero RIVOIRA

Laurea in Medicina Veterinaria

Zertifikat Deutsch als Fremdsprache (certificato di tedesco come lingua straniera), conseguito presso il Goethe-Institut di Torino

 

  • 1990-1999: attivista volontario presso WWF Italia
  • 1998-1999: borsista presso il Parco Naturale del Marguareis (https://www.parcomarguareis.it/)
  • dal 2001: docente di Produzioni Animali presso il Ministero dell’Istruzione
  • 2009-2010: docente di Microbiologia ed Elementi di Igiene Applicata nel Corso IFTS n. C 39-100-2008-0 «Tecnico superiore per la produzione, lavorazione e promozione dei prodotti agroalimentari» organizzato dal Centro Italiano Opere Femminili Salesiane – Formazione Professionale
  • 2019-2020: collaborazione con il sito di informazione alternativa https://comedonchisciotte.org/

 

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