Certamente il 2016 non sarà annoverato tra le annate memorabili per le fortune della Banca d’Italia, se si pensa che dall’inizio dell’autunno scorso il governatore, Ignazio Visco, s’è ritrovato indagato, insieme a sette amministratori e vigilanti della Popolare di Spoleto, dalla Procura di quella città per reati pesantissimi, che vanno dalla “corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio” alla “truffa”, dal così detto “abuso d’ufficio” alla “infedeltà a seguito di dazione o promessa di utilità”.
Del resto i risultati conseguiti da Palazzo Koch, anche nell’espletamento delle poche spettanze rimaste a suo carico, non sono stati davvero esaltanti e, con riferimento alla vicenda del dissesto delle tre banche di provincia, che fino a pochi anni fa andavano a gonfie vele – Banca Etruria, Banca Marche e Cassa di risparmio di Chieti –, addirittura tali da gettare un’ombra sulla capacità di controllo e analisi della Vigilanza di via Nazionale.
Tutto questo, nel momento in cui le principali competenze in materia economica e monetaria sono state trasferite in Europa, ha appesantito l’atmosfera nel nostro ex Istituto di emissione, trovatosi a dover fronteggiare una deprimente e rischiosa carenza di compiti istituzionali, poiché com’è noto “l’ozio è il padre dei vizi”.
Fortunatamente, in un panorama di desolante e forzato appiattimento, è intervenuto il governo, con una delle sue lungimiranti iniziative legislative, a riscuotere la Banca dal suo rassegnato torpore e a fornirle l’opportunità di implementare le sue sussiegose analisi, i suoi studi seriosi e i suoi bollettini, divenuti sempre meno centrali nella vita del Paese, con nuove progettualità operative.
La normativa cardine di questa rinnovata motivazione istituzionale è stata la legge Cirinnà e, come abbiamo scritto a suo tempo in un precedente articolo, “Quando questioni fondamentali, che riguardano i “diritti” civili, premono alla coscienza delle nostre istituzioni, anche i paludati banchieri e i tecnici e i professori che albergano nella Banca Centrale diventano solerti esecutori dei provvedimenti adottati dal Parlamento della Repubblica. Ecco allora che il vertice dell’Istituto si mobilita e annuncia felicemente che tutto è pronto per dare un seguito immediato in termini di pari opportunità e di riconoscimento a tutte quelle situazioni che possano emergere e manifestarsi nell’Ente in sintonia con le nuove realtà che hanno ottenuto la loro legittimazione sociale, politica e giuridica.”.
Finalmente oggi, a distanza di circa sei mesi, si può constatare che quell’impegno assunto da Palazzo Koch s’è tradotto in qualcosa di più di un semplice annuncio.
Il 12 e il 15 dicembre dello scorso anno, infatti, si sono svolti due seminari (sic!) finalizzati a informare il personale dell’area romana “sui contenuti affrontati … le analisi svolte, le azioni e i progetti messi in campo” da un apposito “gruppo di lavoro LGBT” costituito a via Nazionale per affrontare e risolvere le problematiche riguardanti “la valorizzazione della diversità” presenti all’interno della Banca.
Tematiche di grande spessore, come si vede, cha hanno arrovellato i migliori cervelli dell’Istituto e che hanno reso indispensabile la sua adesione a Parks – Liberi e uguali, un’associazione “che ha tra i suoi soci esclusivamente datori di lavoro creata per aiutare le aziende socie a comprendere e realizzare al massimo le potenzialità di business legate allo sviluppo di strategie e buone pratiche rispettose della diversità.”.
La tragica comicità della vita ha così imposto a un “top management”, composto da solenni funzionari formatisi alla Bocconi o alla Luiss, con preparazione universitaria a livello di laurea magistrale e un punteggio di almeno 105/110, spesso forniti di un’esperienza professionale o un titolo di studio post lauream (PHD, Dottorato e, in alcuni casi, Master), di confrontarsi con tematiche quali: “Il diversity management: da obiettivo strategico a parametro di gestione” ovvero “Le diversità affettive” oppure “Le diversità nella policy di gestione del personale”.
Anzi, per infierire maggiormente, il “gruppo di lavoro” LGBT ha distribuito una serie di opuscoli per orientare i dipendenti di Bankitalia “verso comportamenti corretti, utili, non discriminatori e inclusivi nei confronti delle diversità”, minacciando espressamente che a quella iniziativa “ne seguiranno altre di tipo formativo e informativo per orientare i gestori di risorse e tutto il personale verso la comprensione e l’inclusione”.
Per il momento, sulla materia, sono stati dati alle stampe solo due opuscoli da inserirsi però in una più vasta collana, intitolata “Non così …”, che dovrebbe affrontare, seppure con un taglio sorridente, le spinose (?) tematiche delle diversità in Banca e fornire a dipendenti e dirigenti dei suggerimenti utili a far emergere e valorizzare tali diversità. Il tutto nell’ambito di un ambizioso progetto triennale e con l’assegnazione dello specifico incarico a un Funzionario Generale dell’Istituto.
La carta patinata, la grafica e la stampa accurate, il logo BdI-Eurosistema che spicca sulle copertine nonché il rigoroso elenco dei dipendenti che hanno collaborato – pare di capire per vocazione – alla predisposizione e alla realizzazione dei volumetti, conferiscono alla collana una, seppur sobria, pretenziosità, in perfetto stile Bankitalia.
In realtà, sfogliando il secondo opuscolo, le scempiaggini proposte come indici di “pregiudizi” di genere o come esplicitazione del proprio “orientamento affettivo” sono tante e tali da mostrare la estrema pochezza degli argomenti a sostegno dell’intera operazione che, più che informativa e/o didattica, appare puramente propagandistica.
L’assoluta banalità dei contenuti proposti, piuttosto che combattere i pregiudizi, alimenta il sospetto che quella messa in piedi a via Nazionale sia un’iniziativa tanto inutile e dispendiosa quanto puramente politico-ideologica.
“Non si può lavorare bene e motivati nascondendo il proprio io 5gg a settimana” affermano i sostenitori della commedia, ma nelle loro intenzioni si passa dalla dissimulazione alla ostentazione della propria diversità che, a quel punto, assume un ruolo centrale – che non ha mai avuto – nella vita lavorativa di un dipendente della Banca e che, peraltro, se sottaciuta fino a oggi, non ha potuto neppure essere motivo di alcuna discriminazione.
In una citazione riportata nel sito dell’associazione Parks – Liberi e uguali, si legge che “Le aziende in cui si gestisce in maniera più efficiente ed efficace il tema della diversity e dell’inclusione sono le stesse che hanno migliori performance economiche.” e che “Un’azienda che decide di lavorare su questi temi, investendo tempo e risorse, ha la grande opportunità di porsi davanti ai propri concorrenti sia in termini di reputazione che di motivazione dei propri collaboratori.”
In sostanza, sotto la copertura di motivazioni aziendali – peraltro non confacenti con la “mission” di una Banca Centrale – si tende ad imporre una visione di “normalità” del fenomeno LGBT che, se per un verso non dev’essere oggetto di discriminazione, non può neppure essere disinvoltamente spacciato per un’armonica variante dell’orientamento eterosessuale. Invece, scorrendo la pubblicazione, si ha la sgradevole impressione che non si sollecitino tanto comportamenti virtuosi nella pratica, quanto piuttosto si tenda a inibire e colpevolizzare reazioni individuali, istintive e personalissime che possano ingenerarsi davanti al manifestarsi del fenomeno trattato. Mentre ciascuno dev’essere libero di essere se stesso, ma ciascun altro dev’essere altrettanto libero di apprezzarlo o meno.
Allo stesso modo, le insinuanti e miserevoli “promozioni” contenute nell’opuscolo, ad esempio nei confronti del gay Pride o delle “famiglie” LGBT, richiamano il subdolo indottrinamento – quello si veramente lurido e pericoloso – che viene operato negli asili e nelle scuole con la diffusione delle “teorie di genere” e il loro tentativo di “decostruire”, ossia cancellare, la natura ovvero di formare esseri liberi di assegnarsi autonomamente il genere che percepiscono al di là del loro sesso naturale.
Forse il sogno di un governatore LGBT, che legga le annuali “Considerazioni finali” in blazer e tacchi a spillo, potrà appassionare qualcuno ovvero essere considerato un progresso, ma ecco che questa operazione di via Nazionale, se inserita nel quadro più ampio di un progetto nazionale ideologico-politico di superamento e stravolgimento di ogni identità, acquista un taglio meno ridicolo ma leggermente più disgustoso.