Mi si perdoni il lungo preambolo prima di venire a quella stessa considerazione che sviluppai in Fascismo ed Antifascismo in cui attaccavo una di quelle semplicistiche semplificazioni sul Fascismo intollerabili a una mente che si voglia logica.
Uno dei luoghi comuni più stolti che si possano pensare e dire è senz’altro quello che in una guerra non vi sono né vinti né vincitori e che in un certo qual modo ambedue i contendenti risultano perdenti. Se così fosse coloro che continuano ancora a guerreggiare sarebbero doppiamente imbecilli perché l’intraprendere ancora un’azione che si concluderà con la certezza di una perdita non può che essere una vocazione innata suicida.
La faccenda non sta veramente così perché la guerra è come un gioco in cui si può essere sconfitti o vincere, guadagnare o perdere. Anche in questo caso come in altri si ha un deficit di parole in specie per l’italiano laddove si usi il termine gioco.
L’inglese ha il vantaggio di una combinazione di parole che perfettamente illustra come stia veramente la faccenda della guerra non solo. Questa parola è GAME che può tradursi ancora in italiano con gioco stabilite però talune avvertenze.
Nell’inglese l’espressione che è il titolo famoso di uno di quei libri che non esito a sconsigliare perché dopo averlo letto è impossibile restare come prima. È un po’ come apprendere un trucco che una volta che lo si conosca il prestigio che ammiravamo cessa di divertirci.
Il titolo di quel libro originale in cui si rende appieno l’idea che sta dietro a GIOCO è GAMES PEOPLE PLAY [1]che si tradurrebbe in “Quei giochi che la gente gioca”. Il GAME inglese però è quel gioco in cui si perde o si vince e non quello che serve per passare il tempo divertendosi, il PASSATEMPO. Se la faccenda non stesse in questi termini non avremmo né i ludopatici né le guerre!
La parola inglese GAME è quel gioco che diverte fintantoché lo si compie ed esercita e sommamente diverte ed esalta se si riesce vincitori, ma che ci affligge e ci perde tragicamente qualora sia quell’altro ad imporsi.
La guerra è a tutti gli effetti un GAME e mi stupisce il fatto che l’etimologista non ne accordi la radice a quella della parola greca GAMOS che significa matrimonio. In tal senso il matrimonio è un vero e proprio gioco che può durare una vita nell’alternanza delle funzioni, ma che è micidiale qualora il perdente e il vincente sia sempre lo stesso! Anche le guerre tendono a ripetersi ed in tal caso non si può che convenire con quell”affermazione che sentenzia essere il matrimonio la prima causa di un divorzio.
Se i popoli sapessero stare per proprio conto divisi non vi sarebbero guerre per certo, ed è questa la ricetta ancestrale di PACE che trovasi in quello che si considera nell’ambito della produzione letteraria cinese come un vero e proprio trattato di guerra il TAO TE CHING di Lao Tzu.[2]
I nazifascisti intrapresero la guerra ritenendo di poterla vincere e di averne i mezzi e le qualità sufficienti per osare. È come quando si scommette o si gioca al lotto. Se si pensasse di perdere non lo si farebbe per certo. Ciò ha a che vedere con la speranza che è uno dei motori insostituibili del vivere per chiunque.
Veniamo ora all’attualità nel senso dell’appena trascorso qualche generazione fa. Mi sono stupito nel dibattito riacceso sull’antifascismo e il fascismo che non si fosse ricordata quell’amenità spiritosa, di cui non so citare l’autore che pure ci sarà, la quale definisce il fascista per mezzo di una combinazione concettuale che ha tutto il sapore di un vero e proprio gioco matematico, nel senso del rispetto univoco del risultato, come la morra cinese. Deve premettersi a questo gioco intellettuale la stessa considerazione del preludio più sopra. Siccome nel gioco si vince o si perde così in logica si hanno proposizioni false o vere a seconda che si stia alle regole o si bari. L’esempio più facile. Qual’è il risultato di 25 x 4? Se si dice 100 si ha ragione. Qualsiasi altra risposta sarebbe falsa e ci darebbe torto. L’essenza della matematica sta tutta qui e non è affatto poco perché come disse Leibniz se le conclusioni della geometria euclidea ledessero gli interessi di qualcuno si perderebbe ogni sua verità ed esattezza.
Veniamo ora alla morra che tanto somiglia alla vicenda sempre presente della minaccia fascista.
La morra è un gioco in cui si vince o si perde.
Vi è una morra che è la più semplice.
Si gioca in due e le sole due possibilità ammesse sono la mano aperta e la mano chiusa. La mano aperta vince sulla mano chiusa nel senso di afferrarla e prenderla. I due giocatori che si sfidano presentano nello stesso tempo la mano. Chi presenta la mano aperta vince nel punteggio chi presenta la mano chiusa. Dopo un certo numero convenuto di mani ripetute si avrà un perdente e un vincitore o una patta. Se ambedue i giocatori giocano la stessa mano quella mano è patta.
La morra cinese è più complicata. La mano del giocatore può assumere la forma della carta se aperta, quella del sasso se chiusa e quella della forbice con le due dita divaricate. Le regole sono che la mano chiusa cioè il sasso vince sulla forbice rompendola ma perde con la carta che l’avvolge e così ciascuna delle figure si impone su una ma perde con l’altra. Ciò è del tutto matematico nel rispetto delle regole.
Ed ecco ora l’aneddoto gioco che nella presente diatriba sul fascismo e l’antifascismo mi pare che nessuno abbia ripreso.
Qualcosa del genere fu una sorta di gioco per dimostrare come il fascismo non fosse estraneo né alla coscienza storica né a quella politica con l’invenzione della trovata che consisteva in questo: essere le tre figure di questo gioco tali che l’accordo tra due esclude la terza.
Le carte del gioco sono: il Fascista, l’Onesto Morale e l’Intelligente.
Così si giocano le combinazioni a due in cui si esclude la rimanente.
Se un tale è intelligente ed onesto non può essere fascista.
Se un tale è fascista ed onesto non può essere intelligente
Se un tale è intelligente e fascista non può essere onesto.
È evidente allora che il Fascista potrà essere sia intelligente che onesto siccome un onesto potrà essere fascista o non esserlo e così per l’intelligente. A ben pensare non è un male che le carte siano ancora mischiate per il futuro.
Vi è dello scherzo in questo ludo gioco di parole ma senz’altro un vissuto e un’intelligenza non artificiale meno banale di un coro che canta “Bella Ciao!”
Mi piace concludere questa che spero sia appresa come una dissertazione giocosa ma serissima con l’elogio della pace secondo Lao Tzu traendola dall’Almanacco di Strategia Trascendentale di Ehr Sheng
Prof. Renato Padoan
NOTE
[1] Questo testo è stato tradotto in italiano con il titolo “A che gioco giochiamo” che non rende però l’idea. Si parte prendendo in esame il rapporto moglie marito cioè di una coppia che sta insieme continuando a ripetersi la frase “ … se non fosse stato per te mi sarei trovato/a di meglio”. Questo gioco può durare una vita intera! Meglio sarebbe che si separassero e ognuno andasse per conto suo eppure continuano a stare insieme. Questo è un gioco che si continua indefinitamente e che non finisce male ma mette in forma il tempo prima della fine. Altri giochi possono finire malissimo come spesso accade con un omicidio. Per chi volesse saperne di più non gli rimane che acquistare il libro. L’autore lo psicanalista Berne deve considerarsi lo scopritore dei GIOCHI come dimensione interattiva di un rapporto personale che potrebbe comunque estendersi anche ai gruppi.
[2] Trascrivo foneticamente gli ideogrammi cinesi secondo quella grafia che è quella antiquata che trovasi ancora nei più importanti dizionari in uso tra gli studiosi del passato cosiddetta Wades – Giles.