C’è un esperimento abbastanza noto in psicologia, che sembra un esperimento sulla percezione, ma non lo è: a dei soggetti, sette o otto per volta, vengono presentati tre segmenti di lunghezza disuguale, e sono invitati a indicare quale secondo loro ha la stessa lunghezza di un segmento-campione, ma il trucco è che tutti i soggetti del gruppo, tranne uno che è il vero soggetto dell’esperimento, sono soggetti truccati, complici dello sperimentatore che devono dare la risposta errata. Lo scopo dell’esperimento è quello di verificare se, e in che percentuale, i soggetti, quelli veri, continuano a sostenere ciò che vedono, oppure si adeguano alla pressione del gruppo (per convincimento o per il timore di fare brutta figura).
Si è visto che circa il 60% dei soggetti tende a cedere alla pressione del gruppo, a persuadersi o a far finta di credere (questo, l’esperimento non permette di distinguerlo) che la realtà sia diversa da quella che gli occhi mostrano loro.
Non consideratemi presuntuoso, ma io credo di poter dire con relativa sicurezza che, trovandomi tra i soggetti che parteciparono a questo esperimento, sarei stato fra quanti non cedono alla pressione del gruppo. A volte, di fronte al contrasto evidente fra le mie opinioni e quelle della maggioranza di chi mi sta attorno, mi è più volte venuto il dubbio: “ma sono matto io o sono matti loro?”.
Mi capita a volte di sentirmi una specie di mosca bianca, come se vivessi di continuo l’esperimento di psicologia di cui vi ho detto. In generale, nello scegliere una convinzione, non do alcun peso alla misura in cui essa è diffusa, o non prevale piuttosto l’opinione avversa, ma a volte mi capita di chiedermi: possibile che a tutti quanti (o quasi) sfugga quello che per me è ovvio, o sono io che non riesco a vedere qualcosa che è ovvio a tutti quanti (o quasi)?
Prendiamo l’argomento del rapporto politica-religione: di solito “a sinistra” si trovano laici, anticlericali “mangiapreti”, atei e via dicendo, mentre la “destra” pare perlopiù popolata di buoni cristiani, conformisti e “tradizionalisti”. (Che questo termine sia in realtà da prendere con le pinze, l’ho già spiegato, e vi invito a leggere su ERETICAMENTE il mio Ma quale tradizionalismo?).
Ora, si dà il caso che il sottoscritto da sempre si collochi politicamente nell’area di quella che viene chiamata, sia pure in maniera molto impropria “la destra radicale” e che da sempre abbia visto nella religione cattolica, nel cristianesimo in tutte le sue varianti, qualcosa che gli è fondamentalmente estraneo.
Può la mosca bianca avere ragione contro la stragrande maggioranza?
Io ho ricevuto come la maggioranza – perlomeno della mia generazione – un’educazione piuttosto tradizionale, incentrata su valori cattolici e patriottici, ma mi sono molto presto reso conto che le due cosa non potevano stare assieme. A Trieste, dove sono nato figlio di immigrati (pugliese il padre, toscana la madre), bastava conoscere un poco la storia locale per sapere che la Chiesa cattolica è stata dalla parte dell’impero austriaco fino al 1918, e fino al 1945, fino all’avvento della Jugoslavia comunista, ha sempre sostenuto le rivendicazioni degli sloveni contro la maggioranza italiana, che “italiano” nella mia città è stato forse più a lungo che altrove, sinonimo di anticlericale, “libero pensatore”, mangiapreti.
Non bastava, un minimo di conoscenza storica, di quella che si apprende (si apprendeva) sui banchi di scuola, bastava per rendersi conto che la Chiesa ha, durante tutto il periodo risorgimentale, “remato contro” la nostra unità nazionale. Non è tutto, perché nel corso dei secoli la presenza di uno stato della Chiesa nel centro dell’Italia a spezzare la continuità territoriale della nostra Penisola è stata la causa prima della frammentazione dell’Italia che la rendeva facile preda di invasori stranieri nel lunghissimo arco di secoli che va dalla caduta dell’impero romano al risorgimento, e i papi sono sempre stati pronti a chiamare invasori stranieri per preservare il loro dominio, da Carlo Magno a Napoleone III passando per Carlo d’Angiò. E’ stato grazie a Santa “Romana” (“romana” nello stesso senso in cui un tumore fa parte della persona che ne è affetta) che ci siamo trovati privi del diritto di essere stato e quasi di essere nazione, “Umiliati e derisi”, come ha cantato un poeta risorgimentale.
Forse la cosa giungerà una sorpresa ai bauscia leghisti, ma fino al XIII-XIV secolo (l’epoca di Dante, per intendersi), il meridione era la parte più sviluppata della nostra Penisola, dove i Normanni prima, gli Svevi poi, avevano costituito un moderno stato accentrato. Alla corte di Palermo nacque la letteratura italiana. Le Tabulae Melfitanae promulgate dal grande Federico II “Stupor Mundi” furono la prima costituzione moderna, e la Scuola di Medicina di Salerno voluta sempre da quell’uomo eccezionale che fu Federico II fu la prima scuola europea di livello universitario.
La decadenza del meridione iniziò con l’invasione angioina, voluta e sponsorizzata dalla Chiesa che voleva eliminare la dinastia sveva, e con Carlo d’Angiò che vi trapiantò dalla Francia un esteso baronato parassitario. Il nostro meridione fu – sono le parole di uno dei nostri storici più insigni, Scipione Guarracino – “Costretto a essere povero”. La frattura che tuttora esiste fra Italia settentrionale e Italia meridionale, frattura che pone costantemente in discussione la nostra unità nazionale, la dobbiamo sempre a Santa Madre Chiesa (e non c’è scampo, se la Chiesa è “madre”, tutti noi che abbiamo avuto la ventura di essere stati battezzati, siamo figli di puttana).
Risaliamo più indietro nel tempo. A distruggere l’impero romano non furono i barbari che ne tolsero solo di mezzo il cadavere; le responsabilità principali ricadono su quella che sulla carta è ancora la religione più diffusa sul nostro pianeta (ma se andiamo a considerare i praticanti effettivi, scivola almeno al quarto posto, dopo islam, buddismo e induismo); il cristianesimo non solo combattendo la religiosità autoctona europea recise quel vincolo di legittimità e appartenenza delle popolazioni all’impero senza il quale una nazione non esiste, fece di più e di peggio attraverso i suoi sgherri, gli imperatori rinnegati Costantino e Teodosio. Appena preso il potere a Roma, Costantino iniziò a demolire l’impero, prosciugando tutte le risorse dell’Occidente per costruire una realtà più contenuta e facilmente controllabile, “bizantina” attorno alla sua nuova capitale, Costantinopoli, non a caso in quell’oriente mai realmente romanizzato dove il cristianesimo era nato e di cui porta indelebilmente i segni.
Da padroni del mondo allora conosciuto, siamo precipitati a essere per quindici secoli lo zimbello di chiunque volesse invaderci, “umiliati e derisi”, appunto.
Il cristianesimo e la Chiesa cattolica sono stati sempre, sono da due millenni in qua i cattivi geni della nostra storia. Nella mitologia cristiana c’è il “popolo eletto” ma c’è anche il “popolo sfigato” e, non illudiamoci, il “popolo sfigato” siamo noi, gli Italiani. Onestamente, si può credere non solo a coloro che pretendono di esserne i rappresentanti, ma a un Dio che si dimostra così parziale? Io credo che fra l’essere italiani e l’essere cristiani esista un’incompatibilità di fondo di cui la maggior parte di noi riesce a non rendersi conto solo grazie a una crassa ignoranza della storia.
Essendo nato nel 1952, mi è capitato di approdare alla scuola superiore negli anni ’70, nel pieno del periodo della contestazione. A me parve subito chiaro che i contestatori, distruggendo la scuola gentiliana, meritocratica, selettiva ereditata dal fascismo, stavano distruggendo un importante strumento di promozione sociale, e a farne le spese erano, e sarebbero stati proprio i figli di quei lavoratori, di quelle classi lavoratrici che “i compagni” (tutti di estrazione altoborghese) fingevano di avere tanto a cuore. Anche in questo caso, però, non vorrei ripetermi troppo ripetendo un’analisi che ho sviluppato più volte, l’ultima nell’articolo Oltre la destra e la sinistra, pubblicato sul sito del Centro Studi La Runa, al quale vi rimando.
Quello che allora non sapevo, che appresi solo in seguito, era che almeno in Italia la contestazione era il frutto mostruoso di un parto bicefalo, cattolico e marxista, e un ruolo tutt’altro che marginale vi aveva avuto un prete cattolico, don Milani, dal cui celebre esperimento educativo della scuola di Barbiana erano destinati a uscire personaggi come Renato Curcio, il leader delle Brigate Rosse.
Patriottismo, anticlericalismo e antimarxismo erano già una combinazione che mi metteva in controtendenza molto forte con gli umori dominanti – allora ma ancora oggi – tuttavia, perseverare diabolicum, non mi fermai a questo punto. Sempre sui banchi della scuola superiore (è incredibile quante cose si potrebbero imparare a scuola, se non venissero considerate solo delle noiosità da mandare a memoria senza capire per fare contento il prof. e strappare la sufficienza), venni a contatto con Niccolò Machiavelli, la sua sferzante critica al cristianesimo e la sua parallela ammirazione per le religioni antiche che rinsaldavano le comunità umane invece di indebolirle e minarle, e con il pensiero del grande, grandissimo Friedrich Nietzsche.
“Noi pochi o noi molti di fede pagana, sappiamo oggi cos’è una fede pagana: raffigurarsi esseri superiori simili all’uomo, ma al di là del bene e del male: Noi pochi o noi molti di fede pagana crediamo all’Olimpo e non al crocefisso”.
Con il pensiero di Julius Evola, invece, come era ovvio che fosse, venni a contatto attraverso l’attivismo politico. Io, onestamente, non mi considero un evoliano. A mio parere, il grande torto di Evola, dei tradizionalisti, della “cultura di destra” in genere, è quello di rifiutare la concezione evoluzionista come è stata formulata da Charles Darwin e poi sviluppata e corretta dalla moderna scienza biologica.
Questo rifiuto, a mio parere, nasce da un grossolano equivoco, la confusione fra il concetto di evoluzione e quello di progresso (quest’ultimo sì confuso, a-scientifico e infondato, nonché di sinistra).
L’evoluzione darwiniana un concetto di sinistra? Credete? Che cos’è il principio della selezione naturale, della lotta per la sopravvivenza che incessantemente premia i più adatti e lascia soccombere i malriusciti, se non la più bruciante sconfessione di tutti gli umanitarismi, i buonismi, i democraticismi? La tendenza di ciascuno a preservare e massimizzare la diffusione nelle generazioni future il proprio genoma, non quello altrui, non va forse ad avallare quelle “brutte cose” che si chiamano nazionalismo e perfino razzismo? Non è una sconfessione bruciante di tutti gli inviti al mondialismo multietnico democratico e cristiano?
In più, l’idea darwiniana che l’uomo non è superiore alla natura, ma parte di essa, è pienamente compatibile con lo spirito pagano per il quale la natura è sacra, mentre chiaramente non lo è con il cristianesimo che lo vede come avulso dalla natura, oggetto di una creazione speciale. Anche su questo punto non voglio ripetermi troppo, ne ho fatto oggetto alcuni anni fa di un lungo articolo, La destra, il tradizionalismo e noi, che potete ancora trovare in internet.
Io penso che la prassi mentale, che non si può nemmeno definire un concetto, estremamente diffusa negli ambienti conservatori e “di destra” in base alla quale per stabilire la validità di una concezione o del suo opposto non occorre cercare di comprenderne la validità intrinseca ma semplicemente stabilire la priorità temporale e ciò che appare prima in ordine di tempo è conseguentemente più “vero”, è semplicemente un escamotage per evitare lo scomodo e faticoso esercizio di pensare. Sarà allora forse il caso di far notare a tutti costoro che le idee della plasticità delle forme viventi che trapassano l’una nell’altra, della selezione che partendo da forme inferiori costruisce i tipi più elevati, dell’evoluzione e della selezione naturale, sono qualcosa a cui Darwin e le ricerche scientifiche successive hanno dato l’apporto di un’imponente raccolta di dati, ma non si può dire abbiano inventato.
Già nella Ionia presocratica sette secoli prima dell’inizio dell’Era Volgare, il filosofo Anassimandro sosteneva che i primi uomini devono aver avuto origine da antenati non umani, essendo il cucciolo dell’uomo, alla nascita e per un lunghissimo periodo dopo di essa, assolutamente inetto. Subito dopo di lui, Eraclito, il grande Eraclito di cui Nietzsche diceva di “mettere da parte il nome con venerazione”, scopriva il ruolo creativo del conflitto nel costruire attraverso la selezione i tipi più elevati.
“La guerra è madre e regina di tutte le cose”.
Darwin e la biologia moderna s’incontrano dunque con un antico pensiero naturalistico che l’avvento del cristianesimo ha spazzato via, un po’ come è successo con l’eliocentismo già sostenuto dai pitagorici e per affermare il quale, grazie all’oscurantismo cristiano, due millenni dopo si rischiava il rogo.
“Un’idea moderna, dunque un’idea falsa” è allora piuttosto il creazionismo cristiano-abramitico.
Su questo punto in particolare, mi sono trovato coinvolto nelle discussioni più accese con gli esponenti dell’ “Area”. Forse il mio destino è quello di essere sempre e comunque una mosca bianca.
Alla lunga però non è possibile rimanere su di un piano puramente politico ed evitare di cercare di dare una risposta alle domande esistenziali: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Il rifiuto della concezione evoluzionista alla fin fine non lascia alternativa se non quella di ricascare nel creazionismo, il che significa in ultima analisi tornarsene a testa bassa all’ovile cristiano, a meno di non fare come René Guenon che si accostò all’islam nell’ultima fase della sua vita (scelta a mio parere altrettanto deleteria), ed è questa a mio parere la ragione per cui c’è una discreta casistica di intellettuali che partiti come “tradizionalisti evoliani” sono poi diventati “tradizionalisti cattolici”.
Il fatto di usare il termine “tradizionalista” può forse far sembrare a costoro di non aver fatto dopotutto un grande salto di non essere – più che caduti sulla via di Damasco – precipitati in un abisso, perché costoro sovente non si rendono conto che lo scarto fra due monoteismi abramitici (discendenti da Abramo, sia o no questo personaggio realmente esistito) quali ebraismo e cristianesimo, è molto minore dell’abisso che separa il paganesimo, la spiritualità autoctona europea, da essi, è l’equivoco insito nel mal posto concetto di tradizionalismo.
Magari costoro possono talvolta ritenere di avere semplicemente “approfondito” il proprio pensiero, ma a mio parere chi passa da “evoliano” a “cattolico” si è fatto dare cappotto o si è dato cappotto da sé nella maniera più penosa. Come ho scritto in La destra, il tradizionalismo e noi, cosa ce ne facciamo di centravanti specialisti in autogol?
E’ ovvio che Julius Evola non può essere chiamato a rispondere del comportamento dei suoi attuali discepoli, o di coloro che pretendono o hanno preteso per una certa parte della loro vita, di proclamarsene discepoli, ma a me pare chiaro che l’anti-evoluzionismo della sua concezione, anti-evoluzionismo frutto di un malinteso, della confusione fra i concetti di evoluzione e di progresso, rappresenta un “buco” attraverso il quale molti sono cascati nel creazionismo e ritornati all’ovile della fede cristiana-abramitica. Questa posizione anti-evoluzionista e questo malinteso sono comuni nella destra, così come la sinistra in modo assolutamente speculare si professa evoluzionista oltre che progressista, democratica, umanitaria e via dicendo, mentre le sfugge completamente il nucleo elitario che costituisce il cuore della teoria darwiniana, il concetto di selezione naturale (perché se la stupidità abbonda a destra, questa non è davvero una virtù di cui essa abbia il monopolio, a sinistra se ne trova altrettanta e di più); tuttavia, questo “buco” è particolarmente grave per una concezione partita come esaltazione dell’ “imperialismo pagano”.
Recentemente, su di un sito cattolico tradizionalista, un prete fanatico ha lanciato contro il pensiero, ma soprattutto contro la persona di Julius Evola un attacco furioso fatto di basse ingiurie. Machiavelli era un uomo privo di morale, Nietzsche un infermo di mente, Evola, apprendiamo ora, addirittura un indemoniato, un posseduto; è la vecchia, vecchissima tattica cattolica, quella di rispondere agli argomenti dell’avversario con la denigrazione personale, perché di solito non si hanno argomenti.
Io ho risposto al pretaccio (caricatura, come tutti loro, e caricatura ben squallida del sacerdote, dell’uomo sacro delle nostre religioni ancestrali), senza perdere il senso della misura, ma punto per punto. Tanto dovevo alla memoria del mio antico maestro, e tanto ho fatto, ma la critica costruttiva – ovviamente – è una cosa del tutto diversa.
E chissà che non sia questa mosca bianca ad avere ragione.
4 Comments