di Walter Venchiarutti
Nei primi libri: “LA MUSICA PRIMITIVA” (1992) è IL SIGNIFICATO DELLA MUSICA” (1970) l’autore spiega l’essenza musicale dell’uomo, le connessioni esistenti tra rito-sacro-musica e l’alba del mondo generato dal suono. La potenza creatrice espressa dalla vibrazione del Verbo poggia su indiscusse basi atte a confermare l’unità trascendente delle religioni ed è: in Egitto il sole cantante, nei Veda l’inno di tre sillabe, nell’Islam il virtuosismo vocale che accompagna la recita del dhikr, l’enunciato evangelico di Giovanni: “in principio era il Verbo” (Gv 1, 1-18). E ancora le origini del canone polifonico primitivo, fondato sull’idea dell’inseguimento e del cacciatore, le imitazioni magiche di voci animali con le quali il musicista primordiale affatturava la selvaggina e accedere al simbolismo zooforo “ANIMALI SIMBOLICI” (2002). Da maestri tradizionali come i tamburini del Marocco, gli stregoni mongoli esperti nelle pratiche di percussioni rituali e da certi maghi negri lo Schneider ha osservato, appreso e descritto l’arte di incantare uomini e serpenti. Nella sua opera la metodologia differisce da quella dei soliti ricercatori occidentali. Il modo d’ascoltare e sentire i ritmi, le linee melodiche, i suoni della natura non assomigliano affatto alle relazioni composte da analoghi studiosi. Inoltrarsi in questa lettura comporta rischi. Non è la solita scorrevole storia della musica e degli esecutori che si è abituati ad assimilare. Svaniscono le certezze, crollano le opinioni prestabilite. Le primitive litanie non avvallano più il giudizio di ripetitive e insignificanti canzoni. Non a torto Zolla afferma quanto sia “abbastanza naturale che l’opera di Schneider generi sgomento”. Grazie alla conoscenza delle scienze sacre si palesano i sistemi simbolici arcaici di origine musicale. Vengono evidenziate le sorprendenti analogie che investono tradizioni siberiane, cerimonie magiche africane e danze rituali spagnole. Lo sciamano, lo stregone, il miste è colui che ha imparato a conoscere la musica dell’universo e ha acquisito la capacità di farla diventare la sua voce. Le stazioni dell’essere, gli eterni giri danteschi: nascita/solstizio, vita/malattia, morte/trapasso hanno innegabili corrispondenze e si relazionano alle tre fasi dell’iniziazione: labirinto/notte, battaglia/ascensione, incontro natura divina /umana. L’uomo ritorna alle origini ogni volta che s’accosta alla morte sia essa rituale o reale. Tale singolare ricerca non ha collegamenti con scuole o lavori precedenti. Si deve poi considerare che quanto pubblicato costituisce una minima parte del corpus dell’insegnamento orale. Ascoltare i ritmi, esaminare i monumenti sapendone trarre le melodie, cogliere i messaggi sonori lanciati della natura costituiscono le fondamenta di una educazione iniziatica orientata a catturare la musica occulta che si cela nell’universo, ma solo per “Qui habet aures audiendi, audiat”.
“PIETRE CHE CANTANO” (1976) è un testo tra i pochi in grado di segnare la vita di un lettore. La sua scoperta straordinaria sopraggiunge quando, grazie all’attento esame condotto nei tre chiostri benedettini di stile romanico delle cattedrali catalane di S. Cugat del Vallès, di Santa Maria a Gerona e di Santa Maria di Ripoll, formula il principio secondo cui “il posto di volta in volta occupato da ogni capitello nella successione delle colonne non è mai casuale, ma è sempre determinato da un ritmo globale musicale o ideologico” (p.2, Ed. Archè). Le immagini ornamentali degli animali, tradotte in note compongono la melodia per gli inni gregoriani dedicati a San Cacufane e alla Santissima Vergine. “Gli animali fungono da intermediari tra gli dei e i mortali perché la loro espressione fonetica è più vicina alla lingua originaria di quanto non lo sia il discorso articolato dell’uomo” (p.10). Dalle figure rappresentate sui capitelli assegnando a ciascuna una nota musicale in base alle conoscenze tratte dai testi indù sono decifrate e ricomposti gli spartiti di altrettanti inni gregoriani. Alcuni esempi, pur semplificando notevolmente le corrispondenze nota musicale/animale vengono ottenute dalle equivalenze tratte dalla tradizione musicale vedica secondo cui: il FA corrisponde alla tigre o alla capra, il DO all’aquila o all’elefante, il SOL alla gru, il RE al pavone, il LA agli uccelli canterini, il MI al toro, il SI al pesce o al cavallo. Il linguaggio primigenio creativamente prende forma dinamica e concretizza le cose nominandole. Attribuendo ed emettendo un puro suono ritmato si compie un sacrificio di suoni. Dalla statuaria simbolica è possibile, seguendo il percorso inverso, risalire alle musiche che antichi maestri hanno scolpito e le silenti pietre prendono il potere di trasformarsi in loquaci veicoli canori.
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