Di Fabio Calabrese
Sembra che oggi per comprendere quanto sta avvenendo nella dimensione socio-politica ed economica, ci si debba avvalere sempre di più di concetti mutuati dalla biologia. La domanda che viene spontaneo porsi, è se ciò debba essere considerato null’altro che una metafora o non significhi in ultima analisi qualcosa di più, se non rappresenti il definitivo scacco di una “cultura democratica” che, a partire da J. J. Rousseau e l’illuminismo, si è basata su di una artificiosa contrapposizione fra “natura” e “cultura”, arrivando addirittura con Marx, il maestro di tutti i cattivi maestri, a una specie di estremismo folle che implica una sorta di auto-creazione dell’uomo a partire dal dato economico, e in ogni caso obnubilando del tutto le basi biologiche dell’essere umano e del suo comportamento.
Il concetto di allometria indica il fatto che variando le dimensioni degli esseri viventi, essi non sono semplicemente la replica in scala l’uno dell’altro, ma si modificano le proporzioni secondo regole ben definite. Esiste anche un’allometria dell’accrescimento, e le variazioni di proporzioni, del corpo e della faccia, che essa comporta, sono quelle che ci permettono di distinguere a colpo d’occhio un bambino da un adulto.
Ma oltre a ciò, ed è quello che più ci interessa, esiste anche un’ALLOMETRIA SOCIALE. In una società in cui aumenta o diminuisce la disponibilità di risorse, ciò non avrà effetti delle stesse proporzioni in tutti gli strati sociali: in una società che si impoverisce, le classi subalterne saranno di gran lunga più colpite delle classi dominanti. La crisi che ha colpito le economie europee a partire dal 2008 ce ne ha offerto un esempio drammatico; ebbene, dal 2008 al 2013 (non ho dati più aggiornati, ma nulla fa pensare che il trend si sia sostanzialmente modificato), mentre le famiglie italiane hanno conosciuto una generale regressione della ricchezza e dei consumi, l’1% più ricco della popolazione ha visto la propria ricchezza aumentare dell’8-9%. Ve ne ho parlato, lo ricorderete, in un precedente articolo apparso su “Ereticamente”, che si intitola appunto Allometria.
Il concetto di “mutazione genetica” applicato alla politica, invece, non è una mia personale intuizione, ma è meglio arrivarci per gradi.
Il linguaggio astratto adottato dalla maggior parte degli economisti che sono – naturalmente – al servizio del potere e del suo sistema di legittimazioni, è una sorta di cortina fumogena, serve a dare la calcolata impressione che gli eventi dell’economia rispondano a una sorta di ineluttabile ciclo indipendente dal controllo umano, quasi si trattasse di meteorologia e non il risultato di precisi comportamenti umani, e in più che esista una sorta di destino comune degli stati e delle società, glissando bellamente sul fatto che la prosperità di alcuni si fonda sulla rovina di (molti) altri.
Se noi riusciamo a liberarci da queste pastoie mentali, una cosa ci appare chiara, che “la crisi” iniziata nel 2008 ma le cui premesse sono state create ben prima con la creazione della cosiddetta “Unione europea” (e mai termine fu più bugiardo) e l’introduzione della moneta unica, l’euro, non è affatto una crisi, intesa nel senso di un fenomeno periodico e passeggero, ma il risultato di una graduale spoliazione, di un progressivo saccheggio delle risorse dei popoli europei.
In realtà un po’ di lungimiranza avrebbe dovuto aiutarci a comprendere che in tutto ciò non c’è nulla di radicalmente nuovo. Quel che sta avvenendo oggi corrisponde pienamente ai dettami di un progetto politico elaborato già all’indomani della prima guerra mondiale, il piano Kalergi, rimasto a lungo bloccato prima dall’emergere dei fascismi, poi, dopo la seconda guerra mondiale, dal lungo stallo della Guerra Fredda, ma che oggi è in piena e avanzata fase di realizzazione.
A sua volta però, il piano Kalergi non è che la parte conclusiva di un piano di ben più vasta portata che da tre secoli o più ha mirato alla sostituzione delle élite tradizionali europee con il potere usurocratico dell’oligarchia finanziaria, la distruzione dell’ordine tradizionale dell’Europa, mascherato dietro le rivendicazioni libertarie e sociali che hanno percorso il XIX e il XX secolo.
L’aspetto puramente economico non è, però, che una branca dello stesso piano; l’altra parte è costituita dal rivolgimento demografico. Si mira alla sostituzione dei popoli europei di cui si è provocato il declino demografico e l’invecchiamento impedendo il ricambio generazionale, con una turba di allogeni immigrati, con la creazione artificiosa di una società meticcia, perché essendo l’uomo europeo un uomo intelligente, con un forte senso della propria dignità personale, del suo valore come individuo, appare poco adatto a fare parte della futura società di schiavi progettata dall’oligarchia usuraia.
Questo è un punto che va ben compreso: in una società economicamente in espansione com’era quella statunitense del XIX secolo in cui la richiesta posta dal rapido sviluppo eccedeva la disponibilità di braccia da lavoro, favorire l’immigrazione aveva un senso che certamente non ha in un’economia in contrazione come quella dell’Europa di oggi. Qui l’unico senso che essa può avere, è rimpiazzare gli Europei nativi con un “nuovo proletariato” più facilmente malleabile e schiavizzabile. Si tratta, in pratica, di un GENOCIDIO AL RALLENTATORE.
Arriviamo al tema della “mutazione genetica”. Gran parte dello spazio politico in Europa e in Italia è ancora oggi ingombrato da quelli che vengono chiamati partiti di sinistra. Ora, è chiaro che se la sinistra fosse quella che si è sempre presentata, quella che ancora oggi, almeno in parte, finge di essere, dovrebbe essere la più tenace oppositrice del piano Kalergi, un piano che colpisce in maniera pesante prima di tutto i lavoratori europei, invece ne è, in tutti i suoi aspetti la più zelante esecutrice anche se, bisogna ammetterlo, in pendant con gli esponenti di una religione in declino ma ancora molto diffusa in Europa e che – guarda caso – è originaria di quella stessa area mediorientale da cui provengono gli antenati di molti usurocrati finanziari, oltre che quelli di Karl Marx.
Ma forse quest’ultimo aspetto non vale nemmeno la pena di essere approfondito: se si è disposti a sostituire il proprio raziocinio con gli sproloqui di un tizio qualsiasi venuto dall’altra parte del mondo purché vestito di bianco e uso ad affacciarsi ogni domenica mattina da una certa finestra romana, vuol dire che si è pronti in partenza a farsi abbindolare.
E’ per spiegare l’apparente anomalia di una sinistra totalmente schierata nell’applicazione del piano Kalergi, che si è fatto ricorso al concetto di “mutazione genetica” nel senso che “i sinistri” odierni non sarebbero più quelli di una volta, sarebbero “misteriosamente” diventati altro.
In realtà, mettendo le cose in questo modo non si spiega nulla. Bisogna per prima cosa rilevare che almeno sotto un aspetto importante questa “mutazione” non somiglia alle mutazioni biologiche. Queste ultime, infatti, si manifestano negli esseri viventi all’improvviso per effetto di un’alterazione del DNA; in questo caso, invece, si è trattato di un processo graduale e secolare, una lenta “distillazione” che poco per volta ha portato a quello che è il peggior tradimento concepibile nei confronti dei lavoratori e dei popoli europei.
Nell’ottocento, essere “di sinistra” significava essere dalla parte dei ceti popolari, per il suffragio universale, l’estensione dei diritti e delle tutele sociali, era una sinistra umanitaria e rispettabile.
Il primo grande allontanamento rispetto a questa tradizione più che degna di rispetto, si è verificato proprio con la creazione del primo stato “socialista” mondiale. La “rivoluzione d’ottobre” in realtà un putsch militare organizzato da Lenin avvenuto il 7 novembre 1917 (allora in Russia vigeva il calendario giuliano, sfasato di un paio di settimane rispetto a quello gregoriano oggi di uso universale) non portò alla creazione dell’utopico “stato dei lavoratori”, ma a una nuova, oppressiva autocrazia. L’idea che in qualche modo vi sarebbe stata una primitiva fase rivoluzionaria e socialista dello stato sovietico conclusasi con la morte di Lenin e l’avvento di Stalin, è un falso clamoroso inventato per creare il mito di un “comunismo originario” poi corrotto da Stalin. La verità è che Stalin non ha fatto altro che mettere i piedi nelle impronte di Lenin. Il bolscevismo è stato libertario solo nella fase della conquista del potere; una volta consolidato questo potere, non ha tardato a manifestarsi come una delle più spaventose tirannidi della storia umana, che non ha concesso ai “proletari”, al popolo lavoratore né tutele né diritti. Schierarsi dalla parte di questa mostruosità, come tanti “compagni” fecero, significava negare tutta la tradizione ottocentesca del socialismo umanitario e libertario.
E’ un dato interessante che è stato messo in rilievo da Jean François Revel in La conoscenza inutile, che le primissime corrispondenze dall’Unione Sovietica dell’ “Humanité”, il giornale dell’influente partito socialista francese, misero in rilievo il carattere ferocemente autoritario del potere sovietico, ma intervenne la direzione del PSF, censurando gli articoli del corrispondente e imponendogli di assumere un atteggiamento “più costruttivo”. All’epoca non esisteva ancora la rete di partiti comunisti “fratelli” deputati a diffondere un’immagine edulcorata e falsa della realtà sovietica, ma in questo modo esordì una delle “virtù” fondamentali della sinistra, la capacità di ingannare e di auto-ingannarsi, auto-ingannarsi per poter meglio ingannare.
Il secondo allontanamento è avvenuto con il 1968. Che il movimento contestatore non sia stato affatto un fenomeno spontaneo, ma in larga parte orchestrato dai servizi segreti dell’Europa dell’est, nella prospettiva di sostituire alla conquista militare ormai impossibile dell’Europa occidentale sotto la dominazione americana, l’annessione ideologica, questo è largamente provato, ma questo non toglie che per incistarsi nell’Europa occidentale, la contestazione doveva impiantarsi su situazioni proprie di essa. Questo vale in particolare per l’Italia, se altrove il ’68 fu “una stagione”, mentre da noi durò un ventennio o più, prolungandosi da ultimo nella scia di morte del terrorismo delle Brigate Rosse e altri gruppi armati, un motivo ci sarà pure stato.
Io credo che comprendere le dinamiche di quegli anni sia essenziale per capire la situazione attuale. Un punto deve essere chiaro: la scuola selettiva e gentiliana, una delle più importanti eredità lasciate dal fascismo all’Italia postbellica, era lontana dall’essere la perfezione, come nessuna cosa umana lo è, è chiaro che gli appartenenti ai ceti alti erano comunque avvantaggiati, perché alla fin fine un diploma o una laurea si potevano, come si possono ancora oggi prendere “a calci nel culo”, a forza di ripetizioni, raccomandazioni, pregiudizio positivo dovuto al nome di famiglia, al fatto stesso di essere cresciuti in un ambiente colto, eccetera. Tuttavia, è altrettanto innegabile che questa scuola era anche un buono strumento di promozione sociale, perché i figli delle classi subalterne, sia pure partiti in svantaggio potevano farsi strada per, come si diceva una volta, “capacità e merito”, e il titolo di studio rappresentava una buona probabilità di ottenere una collocazione sociale corrispondente alle proprie attitudini e capacità.
La scuola democratica e non selettiva post-sessantottesca il cui modello è stata la scuola di Barbana di don Lorenzo Milani che ha tra l’altro sfornato il leader delle Brigate Rosse Renato Curcio, la scuola che non boccia e non insegna distribuisce solo titoli di studio che sono patacche inflazionate. Poiché i vertici della piramide sociale non possono essere allargati a piacere, la selezione cacciata dalla scuola ricompare nella società affidata a strumenti molto meno equi: amicizie, raccomandazioni, preesistente posizione sociale della famiglia, tessere di partito, appartenenza a clan malavitosi.
Ora badate bene: i contestatori, almeno quelli della prima ondata sessantottesca erano pressoché tutti universitari di estrazione alto-borghese, ed essa “stranamente” arrivò proprio nel momento in cui la scolarità di massa arrivata alle scuole superiori, unita a una scuola ancora selettiva, capace di premiare la capacità e il merito, minacciava di rendere molto difficile a costoro riuscire a riprodurre la collocazione sociale dei loro genitori. Fu un’operazione di conservazione sociale mascherata da movimento rivoluzionario, tanti piccoli Metternich travestiti da Robespierre.
Quello che si realizzò, fu un “pactum sceleris” fra i contestatori e la sinistra “d’antan”. Da essa, costoro ricevettero l’imprimatur “rivoluzionario” e in cambio le apportarono un’iniezione di ideologia marxista in tutti gli aspetti della vita politica e sociale e PROPRIO PERCHE’ SI TRATTAVA DI ESPONENTI DELLE CLASSI ALTE, il guadagno di posizioni strategiche nella scuola, nella magistratura, nell’informazione, nella pubblica amministrazione, e ovviamente nel mondo degli affari, perché “pecunia non olet”. A rimetterci erano prima di tutto le classi popolari che si sono viste private di una possibilità di ascesa sociale per i loro figli più capaci, e infine l’Italia nel suo insieme, che si è vista privata della possibilità di avere una classe dirigente adeguata alle sfide poste dal complesso mondo contemporaneo, e le conseguenze sono oggi visibilissime, ma naturalmente è impossibile concludere un affare in cui tutti ci guadagnino.
Di tutti i nostri intellettuali perspicaci come galline e dotati dell’acutezza visiva delle talpe, l’unico a capire come realmente stessero le cose, fu Pier Paolo Pasolini che in occasione degli scontri di Valle Giulia prese le parti dei poliziotti figli di lavoratori, contro i contestatori figli di papà alto-borghesi, e per questo motivo fu espulso dal PCI, anche se si prese a pretesto la sua omosessualità, del resto ben nota da tempo, scusa che a posteriori suona particolarmente ridicola se si considerano le ostentate prese di posizione pro-omosessuali della sinistra attuale. Naturalmente, noi non piangiamo sulla sorte di un uomo che per far carriera in un’Italia dominata culturalmente dalla sinistra, si era “dimenticato” di un fratello brutalmente massacrato dai comunisti alle Malghe di Porzus.
Io approdai alle scuole superiori in pieno clima sessantottesco. Non potevo, ovviamente, avere la visione del mondo strutturata che ho adesso, frutto di esperienza, letture, riflessioni, ma una cosa mi fu subito chiara: i “contestatori” stavano distruggendo un importante strumento di promozione sociale, e non ebbi dubbi fin da allora da che parte schierarmi.
Il terzo e definitivo allontanamento della sinistra dai ceti popolari, è avvenuto con la caduta del muro di Berlino e poi dell’Unione Sovietica. Anche riguardo a questo evento epocale, ci sono molte cose che non sono state osservate né tanto meno capite. Non è quanto meno strano come sia stata data per buona la conversione dei comunisti al dogmi della democrazia liberale nel giro di una notte, mentre nei nostri confronti si continua a praticare un ostracismo che dura ormai da tre generazioni? Questo significa che già prima di allora si era costruita una rete di complicità fra i comunisti e i “democratici occidentali” teoricamente nemici, una rete di complicità che da allora si è rapidamente infittita fino a rendere gli uni indistinguibili dagli altri.
Che oggi la sinistra abbia abbracciato il liberismo con l’entusiasmo dei neofiti, che, per soffermarci sul caso italiano ma tenendo ben presente che gli stessi fenomeni si verificano un po’ dappertutto, in un quarto di secolo da Giuliano Amato a Matteo Renzi, abbia posto mano con energia alla demolizione di quello stato sociale che non era l’eredità meno importante del fascismo, non è cosa che possa stupire, anche in considerazione del fatto che al di là della pura etichetta ideologica e partitica, ai vertici di quelli che già furono “partiti operai”, a partire dal ’68 si è collocata prevalentemente gente di estrazione borghese e alto-borghese. Il marxismo, se vogliamo, si è dimostrato una sorta di boomerang: intruppate dietro le sigle sindacali, le masse lavoratrici sono state abituate a vedere nell’imprenditore il nemico, a sabotarlo a tutto vantaggio della finanza internazionale e apolide, hanno cooperato a divenire preda di un capitalismo più potente, più parassitario e più vorace. La situazione italiana che vede oggi la scena politica dominata da un partito, il PD, creato dalla confluenza di quello che fu il partito comunista con quella che fu la democrazia cristiana, è insieme più grottesca e più tragica che altrove.
Considerato tutto ciò, non stupisce che la sinistra sia diventata la più fedele e pedissequa esecutrice del piano Kalergi, lo ha scambiato con il suo antico sogno cosmopolita o con quanto rimane di esso, facendo finta di non vedere che questo finto progetto di “nuova Europa” è in realtà il disegno di una futura società di schiavi. In tutto ciò c’è forse molto di ideologico, almeno a livello di residuo, ma di certo di ideale non c’è nulla. I “nostri” sedicenti democratici stanno copiando quanto si cominciò a mettere in atto con esiti disastrosi già un ventennio or sono in Gran Bretagna, l’importazione di immigrati per costituire un “proletariato alternativo” i cui voti sarebbero serviti per porre rimedio alla crescente disaffezione delle masse popolari, in modo da rimanere in sella possibilmente per sempre, senza badare quale danno ciò potesse/possa arrecare alle classi lavoratrici native, tanto c’era sempre l’infamante accusa di razzismo per tappare la bocca a eventuali dissidenti.
Diciamolo con estrema chiarezza: l’onere di difendere e rappresentare le classi lavoratrici TRADITE dalla sinistra tocca ai movimenti euroscettici, populisti, anti-immigrazione, A NOI, ma per essere all’altezza di questo compito ci sono un po’ di scorie dalle quali ci dobbiamo liberare, dobbiamo avere ben chiaro il fatto che non abbiamo nessuna parentela, nessuna affinità con forze con le quali durante il lungo periodo della Guerra Fredda siamo stati costretti a una forzata coabitazione nella trincea anticomunista: atlantisti, liberali, “destri”, conservatori.
Se vogliamo capire cosa sia la visione del mondo a cui pretendiamo di ispirarci, e quali prospettive abbia per il futuro, considerare le parole del suo fondatore non sarà l’ultima cosa da fare. In un ben noto scritto che devo purtroppo citare a memoria, Benito Mussolini spiegava che l’originalità del XX secolo è consistita proprio nell’irruzione delle masse, del popolo lavoratore sulla scena politica e che da questo punto di vista il fascismo non poteva e non doveva essere un balzo all’indietro.
“Joseph De Maistre”, concludeva, “Non fa parte del nostro albero genealogico”.
Né De Maistre né i “destri” e conservatori di qualsiasi specie e varietà. Dobbiamo liberarci di qualsiasi scoria destro-conservatrice e atlantista, perché è chiaro che oggi il compito di difendere il popolo lavoratore, LA NOSTRA GENTE svenduta e tradita dalla sinistra, spetta a noi
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