8 Ottobre 2024
Politica

La mutazione genetica, quarta parte – Fabio Calabrese

Può forse sembrare strano che dopo aver dedicato anni fa tre articoli ad analizzare il tema della “mutazione genetica”, io riprenda adesso l’argomento, ma c’è un motivo preciso.  Come penso ricorderete, con quest’espressione – che non è una mia invenzione – si intende indicare la trasformazione avvenuta nelle sinistre europee che, dopo caduta dell’Unione Sovietica hanno fatto formale professione di abbandono dell’ideologia marxista per convertirsi a un confuso democraticismo liberaleggiante, ma non solo, sembrano aver del tutto abbandonato al loro destino le classi lavoratrici. Vi ho già resi edotti della mia convinzione che questo non è in realtà un fenomeno improvviso come sono le mutazioni genetiche vere e proprie che avvengono in campo biologico negli organismi, ma l’esito ultimo di un processo graduale iniziato con la nascita stessa dell’Unione Sovietica nel 1917, quando una delle più atroci tirannidi mai apparse nel corso della storia umana fu spacciata dalle sinistre internazionali per “lo stato dei lavoratori”. Un ulteriore allargamento della forbice, del progressivo distanziamento tra sinistra e classi lavoratrici, è avvenuto con 1968, la famosa contestazione che fu in realtà un mercimonio o un “pactum sceleris” fra partiti di sinistra e rampolli dell’alta borghesia europea, che portò un gran numero di questi ultimi nelle file dei partiti “rossi”, e la conquista tramite costoro di importanti posizioni nell’istruzione, nella cultura, nell’informazione, nella magistratura, negli apparati della pubblica amministrazione, in tutti i gangli della società, fu pagata con un sostanziale immobilismo sociale. Quel che è accaduto dopo il 1991 è stato solo il terzo tempo della manovra.

Tutto ciò l’avevamo già visto, ma un fatto nuovo ci dà l’occasione di ritornare sull’argomento e approfondire l’analisi. Qualche tempo addietro “Ereticamente” mi ha pubblicato un articolo, La vergogna e il disonore, in cui ho “smascherato” i retroscena storici che si celano dietro la festività del 25 aprile. Da quel che ho potuto vedere, questo articolo ha riscosso un discreto consenso. La tentazione di ripetere lo stesso tipo di operazione per il 1 maggio era ovviamente forte, anche perché vedendo per questa ricorrenza sventolare le bandiere rosse colpisce come un pugno nell’occhio, non solo e non tanto perché queste bandiere per chi vive sulla sponda orientale dell’Adriatico si associano all’atroce genocidio commesso dalla canaglia “rossa” con la strage delle foibe e su cui la sinistra italiana e la “repubblica democratica” hanno steso decenni di silenzio complice e omertoso, ma perché dispiace constatare il fatto che i lavoratori non si rendano conto che la politica odierna della sinistra è tutta contro di loro, con il servilismo verso il grande capitale finanziario e il favoreggiamento dell’immigrazione. Sono soprattutto i ceti popolari che pagano il prezzo che l’immigrazione comporta, perché per la legge della domanda e dell’offerta l’immissione sul mercato del lavoro di un’enorme quantità di braccia non qualifica deprezza la loro offerta di lavoro, perché si trovano a essere scavalcati dagli allogeni che vengono anteposti a loro in tutte le previdenze sociali: dalle case popolari agli asili nido (tanto gli Italiani SI VUOLE che di figli non ne facciano più), all’assistenza sanitaria e via dicendo, perché ricade su di loro l’aumento della criminalità, del degrado sociale e urbano, della stessa salute, che l’immigrazione comporta, perché i loro figli avranno difficoltà sempre maggiori un domani a trovare lavoro a causa della presenza degli allogeni, e davvero non finiremmo più.

Tuttavia, il motivo principale per cui mi sono deciso a redigere questo articolo, a ritornare sul discorso della mutazione genetica è il fatto che abbiamo avuto un esempio davvero eclatante e lampante di essa con le elezioni presidenziali francesi. Non erano di sinistra gli intellettuali, i maitres a penser, i guru della nostra epoca? E costoro oggi non trovano nulla da dire a proposito del fatto che Emmanuel Macron, l’uomo di fiducia di Soros e della banca Rotschild è diventato presidente dei Francesi con l’appoggio della sinistra? Su come sia andata questa elezione, sul fatto che al ballottaggio la sua avversaria del Front Nationale, Marine Le Pen, sia “crollata” al 20% dei consensi ci sarebbe poco da dire, era difficile che le cose andassero altrimenti, vista l’enorme pressione mediatica e internazionale a favore dell’uomo dei banchieri. Avessimo noi in Italia una forza populista e identitaria al 20%, ma nemmeno il MSI ai suoi tempi d’oro! Quello su cui sarebbe più importante invece aprire una riflessione, è il fatto che il Front Nationale è riuscito maggioritario fra gli operai e nei piccoli centri, laddove Macron ha avuto dalla sua le grandi città, la borghesia e “i francesi non nativi”. “Destra” e “sinistra”, ammesso che questi termini abbiano ancora un significato, sembrano essersi letteralmente scambiate le basi elettorali tradizionali.

Ovviamente, la sinistra italiana non è certo meglio di quella francese. Basterebbe ricordare il fatto che anni addietro Walter Veltroni, fondatore e allora segretario del sedicente “Partito Democratico” (la cui stessa creazione è stata un servile plagio della sinistra americana) ebbe a dichiarare che “La lotta di classe non esiste”. Considerando che si trattava del segretario del maggior partito ex comunista dell’Europa occidentale, era come se un papa avesse dichiarato che i vangeli sono un falso. Noi possiamo anche pensare che quell’uomo era spinto dalla fretta di trasformare gli ex comunisti in democratici-liberal sul modello americano, ma probabilmente nessun leader della destra avrebbe mai azzardato tanto, si sarebbe accontentato al più di affermare l’esigenza della conciliazione dei divergenti interessi di classe in nome del bene comune.

Tutto ciò lo abbiamo già visto con ampiezza. Piuttosto la domanda importante ora è se questa aberrazione storica sia qualcosa di accidentale o non piuttosto la conclusione inevitabile di una stortura intrinseca all’ “essere di sinistra”, ora giunta alle sue manifestazioni più estreme. Anche in questo caso, sostenendo che la tesi esatta è la seconda (ragion per cui riguardo all’utopia comunista non c’è assolutamente nulla da rifondare, non più di quanto il dottor Frankenstein potesse resuscitare un cadavere con la corrente elettrica), non sto dicendo nulla che rappresenti una novità assoluta. A suo tempo esaminando il concetto di socialismo nazionale, abbiamo visto che non si tratta di due concetti eterogenei che vanno in qualche modo giustapposti . La scelta identitaria non può essere che socialista, e la scelta socialista non può essere che nazionale. La nazione, come corpo politico, umano, culturale, etnico, storico, non può essere altro che socialista, per difendersi dall’aggressione del capitalismo mondialista e perché differenze socioeconomiche troppo accentuate non permettono la solidarietà tra i suoi componenti, perché “non di solo pane vive l’uomo”, ma indiscutibilmente si vive anche di pane e companatico.

Proviamo a considerare questo punto di vista dall’altro lato: è stato piuttosto Marx a creare un ibrido eterogeneo mettendo insieme due elementi incompatibili, l’internazionalismo e il socialismo, con il risultato che oggi vediamo bene che sotto la specie del cosmopolitismo mondialista, l’internazionalismo ha portato alla corrosione o all’evaporazione completa dell’elemento socialista.

Perché un’impostura sia efficace, deve mescolare qualche elemento di verità, possibilmente ovvia e facilmente riconoscibile, a un inganno più o meno ben dissimulato. E’ nota la frase di Marx secondo cui “Non è la coscienza a creare l’essere, ma l’essere sociale dell’uomo a creare la coscienza”. Che sia l’essere a creare  la coscienza e non viceversa, questo è ovvio a chiunque non sia un idealista astratto con i piedi ben piantati in mezzo alle nuvole, ma provate a immaginare soltanto per ipotesi che avesse detto: “E’ l’essere razziale dell’uomo a creare la coscienza”. Che scandalo sarebbe! (Lo sarebbe naturalmente oggi, nel XIX si viveva in società meno “democraticamente avanzate”, e quindi c’era più libertà, si potevano affrontare anche i temi razziali). Eppure comprendiamo che sarebbe stata un’affermazione non più unilaterale, anzi probabilmente meno. Marx commetteva lo stesso errore (sempre che di errore e non di inganno deliberato si trattasse) degli illuministi in una forma più grave. Costoro si immaginavano “cittadini del mondo” senza rendersi conto che libertà e diritti non possono esistere se non all’interno di uno stato che li riconosca, uno stato che è o dovrebbe essere nazione, cioè omogeneità etnica e continuità storica. “Citoyen du monde”, vale a dire in ultima analisi senza identità.

Allo stesso modo, Marx non comprendeva o fingeva di non comprendere che “il proletario”, “il borghese”, le stesse classi sociali, esistono solo in rapporto a un insieme che è non solo economico, ma sociale, culturale, ma soprattutto storico, quindi anche etnico. La nostra vita si svolge nello spazio e nel tempo. Come lo spazio nel quale viviamo non è solo quello della nostra esperienza immediata, così anche il tempo nel quale siamo immersi non è solo quello della nostra vita individuale, ma si collega alle origini attraverso le generazioni che ci hanno preceduti, e si prolunga o si dovrebbe prolungare dopo di noi nei nostri discendenti. Noi possiamo riconoscere il tratto distintivo dell’ “essere di sinistra” precisamente nella volontà di escludere le determinazioni etnico-biologiche dell’uomo per coltivare il sogno della sua totale manipolabilità a partire dai fattori sociali-culturali-ambientali-appresi. La natura umana non deve esistere o deve essere ridotta a un costrutto sociale, lo aveva bene spiegato Diego Fusaro in un articolo che ho già avuto occasione di citare tempo fa:

“[La sinistra] parte dalla concezione egualitaria secondo cui gli umani sono tutti uguali in quanto non c’è corrispondenza tra la genetica di un popolo e il suo carattere e cultura. Tutto dipenderebbe da circostanze storiche e ambientali. E quindi sarebbe possibile ipotizzare una società perfetta a partire da studi “scientifici”. E realizzarla tramite la distruzione del vecchio e delle identità etniche. I sinistri sono dei razzisti che si sono radicati nell’utopia. La loro realtà è solo mentale ma che ha escluso il corpo”. L’origine di tutto ciò non è affatto un mistero. La mentalità di sinistra con la sua esasperazione della contrapposizione fra natura e cultura, fra innato e appreso, e con una scelta di parte a favore di cultura-appreso-ambientale e la distruzione delle identità etniche dei popoli per buona norma, è un ricalco della mentalità cristiana con la contrapposizione fra anima e corpo e, del pari, la squalifica di tutto ciò che è biologico-corporeo. La sinistra moderna si dimostra nei fatti l’erede del “bolscevismo dell’antichità”, in una versione laicizzata ma che ha recuperato tutto lo spirito dissolutore e sovversivo del cristianesimo della tarda romanità, e il fatto che oggi le Chiese cristiane siano aggiogate al suo cocchio e che l’una e le altre prestino la loro opera al capitalismo mondialista nell’imposizione dell’universale meticciato, davvero è l’ultima cosa che possa stupire.

Oggi la sinistra è la peggior nemica delle classi lavoratrici, ma questo, quanti lo capiranno in tempo? Fuori dalla propria esperienza immediata e prosaica, la gente tende a pensare per idee pre-pensate, frasi fatte, slogan, “appartenenze” politiche non più giustificate del tifo calcistico, e questo spiega il fatto, che davvero non ha nulla di sorprendente, del peso che la sinistra riesce ad avere ancora in termini di consenso fra le classi lavoratrici nonostante una politica palesemente rivolta contro di esse. Diceva Abraham Lincoln: “Si possono ingannare tutti per un certo tempo, e qualcuno per sempre, ma non è possibile ingannare tutti per sempre”. Sarà, ma di certo è possibile ingannare moltissima gente per moltissimo tempo. Tutto sta a vedere se i popoli europei di cui le classi lavoratrici sono l’elemento predominante non solo numericamente, si risveglieranno in tempo per cambiare direzione ed evitare di precipitare nel baratro verso il quale “i compagni” li stanno portando.

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