10 Ottobre 2024
Cultura sinistra

La mutazione genetica, quinta parte – Fabio Calabrese           

Io non vorrei che questo articolo, il quinto, che dedico ad analizzare la mutazione genetica della sinistra italiana, europea ed “occidentale” da movimento (sedicente) rivoluzionario e dei lavoratori, presunto anticapitalista a supporto, e oggi possiamo dire il supporto più zelante, del grande capitalismo finanziario e mondialista, venisse interpretato come un’insistenza eccessiva da parte mia, ma il fatto è che dalla precisa comprensione di questo fenomeno dipende il comprendere le reali dinamiche dei fenomeni storici che stiamo vivendo, e del fatto che oggi solo “le destre” populiste e sovraniste possono offrire alle classi lavoratrici una qualche forma di tutela.

Io vi ho fatto notare che a differenza delle mutazioni genetiche naturali che si manifestano in maniera improvvisa, la mutazione genetica della sinistra ha alle spalle un lungo passato che coincide quasi con la sua stessa storia, il progressivo allontanamento da quei “lavoratori di tutto il mondo” di cui Marx proclamava l’unione.

Riassumendo brevemente i termini dell’analisi che vi ho proposto, noi non ci dobbiamo stupire del fatto che il crollo dell’Unione Sovietica abbia prodotto nella sinistra europea l’abbandono di qualsiasi idea socialista e ne abbia fatto la zelante sostenitrice di “riforme” che sono in sostanza privatizzazioni e riduzioni dello stato sociale, insomma “buttare via il bambino insieme all’acqua sporca”, perché esso è stato l’occasione (probabilmente attesa) per portare alla luce il cambiamento avvenuto a partire dal 1968, dalla pseudo-rivoluzione “contestatrice” che ha visto prima arruolarsi e poi man mano salire alla guida dei partiti di sinistra persone di provenienza borghese e alto-borghese i cui interessi di classe sono esattamente opposti a quelli di quei ceti di lavoratori che la sinistra ha continuato e continua a fare finta di difendere.

In coincidenza con ciò, vi ho fatto osservare, abbiamo assistito anche alla sparizione delle destre liberali o liberal-conservatrici classiche (“le destre” là dove esistono oggi sono sostanzialmente populiste), sparizione dovuta a una ragione molto semplice: per il grande capitale internazionale, per il potere usuraio che sta dietro la cosiddetta Unione Europea (ma non solo) le cosiddette “riforme” che gli interessano, cioè in sostanza l’abolizione dello stato sociale e di tutto quanto le classi lavoratrici hanno acquisito in due secoli di lotte, è più conveniente farle fare a partiti e movimenti di sinistra che almeno una parte importante dei ceti lavoratori continua a percepire falsamente come “dei loro”, le stesse “riforme” che fatte da governi di destra o liberali, spingerebbero la gente sulle barricate.

Non è difficile vedere come in questo discorso rientri l’immigrazione extracomunitaria che oggi sta invadendo l’Europa con la complicità sfacciata dei movimenti di sinistra. Legge della domanda e dell’offerta: essa serve precisamente allo scopo di deprezzare l’offerta di lavoro dei lavoratori europei. Chi avesse a cuore la sorte dei popoli europei a cominciare dalle classi lavoratrici, dovrebbe opporsi a questa immigrazione/invasione in ogni modo, ma questo non è certamente il caso dei movimenti di sinistra.

Vi avevo anche fatto notare che questa propensione all’inganno, da parte dei dirigenti “rossi” a ingannare le proprie basi, e da parte di queste ultime a farsi ingannare, a prendere, come si dice, “lucciole per lanterne” è in realtà molto antica, nasce – si può dire – all’indomani stesso della cosiddetta rivoluzione d’ottobre, quando la tirannide autocratica sovietica che è riuscita ad assicurare ai suoi sudditi tre quarti di secolo di oppressione e miseria, fu spacciata alla grande per “lo stato” o addirittura “il paradiso” dei lavoratori.

Bene, con la nostra analisi noi eravamo arrivati a questo punto, ma forse essa può essere ulteriormente approfondita. Possiamo supporre e verificare se i dati storici lo confermano, che l’ideologia di sinistra è tutta una serie di inganni e di auto-inganni fin dalle origini, dal 1848 da cui data il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels, ma anche prima, quando si vanno a esaminare “i fondamenti” (parola che costui da pseudo-hegeliano amava molto) del pensiero dello stesso Marx e dei suoi predecessori, in particolare di quello che a mio parere fu, ben più di Hegel, il suo autentico padre spirituale, Jean Jacques Rousseau.

Ma non precorriamo i tempi. Ne La conoscenza inutile, Jean François Revel fa notare una cosa molto interessante: quando la dittatura sovietica era neonata, non disponeva certo degli efficienti servizi segreti e degli abili strumenti di disinformazione che sviluppò in seguito. Il corrispondente da Mosca de “L’Humanitè”, il giornale del partito socialista francese, allora il più autorevole periodico di sinistra europeo, aveva iniziato un onesto lavoro giornalistico inviando dei reportage non esaltanti che descrivevano in termini crudi la nascente dittatura sovietica, le repressioni, gli arresti e le sparizioni di oppositori, eccetera. Fu richiamato dalla direzione del partito che gli ingiunse di assumere un atteggiamento “più costruttivo”.

La menzogna fu creata prima dagli ingannati che dagli ingannatori, c’era una volontà di non vedere che la realtà stava smentendo una volta di più le loro utopie.

Una cosa che deve essere ben chiara, è che il comunismo è stato da subito un sistema tirannico, è falso che esso, come si cerca spesso di darci a intendere, sia stato “corrotto” in questo senso da Stalin, Stalin non ha fatto altro che mettere i piedi sulle orme di Lenin. Un comunismo compatibile con la libertà e il rispetto dei diritti umani non è esistito né sotto Lenin né dopo il periodo staliniano, né in luoghi diversi dall’Unione Sovietica, né mai.

L’inganno, l’inganno sistematico è talmente connesso alla natura del comunismo, che non sarebbe un errore né un’esagerazione indicarlo come l’essenza stessa del comunismo. Gli anticomunisti, soprattutto gli anticomunisti viscerali dovrebbero prendersi la briga di leggere quello che è considerato il testo teorico più importante di Lenin, il libro Che fare, che è una specie di manuale del “rivoluzionario”. In esso si spiega chiaramente (e con un sorprendente candore) che le vere finalità del movimento “rivoluzionario” vanno occultate alla base, che di per sé, se fosse lasciata libera di scegliere andrebbe verso soluzioni di tipo “socialdemocratico”, cioè tali da salvaguardare un sistema rappresentativo, e non verso la creazione di un regime “rivoluzionario” e autocratico.

La gente cioè deve essere ingannata, i suoi sforzi per ottenere diritti e giustizia sociale, deviati verso la costruzione del moloch bolscevico. Certo, i comunisti possono e devono partecipare al gioco elettorale, ma sempre vedendolo non come qualcosa che abbia in sé stesso la sua finalità, ma come strumento tattico per “guadagnare punti” allo scopo finale dell’instaurazione della propria autocrazia, esso non è altro che (ed è l’espressione di Lenin) “la prosecuzione della guerra con altri mezzi”.

È sintomatico che le classi dirigenti dei regimi comunisti non abbiano trovato per sé stesse una definizione migliore di quella di nomenklatura. Questo termine indicava in origine “la lista” dei “compagni di sicura fede” cui la verità poteva essere comunicata mentre s’ingannava sistematicamente la base.

Io immagino che a questo punto vi sorgerà spontanea una domanda alla quale vorrei rispondere subito: Parte da Lenin la degenerazione del socialismo in una mostruosità tirannica?

Se lo pensate, vi sbagliate: questo è Marx, non è altro che l’applicazione coerente e conseguente delle idee dell’uomo di Treviri. Il socialismo umanitario, “deamicisiano” si può dire sia morto nel momento stesso in cui con la pubblicazione del Manifesto del 1848 Marx ed Engels presero la guida ideologica del movimento “dei lavoratori”. Anche in questo caso, se andiamo a leggere questo libretto piuttosto agile (anche se come manifesto, assolutamente prolisso), scopriamo che c’è un intero capitolo dedicato a controbattere le idee di Pierre-Joseph Proudhon, il teorico della socialdemocrazia, capitolo che in buona sostanza anticipa il Che fare di Lenin.

Ugualmente in Marx si trova l’idea che la base deve essere ingannata circa le reali finalità del movimento. Il bello è che sia Marx sia Lenin l’hanno detto chiaramente, comportandosi come chi sui media reclamizzasse una società segreta, ma probabilmente avevano una gran fiducia nella propensione della gente a farsi ingannare, e in questo non si può dire che avessero torto.

Marx spiega chiaramente che il fine della “rivoluzione” non è creare la società senza classi dove tutto appartiene a tutti e ciascuno gode di libertà e giustizia sociale, questa è una prospettiva lontana rimandata a quando la “rivoluzione socialista” planetaria avrà eliminato ogni forma di proprietà privata in ogni angolo del globo, una parusia escatologica non dissimile dal secondo avvento di Cristo e dal giudizio universale nell’escatologia cristiana. Quello che “la rivoluzione” si propone è la realizzazione della “dittatura del proletariato”, cioè di un’autocrazia tirannica in termini non dissimili da quel che poi Lenin ha effettivamente realizzato, ma ovviamente alla base, ai semplici militanti non va chiarito che le loro aspirazioni alla libertà e alla giustizia sociale sono rimandate a un futuro lontano e indefinito, non meno nebuloso della seconda venuta di Cristo.

C’è quasi da farsi venire il dubbio se Karl Marx fosse realmente un essere umano o un qualche alieno capitato in mezzo a noi per un qualche errore inesplicabile, tanto poco mostrava di comprendere la natura umana.

Oltre un certo livello, quando le necessità più impellenti della sopravvivenza siano soddisfatte, a determinare le relazioni umane, non è l’economia ma il potere. Una disponibilità di beni maggiore di quel che una persona potrebbe utilizzare nel corso della vita, non avrebbe alcun senso se non fosse uno status symbol. Una volta abolita ovunque la proprietà privata, quando una nomenklatura onnipotente darebbe luogo alla transizione fra la dittatura del proletariato e la società senza classi, rinunciando spontaneamente al proprio potere? La risposta viene subito spontanea: MAI.

Si vede bene che in Marx l’inganno verso i militanti e l’auto-inganno si bilanciano così bene, che è difficile dire quale elemento abbia prevalso nel generare la mostruosità comunista.

In Marx confluiscono diverse influenze, l’hegelismo, il socialismo utopistico, gli economisti inglesi. Io penso tuttavia che il vero “padre” di Marx non sia stato Hegel come generalmente si suppone, ma piuttosto Jean-Jacques Rousseau. Il “pensatore” ginevrino infatti, è il vero padre del comunismo e dell’idea di abolizione della proprietà privata, afferma esplicitamente che colui che per primo recintò un campo e disse “questo è mio” è all’origine di tutti i guai dell’umanità.

“Interessante” in Rousseau è anche il concetto di “volontà generale” in cui risiederebbe il diritto alla sovranità, e che non coincide con la “volontà di tutti” come si può accertare ad esempio attraverso un’elezione. Per capire questo concetto, può essere utile l’esperienza degli anni ’70 in cui quelli della mia generazione si sono imbattuti in diverse esperienze assembleari in un momento di esagitazione politica. In quel momento era chiaro, e le ricerche sociologiche hanno poi confermato, che un gruppo numeroso di persone rinchiuso in un ambiente ristretto, può prendere decisioni esagitate o estremiste che nessuno dei suoi membri avrebbe mai preso se consultato singolarmente. Eccola la “volontà generale” di Rousseau, in sostanza un appello all’irrazionalità e alla violenza che si annidano al fondo dell’animo umano. Se la rivoluzione francese è culminata nel terrore giacobino, è anche perché le idee di Rousseau hanno prevalso su quelle di illuministi più moderati, come Voltaire, Diderot, Montesquieu.

Un’altra idea-cardine è quella del “buon selvaggio” ottenuta per sottrazione (di selvaggi, Rousseau non ne ha probabilmente mai visto in vita sua nemmeno uno), partendo dal presupposto che la civiltà è progressivo allontanamento da una condizione di innocenza originaria. Ciò che lascia realmente intravedere questo “pensiero” è una fondamentale misantropia, un odio profondo verso la specie umana. Una “virtù” tipicamente di sinistra che è facile riconoscere in Rousseau, è l’ipocrisia. Basti pensare che è l’autore di un libro, l’Emilio, destinato a essere un classico della pedagogia, eppure abbandonò i suoi cinque figli all’assistenza pubblica.

Non stupisce che ancora oggi un personaggio del genere sia ancora amato “a sinistra” e che la piattaforma per consultazioni on line con i propri militanti di un noto movimento di sinistra porti il suo nome.

Come è stata possibile la “mutazione genetica”, e soprattutto come è possibile che gran parte dei militanti non si sia accorta che la sinistra oggi persegua obiettivi che sono l’esatto opposto di quelli che teoricamente dovrebbero essere i suoi ideali? La risposta che a questo punto si può dare, è che da sempre la sinistra pratica con passione l’arte dell’inganno e dell’auto-inganno, ed è da sempre avvezza a sostituire con l’astrazione ideologica la percezione della realtà.

Esaminare la sua storia è certo motivo di interesse, ma la finalità pratica non può essere altra che quella di combatterla, innanzi tutto per il bene proprio di quelle classi lavoratrici di cui a lungo si è falsamente dichiarata campione e vessillifera.

 

 

 

NOTA: Nell’illustrazione, il lavoro massacrante nei gulag sovietici, destinato a uccidere i prigionieri assieme al freddo e alla fame, forse il simbolo più evidente della realtà tirannica dietro l’utopia dello “stato dei lavoratori”.

 

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