11 Ottobre 2024
Gnosticismo

La nostalgia gnostica – Filippo Goti

Lo gnostico è l’unità di misura d’ogni fenomeno ed ogni fenomeno è esterno allo gnostico; in tale prospettiva intima è negata ogni sostanza, ogni assolutezza, ogni immutabilità a tutto ciò che lo circonda. Lo gnostico intuisce (attraverso i doni divini, conseguenti alla propria naturale condizione di risveglio) la profonda caducità della creazione, il vacillare della mente nel trovare giustificazione omnicomprensiva a quanto la circonda, la persistente insoddisfazione che le cose di questo mondo gli procurano e, di riflesso, l’incapacità di trovare ristoro per l’anima nelle cose di questo mondo. Leggiamo:

“L’anima erra in un labirinto, infelice, non c’è via di uscita davanti al male tenta di sfuggire al caos amaro, ma non sa dove dirigersi” (Salmo Naaseno)

L’anima gnostica è racchiusa nel corpo fisico, resa in catene dalla percezione dei sensi, incapace di trovare soddisfazione ed appagamento in quanto la circonda; il mondo esterno assume forma di un intricato labirinto ove essa non trova lenimento alcuno al dolore, che anzi è amplificato dalla constatazione che da esso non vi sia uscita.

Il salmo Naaseno rappresenta al meglio l’origine della speculazione gnostica, che non è riconducibile ad uno stato psicologico depressivo, ammantato di retorica o aulico fraseggio, ma bensì ad un attivo interrogarsi su di uno stato di alienazione, di perenne insoddisfazione, d’intuizione che vi è altro oltre il fitto ordito della realtà. Lo gnostico riconosce un disagio intimo, non dettato dall’avere, ma dall’essere, e ad esso vuole dare risposta e rimedio. Il primo atto dell’anima gnostica è rappresentato dal riconoscimento di una prigione, e dalla ricerca di una via verso la libertà; non è, infatti il primo atto di colui che desidera evadere, quello di rendersi conto della prigionia in cui versa? Questa volontà di trascendenza non è forse un attivo porsi, tramite la comprensione/rifiuto/superamento, innanzi alle cose tutte di questo mondo?

 << questo fuoco è ingannevole, poiché dà agli uomini un’illusione di verità e li imprigiona in una dolcezza tenebrosa >>(tratto dal Libro di Tommaso l’atleta)

Una sorta di profonda malinconia pervade tutto il pensiero gnostico, fino a prendere la forma della nostalgia che accompagna il pneumatico lungo il proprio viatico terreno; se ogni aspetto di questo mondo è avvertito come malevolo ed alieno è perché lo gnostico, nella visione che incarna, è figlio di un’altra terra, di un reame lontano, e si trova per caso, capriccio o colpa proiettato in una nazione lontana e dagli usi incomprensibili. Attraverso i sensi l’anima è inebriata, portata a dimenticare una condizione precedente a questa in cui adesso si ritrova, ma che persiste a livello di vaga rimembranza; la radice di ogni costruzione mitologica gnostica viene così individuata nella nostalgia, intesa sia come profondo lamento per ciò che fu, sia come perenne richiamo verso quella che sarà definito il Ritorno al Pleroma.

<<1 Quand’ero un piccolo fanciullo dimoravo nel mio regno, nella casa di mio padre 2 lieto della ricchezza e del fasto dei miei nutritori. 3 Dall’Oriente, nostra casa, i miei genitori mi equipaggiarono e mi mandarono…. (tratto dall’Inno della Perla)>>

Ritorno al Pleroma, o casa del Padre, è lo Zenit del percorso gnostico, la conclusione del sentiero di luce, e verso la luce, che l’anima deve compiere guidata dalla voce della nostalgia, potente koan interiore. La nostalgia è la creazione del mito dal mito, o per meglio dire, la germinazione della mitologia e cosmogonia gnostica dove il Nadir è rappresentato dalla condizione umana e lo Zenith il suo protendere verso il mondo del Pleroma. Un mito titanico per pochi eletti, che dal basso dalla prigionia cercano di risollevarsi verso ciò che è perduto. È necessario rilevare come sia proprio la nostalgia, frutto della considerazione di ciò che si è e di ciò che si prova a divenire, la pietra fondante di tutto il pensiero gnostico, il cardine attorno cui tutto ruota. È nel dilemma dell’uomo, nel dramma di uno spirito incorruttibile in un corpo corruttibile che si forgia il pensiero gnostico, che si articola nel rapporto fra uomo e uomo, uomo e creazione e uomo e Dio. Lo gnostico non trova risposte alla propria condizione nella Creazione, nella ciclicità del tempo, nel deperimento della materia; egli si pone domande, cerca risposte che incarnano uno spirito antisociale e contrario all’etica dominante, in quanto nella comunità, nel sociale, negli ideali e nella religione non vede alcuna soluzione al lamento dell’anima. L’unico termine ad un universo feroce, che divora la vita per donarsi la vita, è volgere lo sguardo interiore verso un Dio prima di dio, estraneo all’orrore del cosmo; se attorno all’uomo vi è disperazione e morte, ciò non può essere frutto del vero Dio ma di un Demiurgo, di una divinità inferiore e maligna che si manifesta nell’ordine costituito, nella catena degli eventi. Ecco quindi il Dio oltre dio: Altissimo, luminosissimo e assolutamente incomprensibile per l’uomo non gnostico. Un Dio così diverso e lontano dal carnale Dio del mondo monoteistico giudaico, circondato da un Abisso di Silenzio; come estremità opposta, a questa silente ed appagante beatitudine essenziale, lo gnostico vede l’effimera ed infima natura della materia e della Creazione.

<< Rifletto in che modo questo è avvenuto. Chi mi ha trasportato in prigionia lontano dal mio luogo e dalla mia dimora, dalla casa dei miei genitori che mi hanno allevato? >>( G 328)

L’anima gnostica s’interroga sul come e sul perché è oggi relegata in un corpo, ecco il punto fondamentale che allontana ogni ombra di depressione dall’universo gnostico. Il pneumatico si pone delle domande sulla sofferenza che attanaglia il cuore, e ad essa cerca risposta, individuando una via di uscita:

<< O quanto mi rallegrerò allora, io che sono ora afflitta e paurosa nell’abitazione dei malvagi! O quanto si rallegrerà il mio cuore fuori delle opere che ho fatto in questo mondo! Per quanto tempo sarò vagabonda e per quanto tempo affonderò in tutti i mondi?>> (J 196)

L’anima gnostica non si lascia schiacciare dal peso della vita senza senso, ma anzi legge in essa un momento di purificazione, per quanto dolorosa, necessaria alla risalita; constata lo stato delle cose, comprende che deve darsi, e mantenere al contempo, coscienza di sé.

<<Sono una vite, una vite solitaria che sta nel mondo. Non ho un sublime piantatore, non ho un coltivatore, non un mite aiuto che venga ad istruirmi su tutte le cose>> (G.346)

L’anima gnostica è sola, ma questo non l’abbatte, non distrugge l’anelito salvifico; nessuna indicazione “diretta e lineare” nella creazione della via del ritorno, ma ciò non le impedisce di essere una pianta, che nessuno sulla terra ha coltivato o innestato o accudito, che trae linfa dal Sole. È l’apprendimento ad essere la via di uscita, nel porsi al mondo e trarre esperienza da ogni accadimento, vi è la risposta ad ogni quesito; se manca l’istruttore, allora è lo gnostico che si istruisce.

<< I Sette mi hanno oppressa e i Dodici sono diventati la mia persecuzione. La Prima Vita mi ha dimenticato e la Seconda non si da pensiero di me>> (J 62)

I sette sono i pianeti, ognuno dei quali retto da un Arconte, e i dodici sono i mesi dell’anno; tale composizione vuole indicare la persecuzione e l’oppressione che opera il ciclo del tempo, il quale, come abbiamo visto, è forse la più grande e malevola astuzia del Demiurgo per mantenere in prigionia il pneuma. La Prima Vita è quella spirituale: infusa dal Protogenitore. La seconda vita è quella carnale: il vaso plasmato dal Demiurgo per contenere il pneuma. Lo gnostico oramai è a conoscenza di questo orrido inganno, e prova sofferenza per la sua condizione e nostalgia per ciò che è stato. Oltre alle considerazioni che hanno accompagnato il nostro percorso fino a questo momento, non possiamo disconoscere come emerga una triplicità di elementi, che nelle loro relazioni determinano e formano l’essere gnostico nel suo sentire: Spirito, Anima e Creato, dove la seconda sostanza è posta al centro, dilaniata ed attratta dall’uno e dall’altro polo; un magnetismo superiore che la sollecita, che la fa protendere al riscatto e alla redenzione, ed un magnetismo inferiore che la invade e la inebria tramite il desiderio, i sensi, i bisogni della materia. La nostalgia gnostica perdura per tutta la vita, durante il tragitto infinito nel labirinto dei sensi, delle ombre e luci della mente, ad un passo dalla follia, ad un passo dalla santità; la gnosi salvifica e liberatoria non è un tendere, bensì è un essere o non essere, e fino a quando essa non viene raggiunta perdura lo stato nostalgico che tende a dilaniare con maggiore violenza l’animo dello gnostico, che più si inerpica lungo la via senza ritorno.  Chi sono i sette se non le pulsioni ed i desideri dei sensi? E i dodici non sono forse le ciclicità del tempo attraverso il ripetersi dei giorni, dei mesi e delle stagioni? Tempo e desideri legano il pneumatico alla corruzione, al disfacimento, alla dimenticanza e all’asservimento. Da questa straziante condizione di sospensione, da questa amara constatazione sulla natura umana, si determina la convinzione nel pneumatico di essere straniero che cerca la via del ritorno a casa. Sulla nostalgia gnostica, la Mater del Mito, incontriamo la germinazione del mito gnostico, che oltre gli Arconti, la Sophia, la Zoe, gli Eoni Incorruttibili, la Barbelo e il Pleroma, trova conclusione nel ritorno, dopo l’epica del solo contro la moltitudine delle cose tutte. In un titanico sforzo di ricomposizione, di quel mosaico chiamato Uomo, di ogni porzione psicotica dispersa, di ogni brandello di memoria, in un anelito sussurrato del Dio prima di Dio: dell’Uomo prima dell’Uomo.

99 Chinai il capo e adorai la maestà del padre mio che mi aveva mandato:
100 io avevo adempiuto i suoi comandamenti ed egli mantenne quanto aveva promesso 101 alla sua porta mi associai con i suoi principi: 102 egli si rallegrò di me e mi accolse ed io fui con lui, nel suo regno,
103 mentre lo lodava la voce di tutti i suoi servi. 104 Promise che anche alla porta del re dei re sarei andato con lui 105 con la mia offerta e con la perla mi sarei, con lui, presentato al nostro re.
(Inno della Perla)

Sicuri che vi sia altro oltre i sensi, la carne e la mente, e che viva in noi attraverso il ricordo di un mondo Superiore; questa reminiscenza ci anima e ci guida nella follia di un mondo che muore ad ogni istante, per poi rinascere come un Dio cannibale che si nutre dei figli che ha partorito e crearne di nuovi al solo fine di fagocitarli dimentichi fra immensi dolori. Se questa molla fa difetto, se questo ricordo è assente, se questa volontà è un fuoco fatuo o spento, allora la vita non sarà altro che un non senso, che un’occasione sprecata, che un servire da pasto alla Luna vorace e famelica. La nostalgia non come rammarico e fuga, ma come pallido ricordo di ciò che fu, e che può tornare ad essere: peso insostenibile per alcuni, via di redenzione per altri. Questo in ultima analisi il sentire dello gnostico, la molla che lo porta a rivolgere altrove il cammino. Egli si interroga continuamente a come si potuto accadere tale orrore di cui è vittima:

«Rifletto in che modo questo è avvenuto. Chi mi ha trasportato in prigionia lontano dal mio luogo e dalla mia dimora, dalla casa dei miei genitori che mi hanno allevato? Chi mi ha portato tra i malvagi, i figli della vana dimora? Chi mi ha portato tra i ribelli che ogni giorno fanno guerra?» (G 328).

Assaporando il momento della liberazione:

«O quanto mi rallegrerò allora, io che sono ora afflitta e paurosa nell’abitazione dei malvagi! O quanto si rallegrerà il mio cuore fuori delle opere che ho fatto in questo mondo! Per quanto tempo sarò vagabonda e per quanto tempo affonderò in tutti i mondi?» (J 196).

 

Filippo Goti

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