18 Luglio 2024
Punte di Freccia

La Parola insegna, l’Esempio guida – Mario Michele Merlino

 

Diversi anni fa – forse venti – ebbi occasione di conoscere Piero Vivarelli. Sull’eco del successo del documentario Storia della Decima MAS, trasmesso in televisione su RAI UNO (mi sembra). Regista compositore – suoi i testi delle prime canzoni di Adriano Celentano – giornalista – si faceva vanto d’essere l’unico straniero iscritto al Partito Comunista Cubano –. Quando gli telefonavo la segreteria intonava L’Internazionale. L’invitai a scuola a parlare del suo libro Più buio che a mezzanotte non viene (motto del btg. Nuotatori-Paracadutisti del Comandante Nino Buttazzoni della Decima MAS nella RSI). Persona a tratti sgradevole nei gesti e nel tono, fece pessima impressione ai miei alunni per certo giovanilismo rasente la volgarità. I giovani possiedono un senso rigido della moralità e, dai vecchi, si aspettano un modello socratico. Egli s’era arruolato dopo l’8 settembre del ’43 e rivendicava la scelta fatta, l’unica possibile in quelle circostanze. E aggiungeva che a Cuba a contatto con la rivoluzione castrista, con il suo leader maximo, aveva capito come si potesse essere internazionalisti e, al contempo, amare la Patria. Illusione, un inganno, forse un incubo…

E se provassimo a stabilire una successione e non una contemporaneità? Vengono a mente le parole di Felipe, il narratore, musico e teologo, nel romanzo del 1943 di Drieu La Rochelle dal titolo L’homme à cheval ‘La patria è amara per chi ha sognato un impero. Che cos’è per noi una patria se non un promessa d’impero?’ E quella patria non era – e non è – necessario andare a cercarla nell’isla de La Palma in esotiche e lontane atmosfere caraibiche. Essa fu concepita, su fronti contrapposti e prossimi, da Antonio Gramsci e Berto Ricci. L’Italia, nazione proletaria nel XX secolo, per la sua storia atta ad essere punto di riferimento della rivoluzione mondiale. L’età di Cesare il Medio Evo e, più di recente, il Risorgimento nella visione del Mazzini ne sono prova. Attraverso l’egemonia culturale. E non è casuale che la rivista voluta da Berto Ricci prenda nome L’Universale, il destino a cui il Fascismo non può non deve sottrarsi e di cui gli intellettuali possono e devono essere la voce e l’avanguardia. Un Fascismo ‘Immenso e rosso’ … In questi giorni di caldo torrido, io più debilitato e in attesa degli esiti delle analisi e dei tempi per essere operato, ricevo telefonate e qualche visita di amici e camerati. Atto di sincera solidarietà, ne sono certo, di affettuosa condivisione anche se fiori e lacrime non mi si addicono e, come ebbi a scrivere già nel 2006, in Strade d’Europa, voglio essere disperso magari in un cassonetto dell’immondizia (‘uno schianto non una lagna’, mi suggeriscono i versi di Pound. Taccio, dunque, per non cadere nel patetico). La sobrietà non è ancora lo stile ma gli si imparenta, è un buon tirocinio. Ed io ho scritto e ripetuto sovente – e quanto capace di uniformarmi non m’è dato espormi – come sia lo stile la premessa prima ed essenziale per poi dare alle idee solide fondamenta.

Daniele è tornato da Cuba dove ormai – credo sia il terzo anno – ami trascorrere le brevi e intense vacanze tra il mare pesca subacquea e, di notte, in compagnia delle ‘quereteras’ (le giovani cubane che si aggirano nei pressi dei locali per forestieri con l’accortezza di un preservativo imposto dal Regime per evitare letali epidemie). ‘Il male americano’ (USA) si va espandendo con le sue lattine di Coca-Cola (ti ricordi nel ’68 quando si scriveva sui muri come ogni coca-cola non bevuta era un proiettile in meno per i marines in Viet-nam?)… E’ il sogno della democrazia – il peggiore sistema ove le sirene dominano con le loro luminarie fasulle e, proprio per questo, promessa di lustrini e pancia sazia – che sembra irretire tanta parte del mondo. Daniele porta in dono una cartolina che riproduce uno dei murales di propaganda con l’immagine del Che Guevara, quella tratta dalla foto di Korda e che Feltrinelli acquistò per pochi denari e la trasformò in poster e magliette, prodotto del consumismo, nell’estetica borghese dove ‘gli eroi son tutti giovani e belli’. Una passione per Che Guevara è il titolo del bel libro di Jean Cau, edito da Vallecchi nel 2004, ed io la condivido. Quel volto ancora giovane gli occhi spalancati la sutura alla gola il corpo steso sul tavolo in pietra del lavatoio. Una feroce riproduzione del Cristo morto del Mantegna.

Guardo a lungo quella cartolina. Da qualche parte, in qualche busta, fra pile di libri e ritagli di riviste, conservo la riproduzione delle fotografie del Che e del suo gruppo di guerriglieri macellati dai rangers boliviani. E mi viene da immaginare il volto di Berto Ricci di Antonio Gramsci e, perchè no, di Pier Paolo Pasolini fra quei murales in quei cartelloni di propaganda che accompagnano le strade le coste le piazze di Cuba. E mi viene da sorridere, amaro, a pensare quelle riproduzioni sul lungomare di Rimini o in direzione di Ostia in sostituzione di detersivi culi tette saponette. Anche Cuba, pur se lentamente, muore…

Nel 1931, con inizio dell’avventura breve e intensa de L’Universale (agosto del ’35 la sua forzata chiusura), Berto Ricci pubblica Errori del nazionalismo italico. E’ la bestia nera, con il potere plutocratico e il bolscevismo, forse il più invasivo perchè, ‘ideale da questurini’, rappresenta lo spirito borghese, vile ed esangue, l’impotenza verso il Primato, l’Imperium, l’eredità universale di Roma di cui il Fascismo è legittimo e per vocazione il restauratore. Come per Gramsci, ma non con Gramsci si badi bene ché c’è in lui il rifiuto del classismo marxista, avverte nella storia italiana una presenza di universalità che non può chiudersi nei confini di nazione. E, rivolgendo i suoi strali contro la borghesia, egli si spinge ben oltre quel tema caro al Fascismo, essere cioè una malattia dello spirito, un modello di vita (‘noi disdegniamo la vita comoda’, ad esempio), per porre la questione, al contempo, quale mentalità e anche quale classe sociale fondata sul privilegio. Così partecipa entusiasta al volume, edito nel 1939 e a cura di Edgardo Sulis, Processo alla Borghesia (con la tacita approvazione del Duce) ove si legge: ‘il privilegio economico deve diminuire. La gerarchia sociale non deve più consistere nel privilegio economico’. Luogo privilegiato la scuola riformata ove il merito domini sul censo. Ruolo dell’uomo di lettere, dunque, quale educatore e, qui, prossimo e non affine, all’intellettuale organico di Gramsci.

(Pier Paolo Pasolini non tanto quale intellettuale che volle esercitare l’esistenza cifra di eresia e, in parte, quello schierarsi con gli ‘ultimi’ in quanto estrema resistenza di carattere antropologico alla mutazione, oserei dire, genetica ad opera del sistema consumistico nell’età della globalizzazione – simile e in qualche misura alle nazioni proletarie in armi contro la demoplutocrazia internazionale. Soprattutto, mi sembra, nell’opporre alla lingua dominante – il dominio formale esercitato dalla borghesia – il gergo di Accattone e Ragazzi di vita chè, oramai, il proletariato è stato irretito dal boom economico, seicento e settimana di ferie in Riviera. Molto ed altro vi sarebbe da aggiungere, ad esempio, sulla distinzione tra ‘fascismo archeologico’ o storico e il fascismo (sic!) del presente onnivoro del capitalismo assassino).

Sono stanco, pur se non domo. Rigiro tra le dita la cartolina di Daniele. A lato, fondo del murales, la scritta ‘La parola insegna, l’esempio guida’. Allora poche righe prima di congedarmi. Bir Gandula, Cirenaica, 2 febbraio 1941, partito volontario in quella guerra che fu, giustamente, definita ‘del sangue contro l’oro’, cade sotto la raffica di uno Spitfire inglese sceso in picchiata. A trentacinque anni. E’ la medesima età del poeta Robert Brasillach, 6 febbraio 1945, di fronte al plotone d’esecuzione. Esempi.

La parola di Gramsci, la parola di Pasolini sulle quali riflettere condividere dissentire, non la loro morte. Ed io penso, ostinato, che in nome dello stile il sangue nonostante tutto sia migliore testimone dell’inchiostro…

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