New York, 5 aprile 1997. Muore il poeta Allen Ginsberg. Ha quasi settantuno anni. A causa di complicazioni per l’epatite dovuta ad un cancro al fegato. Circondato dagli amici fra cui la cantante Patti Smith che gli legge i Cantos di Ezra Pound – ne traggo nota dall’introduzione, che l’amica Susanna ha stilato per una antologia di poeti a cui la cantante americana ha trovato ispirazione. ‘Nella foresta dei simboli, la parola si fa musica e i poeti danzano tra loro, senza tempo’. Introduzione densa di valenze di echi rimandi significati. Nessuna parola si disperde; nessuna va a fondo, nel gorgo del nulla).
(Mi raccontava Barbara, la figlia di Giano Accame e moglie di Peppe Dimitri, come il padre, ormai sfinito e sconfitto dal tumore ai polmoni, negli ultimi giorni le facesse leggere i Poemi di Fresnes di Robert Brasillach – nell’edizione con mia introduzione e traduzione – oh, vanità, non intendi abbandonarmi, vedo… ‘La vita mi sfugge tra le dita… – Non è una visione fantastica, – La vita mi sfugge tra le dita, – Sento l’acqua che fugge tra le mie mani’).
(E il mio amico, fratello del sogno e di ideale complice, il guascone dal grosso naso e abile la spada, ormai prossimo alla fine avvenuta per mano vile, sferza l’aria di vani fendenti contro ‘la Menzogna… le Viltà… i Compromessi, i Pregiudizi!… eccoti anche te, Stoltezza’, consapevole d’aver persa la partita, ma ‘malgrado vostro, c’è qualche cosa… ch’io porto meco, senza piega né macchia, a Dio, – vostro malgrado… Ed è… Il pennacchio mio!’).
Inutile il verso inane la parola minuscoli sono i segni lasciati sulla carta così simili alle zampette di formiche laboriose e disprezzate, tutto questo andrà scomparendo e si renderà in cenere come i giardini pensili di Babilonia o le vestigia di Palmira sotto la furia della dinamite. Eppure – nel Canto CXVI, con annotazione dello stesso Pound ‘qui potrebbe finire’ – un invito a sperare, comunque e nonostante tutto, a guardare là dove verrà il risorgere del giorno, in noi, ‘Una sottile luce, come lampo di luce – per guidarci di nuovo allo splendore’. Non è un incendio, certo, ma nella notte basta il fievole chiarore d’una fiammella a indicare il cammino al viandante…
Nietzsche appone a mo’ di prefazione una citazione tratta dal Rigveda ‘Vi sono tante aurore che ancora devono risplendere’, da Aurora (1881) con il sottotitolo ‘pensieri sui pregiudizi morali’ – mi raccontava Luciano, medico ormai affermato, come s’era preso, negli anni Settanta, un anno sabatico per specializzarsi, non ricordo in cosa, soprattutto per defilarsi dopo che un sindacalista della CGIL lo aveva pubblicamente accusato d’essere prossimo alle BR avendo plaudito incauto al rapimento Moro. A Pavia, alloggiando in una pensioncina dal nome Aurora. E, percorrendo la strada che lo conduceva all’università, nella vetrina di una libreria aveva visto esposto proprio Aurora di Nietzsche. Incuriosito dal titolo, dall’assonanza con il luogo del suo ‘esilio’, l’aveva comprato e, abbandonate le letture di Marx e derivati mefitici e sciatti, s’era ‘convertito’ al padre di Zarathustra e a Martin Heidegger (fu questo il motivo che ci portò a stringere amicizia per qualche anno, a L’Aquila).
La parola la sua latente potenza dono pericoloso e salvifico – ‘Curiosità! Curiosità!’, a Pier Paolo Pasolini, che gli chiedeva di mandare un messaggio ai giovani che, davanti al televisore, lo ascoltavano per la prima volta, rispose Ezra Pound ormai avvinto dal ‘Tempus tacendi’… – E Patti Smith, rendendo omaggio all’amico William Burrougghs, in § PS/ Alm 23Revisited ‘La parola è suo pastore – nulla gli mancherà – apre le ali come l’aquila – sulla verde collina’. Per la poesia e la strada (ove nascono i sogni per Céline) la notte e i manifesti e la spranga i libri a pila sul tavolino con Evola e Drieu la Rochelle e il fratello mio più caro, Robert Brasillach – senza tradire Emilio Salgari, ‘Il Corsaro Nero piange’ e ‘La Tigre non è morta’; senza abbandonare, d’allora, Cyrano e Don Chisciotte e L’ultimo dei Mohicani -, per tutti loro, io…
Del Movimento Beat mi imbatto in un articolo sulla rivista di Ordine Nuovo. Non ho memoria chi l’avesse firmato. Certo sotto l’influenza di Cavalcare la tigre di Evola. E veniva citata Fernanda Pivano, che riconosceva come cercassero Dio nella tromba di un sassofono o nell’ago di una siringa – un dio nell’età del nichilismo dopo che l’altro ‘Dio è morto’, come aveva denunciato ‘l’uomo folle’ ne La gaia scienza… (E Susanna le rende il merito ‘sarà Fernanda Pivano, loro squisita estimatrice, a far attraversare l’Oceano alle loro parole per portarle in Italia’). A questa ricerca, forse folle e certo disperata, mai però banale o insincera, si associa Patti Smith che pretende ‘essere santa in qualsiasi forma’ – come scrive Pier Paolo Pasolini in Saluto e augurio, credo, ultima sua poesia in lingua friulana e ultima sua in assoluto (1974) ‘… dì – di non essere borghese, ma un santo – o un soldato: un santo senza ignoranza, – un soldato senza violenza. – Porta con mani di santo o soldato – l’intimità col Re, Destra divina – che è dentro di noi, nel sonno’.
E mi ritorna in mente una sera, eravamo nei pressi dell’università, in direzione Casa dello Studente, all’angolo di via Cesare de Lollis, un secchio di escrementi che sfiorò la spalla di Pasolini e poi la fuga, inseguiti, a infognarci nelle stradine di San Lorenzo. Un suicidio. La gente del quartiere ci avrebbe linciato se avesse solo sentito gridarci contro ‘al fascista! Al fascista!’. E il poeta, il regista, il più grande del Novecento per i poeti gli scrittori della Beat Generation, che ci correva dietro con il codazzo di amici e compagni, urlava ‘al ladro! Al ladro!’… Contraddizione sua – o memoria di Guido, il fratello assassinato alla malga Porzus dai partigiani comunisti al servizio di Tito – e la contraddizione, la nostra, prigionieri di pregiudizi borghesi al servizio di una destra imbecille e vile… Ancora: la parola, l’urlo, pericolosa e salvifica.
‘…E perché mi lamento di questo linguaggio – ufficiale della protesta che la classe operaia attraverso – i suoi ideologi (borghesi) mi fornisce? Perché è un – linguaggio che non prescinde mai dall’idea del potere, – ed è quindi sempre pratico e razionale. Ma la Pratica e – la Ragione non sono le stesse divinità che hanno reso – Pazzi e Idioti i nostri padri borghesi? Povero Wagner – e povero Nietzsche! La colpa se la sono presa tutta loro. – E non parliamo poi di Pound!’ (Poesia che si apre con ‘Caro, Angelico Ginsberg’ su linguaggio e rivoluzione e potere).
Troppe le bandiere, simili a stracci di seta, e troppi valori idee a mascherare inganni illusioni viltà e tradimenti… Quando ci strappammo dal volto tanta miopia? Quando, strappata la benda, furono le orbite vuote e il brulicare di vermi ad apparire? Qui ed oltre, in una sorta di terra di nessuno, scoprimmo quel ‘nostro’ Fascismo, libertario forse, certamente ‘immenso e rosso’…
E Jack Kerouac, On the road, scritto su rotolo di carta per telescrivente e consegnato a Ferlinguetti, nella piccola libreria ove alla parete campeggia incorniciata fotografia di Pound giovane – su quella strada formammo il passo lo zaino l’autostop percorsi lungo l’Europa (la ‘nostra’, quella delle cattedrali gotiche e di Berlino, aprile 1945) le ragazze la birra qualche canna innocente. (Rivolta generazionale fino a quel giorno di dicembre, morte dell’innocenza, e il passo fu marcia orgogliosa, nonostante tutto e comunque, tra sbarre e chiavistelli). Anche se amo in primis I vagabondi del Dharma. Contro coloro che, i borghesi, ‘ prigionieri di un sistema di lavora, produci, consuma, lavora, produci, consuma…’. E la montagna, simbolo ascetico di realizzazione ( come dimenticare il solstizio d’inverno, fra i monti Lepini?), linguaggio muto del corpo. Infine Patti Smith si rivolge al santo per eccellenza, poverissimo umile e visto eretico da quelle gerarchie dell’oro e della porpora a cui la natura si rende muta… ‘Le nuvole di Sanremo, – fazzoletti, brandelli di polpa – appallottolati nelle guance – e sputati nel cielo – carne e porpora e oro – come gobbe ammaccate – di meravigliose balene – e sotto – in piedi Francesco d’Assisi – immobile – muto e dolce’.
Nella fraschetta, bicchieri di vino e tagli di pizza e olive piccanti, Susanna mi fa dono del libro, tra Rimbaud e appunto San Francesco, un dono – come ci ricordava Léon Degrelle in Feldpost essere questo donarsi la misura più alta. Un buon dono. Da una buona amica…
E, sempre, la parola, pericolosa e salvifica, a vincere il tempo travalicare i confini e chiedere d’essere ancora uomini in cammino, esseri contro.