I pochi amici che ancora ci sopportano – tutti assai agguerriti e resistenti al coronavirus – ci chiedono di immaginare che mondo nascerà dalle rovine di quello che (forse) sta crollando. Pessimo, straziante esercizio quello del profeta, specie se ci si azzecca, inascoltate Cassandre di lungo corso, detestate dai pifferai magici e dagli ottimisti del mulino bianco. Possiamo provarci, in umiltà e sperando con tutta l’anima di avere torto. La nostra convinzione è che al sistema di potere stia riuscendo una sopraffina operazione di ingegneria sociale e psicologica, consistente in un perfetto, scientifico taglio orizzontale della piramide di Maslow. In parole semplici, sono riusciti a riportarci alla condizione elementare, regressiva di formiche senz’anima, interessate solo ai bisogni di sopravvivenza e sicurezza.
Partiamo da una constatazione elementare: davanti a un edificio ridotto a macerie, si possono fare due cose: sgomberare i detriti o utilizzarli per costruire una nuova casa. Se la nostra civilizzazione decidesse di seppellire le sue stesse macerie, opterebbe, ovviamente, per abolire e aborrire le forme di vita che hanno portato alla bancarotta umana, civile e morale di cui siamo spettatori e che il coronavirus non ha fatto altro che accelerare. Se decidesse di costruire una nuova casa, dovrebbe prescindere dai piani dell’architetto che la progettò e dai calcoli e disegni degli ingegneri che l’hanno realizzata.
Alcuni pensano, dinanzi alle misure disciplinari di confinamento assai simili alla reclusione, decretate – per via amministrativa! – dal governo, che ci avviamo verso una dittatura comunista di nuova generazione. Tuttavia, il comunismo – come il capitalismo di ieri – è una fase superata della dialettica hegeliana, anche nelle aree in cui teoricamente è ancora vigente – anzi, soprattutto lì – come dimostra l’esempio cinese, dove il comunismo è solo un ingrediente in più di un piatto che atterrisce. La nuova tirannia che non si sta affatto tramando nell’ombra – nessun complotto, è tutto assai chiaro – è interessata a uccidere più le anime che i corpi. Ne fu profeta un politico e intellettuale del XIX secolo, Juan Donoso Cortés, in una riflessione che insieme spaventa e chiarisce: “nel mondo antico, la tirannia fu feroce e devastatrice, eppure quella tirannia era fisicamente limitata, poiché gli Stati erano piccoli e le relazioni universali impossibili. Oggi, è preparata la via per un tiranno gigantesco, colossale, universale, immenso. Non ci sono già più resistenze, né fisiche, né morali, perché tutti gli animi sono divisi e tutti i patriottismi sono morti”. Alla tirannia che viene non mancano che pochi tasselli, probabilmente forniti proprio dall’emergenza sanitaria presente.
Questa gigantesca tirannia fonderà ancor più comunismo e capitalismo in un intimo amalgama, poiché entrambi, come afferma un osservatore come Lorenzo Castellani, coincidono in un “nucleo mistico”, un messianismo “tecnolatrico e antropolatrico”. Sbaglia, a nostro avviso, a definire il presente “tecnopopulismo”, giacché è piuttosto un progressismo iper tecnologico largamente condiviso dalle due metà del cerchio, destra e sinistra di sistema. Questa velenosa, soffocante sintesi di comunismo e capitalismo è ciò a cui lavorano senza posa i nostri governanti e la classe dirigente quasi per intero. L’obiettivo non è, come immagina l’anticomunista ottuso, espropriare, ma piuttosto far sparire la piccola e media proprietà diffusa, la libera iniziativa personale, il che non distrugge solo milioni di posti di lavoro, ma l’intero impianto della società come l’abbiamo conosciuta e costruita durante secoli.
Apparirà, già avanza come un sollecito avvoltoio la plutocrazia transnazionale, che comprerà a prezzi di saldo, cioè di strozzinaggio – beni e attività dei piccoli proprietari, dei lavoratori autonomi, della piccola e media impresa. Ai lavoratori disoccupati – dipendenti e autonomi – offrirà graziosamente estenuanti occupazioni di fattorini, distributori di cibo spazzatura (guardate nelle strade della città il colore della pelle dei nuovi schiavi con cui ci mettono in concorrenza) magazzinieri e addetti alla confezione e impacchettamento a cottimo di prodotti di Amazon, e altre delizie sottopagate. In questi mesi, i giganti tecnologici e informatici sono gli unici ad aver aumentato potere e volume d’affari.
Nel frattempo, la plutocrazia (se non vi piace la definizione, datata, un po’ retrò, chiamiamoli padroni universali, è lo stesso) i governanti e i loro pifferai mediatici e culturali possono facilmente sviluppare la demagogica retorica para comunista, distribuendo elemosina ( il reddito di cittadinanza, gli spiccioli una tantum a centinaia di migliaia di piccole imprese devastate) insieme a nuovi “diritti” nella sfera pulsionale e soggettiva, a masse ridotte a zombi parassiti, facendo loro credere di essere giustizieri intenti a correggere le disuguaglianze, quando sono burattini al servizio dei bulimici padroni universali che saccheggiano le classi medie in declino sino a sterminarle definitivamente. La plutocrazia bulimica non rinuncerà alle parole d’ordine del suo catechismo economico – crescita economica infinita in un mondo finito, elefantiasi finanziaria, mondialismo – ed antropologico, esaltazione di una nuova religione capovolta che, mentre esalta vizi e bassi istinti, proibisce la fecondità.
Indubbiamente, dopo l’ecatombe del coronavirus (e il riuscito esperimento psico-sociale connesso, tra terrore e docilità agli ordini “superiori”) i governi fantoccio dovranno mantenere certe limitazioni nei sogni visionari della “società aperta” che ha aperto le porte a ogni follia, virus compresi, per facilitare la mobilità di massa e la circolazione dei capitali. Saranno modifiche cosmetiche, giusto per tranquillizzare il popolaccio, facili da aggirare. Adesso sanno di poter contare su masse obbedienti, ancora più gregarie dopo e a causa del lungo confinamento, dipendenti più di prima da occupazioni infime e elemosine pubbliche. L’obiettivo comune di questi governanti burattini e dei loro padroni, la plutocrazia “oneworlder”, partigiana di un mondo unificato sotto di loro, è uno Stato mondiale ateo, o caratterizzato da un mercato religioso fai da te, che si imporrà senza troppo rumore, con la stessa discrezione con cui durante la crisi gli agonizzanti sono stati privati dei sacramenti e i loro cadaveri inviati in gran fretta al forno crematorio.
Più o meno, questo ci aspetta, se non ci impegniamo a seppellire le rovine di questo mondo. Se desideriamo iniziare la costruzione di una nuova casa con i resti della vecchia, dobbiamo iniziare rinnegando il globalismo e tutte le ragioni economiche, culturali e umane che ha generato. Bisogna recuperare il vincolo tra territorio e comunità, tornare ai fondamentali di sempre: Dio, Patria, famiglia, lavoro, giustizia sociale, libertà concrete, quotidiane. Ripetiamo: non si può permettere che la nuova casa sia costruita da chi ha creato solo rovine. Nei prossimi anni assisteremo a un penoso spettacolo in cui tutti i lacchè del globalismo neoliberista, la sinistra dei cagnolini libertari scodinzolanti e la destra legge e ordine, nasconderanno la loro comune anima mondialista, “oneworlder”, dietro la grancassa menzognera del ritorno alla casa comune dello Stato nazionale.
La piaga del coronavirus ha mostrato a chiunque abbia occhi per vedere le conseguenze delle prodezze della sinistra e della destra obbedienti al comando del capitale universale e formate al suo divino insegnamento: riconversioni e delocalizzazioni industriali, smantellamento dell’agricoltura e dell’allevamento, dipendenza da materie prime remote, consegna della sovranità finanziaria, economica, energetica, monetaria, tecnologica a un pugno di giganti oligarchici. Assicurano mano sul cuore che si chiama democrazia. Ora che temono ribellioni e rivolte, ostentano pentimento per farci abboccare un’altra volta all’amo che tendono. Così, mentre si lanciano anatemi reciproci ed antichi ad uso delle opposte tifoserie (comunista! fascista!), dietro proclami apparentemente opposti torneranno a venderci la paccottiglia di sempre, che, al dunque, altro non è che la consegna della ricchezza nazionale alla plutocrazia globalista nonché il l’estensione della degenerazione morale dei popoli, ormai inutili per qualsiasi impresa vitale, sempre più estenuati, sottomessi, incapaci di porsi obiettivi, formare famiglie e lottare per la loro dignità di uomini e lavoratori.
Qualunque sforzo ricostruttore dovrà gettare nella spazzatura della storia la vecchia sinistra e la vecchia destra, testimoni inutili del passato, gli stessi cani con diverso collare e uguale guinzaglio, finti litiganti per tenere le masse stordite e provocare tra esse antagonismi pavloviani. Allo sforzo di ricostruzione devono partecipare persone di ogni orientamento disponibili a rompere con le appartenenze che hanno fallito, con le idee che hanno favorito la confusione antropologica, con l’alibi della liberazione, della guerra tra i sessi e tra i servi, con tutto ciò che ci ha allontanato dalla comunità di appartenenza, dalla nostra gente, dal rispetto per le leggi della natura. Infine, basta con l’individualismo egoista e il cosmopolitismo inane che abbatte le frontiere e devasta le risorse naturali attraverso l’esaltazione della tecnologia, del commercio elettronico, del mito del progresso misurato in ben-avere.
La nuova casa, se davvero qualcuno ne edificherà le fondamenta, dovrà essere costruita su una ragionevole autosufficienza, che garantisca, dinanzi a una nuova catastrofe, la sicurezza di chi ci abita, promuovendo un’economia “nazionale”, con un’industria e un’agricoltura di prossimità che rifornisca dei prodotti di base e neghi i capricci consumistici di società decadenti. Affinché ciò sia possibile, occorre conseguire un’indipendenza economica e finanziaria che permettano l’autentica indipendenza politica, sciogliere i legami globalisti che, con l’alibi dell’europeismo, ci hanno trasformato in colonia. Un’autarchia di base che non deve significare isolamento, ma promuovere alleanze politiche ed economiche sostenute da criteri nuovi, rispettosi delle particolarità e finanche delle idiosincrasie di ciascun popolo, teso a difendere la sua tradizione culturale e religiosa. Non dobbiamo credere a un Dio per decreto, ma riconoscerci in un’identità civilizzatrice alleata in sincera amicizia con altre identità: un fronte articolato inter-nazionale.
Non siamo illusi, ci rendiamo conto che le possibilità che avanzi questa ricostruzione sono scarse. L’Apocalisse di San Giovanni insegna che, dopo aver sofferto una tragedia comune, gli uomini, anziché imparare dagli errori commessi, tendono a ripeterli, talora con maggiore lena. E mai, probabilmente, c’è stata nella storia una generazione più avvelenata dall’assenzio della degenerazione morale e dagli antagonismi aizzati dai lacchè di destra e di sinistra, promotori delle liti da cortile funzionali agli interessi del globalismo. Infine, non andremo da nessuna parte se non torneremo a guardare in alto, ambire a “linee di vetta” di un’umanità non ridotta a tubi digerenti, istinti, desideri e capricci.
In pochi anni, con un prepotente accelerazione negli ultimi mesi, il potere è riuscito a modificare la scala dei bisogni umani. In psicologia, il bisogno è la percezione della mancanza parziale o totale di uno o più elementi che definiscono il nostro star bene. Abraham Maslow individuò una gerarchia di bisogni e necessità divisa in cinque, poi in sette differenti livelli, disposti su una piramide alla base della quale stanno i più elementari, legati alla sopravvivenza biologica, quindi quelli relativi alla sicurezza, sino ai bisogni di appartenenza, identificazione, stima, successo, autorealizzazione e, al vertice, i bisogni etico-spirituali, quelli che fanno di un agglomerato di uomini una civiltà. La piramide è stata amputata orizzontalmente, compressa verso il basso.
Attraverso la diffusione della paura, la costruzione di uno sconcertante individualismo di gregge – un altro ossimoro postmoderno – hanno segato la piramide. La nuova scala di Maslow non va oltre il secondo gradino, una regressione assai gradita al potere che ha avuto la capacità di determinarla. Ricostruire una casa vivibile per un’umanità degna di se stessa significa anche restituire alla piramide di Maslow i suoi vertici: bisogni, obiettivi, pensieri e ambizioni che puntano in alto e guardano “oltre”. In caso contrario, i detriti tra i quali ci aggiriamo non serviranno ad altro se non a costruire funzionali stalle per un’umanità zoologica ridotta alla triade produci, consuma, crepa. A debita distanza gli uni dagli altri, con mascherina, guanti, disinfettante e impianto corporeo di apparati a radio frequenza. Se sei vecchio, ammalato, inutile, contagiato, kaputt.
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