7 Ottobre 2024
Appunti di Storia

La politicità della Decima Mas

 

Pietro Cappellari

(“L’Ultima Crociata”, a. LXXIV, n. 1, Gennaio 2024)


 

Da molti anni si sente sempre più spesso dire, anche tra studiosi liberi da certi condizionamenti, che la Decima MAS della RSI “non era fascista”. Una vera e propria litania che ci accompagna almeno dal 1995, da quando le “acque di Fiuggi” lavarono la coscienza a molti di coloro che, fino ad allora, si erano aggirati tra nugoli di camicie nere e labari missini.

Fermo restando che l’adesione alla RSI fu un’adesione ad uno Stato fascista e che la Decima, dopo aver giurato fedeltà ad Hitler e al Reich, prestò regolare giuramento alla Repubblica Sociale Italiana, ricevendo da essa anche tutti i finanziamenti previsti per le Forze Armate Repubblicane, sembra assurdo pensare che, in quella che era divenuta una vera e propria “guerra di religione” tra Stati antifascisti e Stati fascisti, qualcuno si sia messo a fare una guerra personale, avulsa dai valori di fondo che muovevano gli eserciti e le Nazioni sul campo. Con questo non vogliamo assolutamente dire che la Decima MAS fosse un’unità di partito o che facesse politica nel senso proprio del termine, come non vogliamo nemmeno sottacere le diverse visioni ideali che portarono tanti ragazzi a scegliere di militare nella mitica unità del Comandante Borghese come in tante altre formazioni della Repubblica Sociale Italiana.

Il problema – che non è solo della Decima, ma che riguarda tutti i reparti armati della RSI – è che si è fatta una profonda confusione tra “apartiticità” e “apoliticità”. Ora, è ovvio che gli uomini di Borghese non avessero alcuna dipendenza dal Partito Fascista Repubblicano, come è altrettanto ovvio che rispondessero, all’atto della loro scelta, al richiamo di una Weltanschauung chiaramente fascista.

La Decima MAS era un’unità apartitica non certo apolitica. E non poteva essere apolitica. La sua amplissima autonomia non fu una sua esclusiva specificità che ne fece un reparto “straordinario” della RSI, ma una situazione tipica di quel periodo “repubblicano”, nel senso che «ognuno faceva quel che gli pareva», come ripeteva spesso l’Ing. Arturo Conti Presidente della Fondazione della RSI – Istituto Storico. Si pensi, ad esempio, al caso della Legione Autonoma Mobile “Ettore Muti”, molto più autonoma degli uomini di Borghese… e molto più fascista.

Dobbiamo inoltre segnalare che proprio la comparsa dei primi Marò della Decima MAS per le città d’Italia provocò scontri e polemiche. Infatti, non si contarono i borghesi malmenati dagli uomini della Xa perché se ne stavano tranquillamente a bivaccare nei caffè invece di servire la Patria. Violenze che riguardarono anche i militari della RSI, come quelli appartenenti alla Polizia, colpevoli di non aver ancora sostituito le stellette con il gladio romano e per questo considerati badogliani.

La questione dell’apoliticità della Decima, sulla quale abbiamo già ampiamente discusso nel nostro La Guardia della Rivoluzione (Herald Editore, Roma 2013, vol. I, pagg. 164-175), al quale rimandiamo il lettore interessato, venne stroncata già nel 1998 da Enzo Erra con parole incontestabili: “Aderire alla RSI significava compiere una scelta di campo. Scelta che aveva un alto contenuto politico nel senso più nobile del termine, perché dall’esito dello scontro dipendevano l’equilibrio e i rapporti di forza e di supremazia tra gli Stati […]. Nella RSI si poteva essere “apartitici” ma non “apolitici”. Anche la Decima, nel senso superiore come si è detto, non lo era. E non lo era Borghese, che fece in piena coscienza la sua scelta di campo, e la mantenne dopo la guerra, con estrema, lucidissima coerenza nel MSI e fuori” (E. Erra, Non si rispetta la X Mas negando che fosse fascista, “Il Giornale”, 29 Gennaio 1998).

Chiarita nuovamente la questione, vorremmo spingerci oltre per comprendere l’atteggiamento politico che i giornali ufficiali della Decima MAS sposarono. Un atteggiamento chiarissimo, ispirato prima di tutto all’amor di Patria, alla necessità del combattimento per l’Onore d’Italia, ma anche da tematiche non propriamente militari, tra cui fece capolino anche l’antisemitismo.

È necessario fare delle precisazioni, facendo nostro quanto a loro tempo hanno scritto De Felice, Mosse e Poliakov sul razzismo fascista, cui ci permettiamo di aggiungere gli studi di Alberto B. Mariantoni (La memoria della realtà, Aracne, 2013) e di Flavio Costantino (Razzismo e fascismo, Solfanelli, 2017-2023, 2 voll.).

L’antisemitismo fascista, fu un “accidente” della politica mussoliniana – ci si perdoni il termine che meriterebbe un approfondimento – che prese a svilupparsi solo nel 1937, nel contesto della lotta antiborghese, dell’espansione imperiale italiana e della costruzione di uno Stato totalitario. Non era mai stato, fino ad allora, un caposaldo della dottrina fascista, tanto e la campagna giornalistica nata in quei mesi su questa tematica si affievolì ben presto, concentrandosi su ben altre urgenti ed importanti tematiche che si profilavano all’orizzonte. L’approfondimento culturale non vi fu, se non in alcuni casi, limitandosi per lo più a recuperare tematiche classiche dell’antigiudaismo ufficiale della Chiesa cattolica, sommandole tutt’al più ad un antiscientifico antiebraismo biologico di marca tedesca.

In Italia, dove gli individui genericamente riconducibili all’ebraismo erano pari allo 0,01% della popolazione italiana, non esisteva e non poteva esistere un “problema ebraico”.

Questo non vuol dire che un antisemitismo, più condito da pregiudizi cattolici che da analisi geopolitiche o biologiche, non fosse diffuso tra gli Italiani. Ma qui il fascismo c’entra marginalmente, quanto più importante sarebbe parlare di cultura italiana in generale.

Anche i giornali della RSI sposarono questo “antisemitismo dei pregiudizi”, che non si tradusse in persecuzione generalizzata e spietata. A quella, ci pensarono i Germanici che stanziavano sul nostro territorio e che sempre più spesso si comportavano più da occupanti che da alleati, magari con la collaborazione estemporanea di qualche unità di polizia della RSI.

Anche la Decima MAS, che oggi è dipinta come un’unità afascista, non fu immune all’antisemitismo, come sembrerebbe dimostrare un articolo comparso su “Xa per l’Onore”, il giornale diffuso dall’Ufficio Stampa e Propaganda dell’unità di Borghese, all’atto della partenza per il fronte di Nettunia del Battaglione “Barbarigo”. All’interno di un variegato articolo non firmato comparso in prima pagina si poteva leggere:

Da quando, dopo molte prove, il Regime fascista si è visto costretto ad appartare tutti i semiti, questi si sono mutati in agnellini od in bimbi piagnucoloni.

Però, il lupo perde il pelo ma non il vizio, e così, che cosa capita?

Se si scopre un tentativo di contrabbando di valuta, si vede spuntare l’ebreo; se si scoprono delle cellule antifasciste, si apprende che a capo v’è un ebreo; se in un agguato viene uccisa qualche Autorità, si sa che l’uccisore è un ebreo.

Basterebbero questi episodi recentissimi per dimostrare la viltà (parliamo soprattutto di viltà perché il giudeo di massima non è il sicario, ma l’organizzatore degli attentati, degli omicidi, dei tentativi di sabotaggio), e la differenza di razza tra i giudei e noi” (Ritmi, “Xa per l’Onore”, a. I, n. 1, 20 Febbraio 1944-XXII).

Il giornale, oltretutto, era “condito” in seconda pagina con la riproduzione di una volgare vignetta antisemita ripresa da altre fonti e che da tempo girava sui giornali italiani.

Con ciò non vogliamo certamente affermare che la Decima MAS perseguì una politica antisemita, ci mancherebbe altro, vogliamo solo evidenziare che gli uomini di Borghese, anche nella loro autonomia, fecero sempre parte di un mondo politico chiaro e determinato e che il termine di apoliticità, affibbiato loro, non regge ad una analisi dei documenti.

Per concludere questo breve approfondimento su un aspetto poco noto – ed anche marginale – della storia della Decima MAS, ricordiamo che all’interno della stessa furono arruolati anche Italiani di origini ebraiche e lo stesso Junio Valerio Borghese ebbe a dire in un’intervista a Giampaolo Pansa:

«La politica antiebraica era stata decisa da Mussolini sin dal 1938. Nel vertice repubblicano non mancavano i razzisti. E non esisteva soltanto Giovanni Preziosi, che il 26 Aprile 1945, a Milano, si gettò con la moglie dal quinto piano per il terrore di essere catturato da qualche partigiano ebreo… Quel che accadde, a partire dalla razzia nel ghetto di Roma nell’Ottobre 1943, resta una macchia indelebile, ma la Xa MAS non ha mai partecipato alla cattura degli israeliti. Può esserci stato qualche caso singolo e isolato. Però i miei ordini erano espliciti: dovevamo comportarci da militari e non da poliziotti antisemiti. era impossibile opporci alle decisioni tedesche, per ovvi rapporti di forza. Ma la campagna antiebraica è un orrore che non può esserci imputato» (G. Pansa, La destra siamo noi, Rizzoli, Milano 2015, pagg. 159-160).

 

Pietro Cappellari

(“L’Ultima Crociata”, a. LXXIV, n. 1, Gennaio 2024)

 

Marò del Battaglione “Fulmine” della Decima MAS ritratto nel 1944.
Si noti sul petto della giacca il distintivo del Partito Fascista Repubblicano.
(“Uniformi”, n. 25, Maggio-Giugno 2018)

2 Comments

  • Giacomo 25 Agosto 2024

    Grazie per l’informazione

  • Fabio 26 Agosto 2024

    Mah, articolo che sembra scritto dai pennivendoli del regime mondialista, in pratica una supercazzola che dice o non dice. La X Mas è stata un’unità di élite di volontari motivati ideologicamente, ovviamente anticomunisti ma anche contro le plutocrazie anglosassoni (a parte il tentativo di alleanza per bloccare i titini in Istria)
    I marò, molti giovanissimi e tanti poco istruiti, mettevano a disposizione il meglio della loro gioventù: la vita, l’ardimento, la fedeltà alla causa e al proprio “Duce” che non era Mussolini ma Junio Valerio Borghese. A differenza delle mezzeseghe odierne, quei ragazzi non facevano ragionamenti complessi o mettevano continuamente in discussione le proprie convinzioni, opinioni o azioni, per comprendere se e quanto siano valide o corrette si ma limitavano a mettere in pratica il famoso motto “Credere, Obbedire e Combattere”. La X era più una compagnia di ventura di stampo rinascimentale e Junio era il loro condottiero, nel bene e nel male.

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