6 Ottobre 2024
Ezra Pound

La poltrona di Ezra Pound e i masegni di Venezia – Renato Padoan

Di case ne ho abitate più d’una e ne ho viste ancora più d’una.

Ne ho viste di belle, meno belle e più belle.

Può esserci però in Venezia una casa più bella di un’altra per dentro soprattutto, più che per fuori?

Si può dubitare di certo perché ciascuna casa di Venezia, in Venezia ha finestre, poche o tante che siano, che s’aprono inevitabilmente su Venezia ed è ciò che rende qualsiasi casa inimitabile e preziosa. Anche quell’antro che ho abitato per un anno in una calle tetra e oscura aveva finestre inferriate che si aprivano da dentro su di un muro scrostato, ma quel muro scrostato era un unicum grondante di storia che in nessun altro dove di città avrebbe potuto trovarsi se non in quello.

Venezia è tutta così unica e frantumata, tenuta insieme dall’acqua e da un umidore che persiste col freddo e col caldo egualmente, trattenendo chissà quanti passi e voci estinte.

Poi dentro di una casa veneziana poi c’è quasi sempre la mobilia e ci sono gli arredi ed il gusto delle persone che diventa superiore alla media per osmosi del passato.

Una delle case più più belle che abbia mai visitato è quella dell’amico pittore, che fu già lo studio di un altro singolare pittore, definito approssimativamente come un manierista, di un gusto aereo un po’ tetro e sospeso.

Fu poi anche dimora di un antesignano poeta sensibile del cinema veneziano.

Ora è lo studio e l’abitazione dell’amico.

Vi si trova dentro di tutto dai ninnoli più astrusi come rettili di gomma immersi in provette cilindrico ospedaliere, un gatto rosso ritagliato gigante insieme a tutta l’attrezzeria di un cultore di smalti e vernici. Per una scaletta si accede a un’altana che spazia sui tetti di Venezia che sono un mare di cotto da cui spuntano vette di campanili innumeri e diversi, altre altane e guglie di palazzi senza che nessuna prospettiva diriga il tutto nell’imposizione di un ordine tranne un sole al tramonto.

Venezia è veramente un connubio di caso e ragione, la ricetta migliore per essere artisti e uomini di mondo.

Nella casa dell’amico non si può non notare una sedia poltrona, semplicissima di fattura quasi rudimentale ma comoda, dal sedile di paglia pitturata di nero.

In quella sedia si sedette Ezra Pound ed è certo che rimirasse e conversasse lui più giovane con l’amico Favai.

In quella sedia ancora si sedette un giorno il nostro comune Maestro e quel che ora racconto succedette quel giorno, che non importa sapere quale fosse, perché quel che conta è il resoconto dell’amico pittore che è ora il proprietario di questa ineguagliabile dimora e la mia stesura  aneddotica diverrà così più importante del tutto.

 

Non può esserci veramente intelligenza se non è scherzosa.

Ciò è imprescindibile per un autentico veneziano. La si può anche chiamare prendersi per il culo. Chi se ne risente non può far parte della comunità. Lo scherzo se è tale è sempre serio. Uno scherzo che si pretenda innocuo non vale nulla.

Il Maestro era sicuramente in vena di scherzare quel giorno e l’amico di recepirlo, se ha potuto raccontarmi a distanza di anni l’accadimento con un piacere autentico, scevro da qualsiasi sentimento che non fosse il rispetto e il piacere di condividere infine il giudizio.

 

L’amico pittore era intento a rifinire e a completare un suo quadro.

La sua arte non era come quella del Maestro per scelta di genere o tendenza ma era pur sempre arte, nel senso che doveva condividere i principi di ogni opera d’arte che si voglia tale: in primis la fattura poetica, cioè la libertà del sensibile governato dal tempo dell’ideazione con quello della realizzazione.

L’amico si allontanò dall’opera che stava finendo e chiese al Maestro, seduto su quella famigerata poltrona, che cosa ne pensasse.

Il Maestro si tacque, si alzò e in silenzio  si avvicinò al quadro. Afferrò davvicino una cornice vuota che stava accanto al cavalletto. Prese la cornice vuota e l’adagiò sul pavimento di legno vicino e davanti al cavalletto.

Prese una certa distanza riavvicinandosi all’amico intento e sorpreso , osservò con lui le macchie che c’erano sul pavimento dentro la cornice e ch’erano gli spruzzi e gli schizzi gocciati e rimasti del suo operare sulla tela coi pennelli e disse all’amico:

Guarda quanta più vita c’è in questo quadro che non nel tuo!”.

 

A questo aneddoto ne voglio aggiungere un altro, testimonianza più che credibile dell’amico che si compiacque raccontarmelo.

Venezia è stata più recentemente lastricata ovunque nelle calli, nei campielli e nei campi di una pietra grigia e liscia variamente disposta sia nell’orizzontale che nel verticale, riquadrata in rettangoli diversamente proporzionati dove un tempo doveva prevalere la terra battuta compressa e delimitata da spine di mattoni. Si chiamano masegni questa pavimentazione che con la pioggia sembrano quasi di un appena viscido cilestrino a riflettere qua e là per lo scompenso del piano la stessa pioggia che cade e rimbalza scorrendo. Se ci si muove passeggiando di notte in questo continuo riflesso di lampioni non ci si può non arrestare per un momento a contemplare la variegatura interna fluente e delimitata di questo pietrame geometricamente disposto …

 

Accadde quel giorno quel che continua ad accadere con la pioggia a un viandante qualsiasi che di notte proceda per le calli di Venezia accompagnato soltanto dal rumore della pioggia e dei suoi passi con lo sguardo fisso su quei masegni sospesi sotto il suo incedere lustrale.

Il maestro si fermò come attonito e disse all’amico:

… Vedi se la gente sapesse osservare a fondo come quest’acqua di pioggia può lisciare l’anima selciata di quelle pietre deposte che sono gli indicibili masegni di Venezia … non si muoverebbe più da qui, incollata per sempre alla pietra.

Mario de Luigi  (Italian, 1908–1978)  Senza titolo 1957

Ogni volta che fisso il mio sguardo su di un particolare il caso si azzera e posso raccontarmi e rivivere una storia diversa per quelle pietre accumulate da un progetto di vita, mio come il loro, non ancora estinto.

 

Renato Padoan

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