10 Novembre 2024
Filosofia

La Prova ed il Compito – Renato Padoan

Il testo allegato infine fu quello che gli portai a vedere quell’anno di corso. Il mio Maestro che aveva voluto gli succedessi nella cattedra di Scenografia lo apprezzò con l’iperbole di questo giudizio che riporto con le sue parole: “Questo testo è pieno di Dio. Lo dovrebbero adottare in Seminario!” Era sempre esagerato anche quando difronte alle mie perplessità nel sostituirlo nelle lezioni mi disse “… tanto di quel che tu dici non capiscono niente”. Non è facile per gli umani capire e trasmettere.


Il mio Maestro distingueva la Prova dal Compito.

La Prova va superata ed il Compito va eseguito o forse ancor meglio assolto. Le prove possono essere più d’una e somigliarsi come delle repliche, mentre il Compito è unico, ed è di volta in volta diverso.

Se la Prova non viene superata occorre ripeterla.

La Vita che un individuo vivente vive costituisce la Prova, ed è quella Prova che si termina, terminasi con la sua propria Morte.

Se la Prova è superata, quell’individuo non rivivrà più, per lo meno non nella forma di quel vivente in cui vissuto visse.

Superata la Prova permane però la trascendenza del Compito.

Non si può dire effettivamente quale sia il Compito che ci attende una volta che si sia superata la Prova.

Si può pensare della Morte succedanea a una Prova mancata come alla necessità di una reincarnazione ulteriore, sia in una forma superiore, che in una forma inferiore di Vita.

La mancanza del superamento della Prova si configura comunque come Ripetizione.

Non può esservi originalità in una reincarnazione vitale.

Coloro che hanno dei figli in qualche modo si sono reincarnati e hanno trasferito nei figli il perdurare della Prova, non più personale ma comunque trasferita in altre persone.

Non può esservi originalità nella trasmissione di Vita perché non è che la Vita vitalità soltanto che si trasmette. La Morte non è invece a priori trasmissibile e ci appartiene in toto.

Coloro che non hanno dei figli non si sono materialmente reincarnati per rispetto alla Prova.

La Prova non può essere che personale e non si può delegare. Non è detto pertanto che l’abbiano superata nei figli! Se non l’avessero superata rivivranno sicuramente in una qualche forma diversa e non già in quella nient’altro che umana della loro propria personale discendenza. Questa parte non personale della Prova è stata nel frattempo assunta dalla discendenza che non può pertanto esonerarli dalla Prova, cioè da una Prova ulteriore di Vita. Il tema principale è comunque quello del superamento della Prova verso la trascendenza del Compito.

Quali gli indizi del superamento della Prova? Innanzitutto lo spegnimento del desiderio di Vita, sia esso personale che trasmesso nell’inerzia della propria generazione.

Chiunque muoia sazio di Vita non rivivrà per certo per suo proprio conto.

Egli non apparterrà più alla Vita di chicchessia.

In attesa dell’assolvimento di un ulteriore Compito la sua mortalità si renderà disponibile al superamento della contraddizione come già lo fu la sua precedente vitalità.

Gli indizi in mio possesso mi fanno ritenere di aver superato la Prova.

Non vi è in me nessuna aspettativa di Vita futura.

La comprensione della Vita di cui sono partecipe mi è più che sufficiente per comprenderne il Senso anche tramite il Sesso.

Quel che della mortalità m’interessa non è tanto la mortalità quanto l’eternità della Morte.

Nessuna mia reincarnazione vitale, postuma e generativa potrebbe fare di meglio. Il prolungamento della Prova non sarebbe nient’altro che un circuitare il senso della Vita come un rincorrere la propria coda per giungere ad afferrarla.

Non serve realizzare un Compito impossibile per comprenderne l’Impossibilità a priori.

Nessun mortale è capace di generare a priori un’immortale.

I figli sono altrettanto mortali dei genitori.

La fine non serve attingerla per dimostrarla se ne è sufficiente la contemplazione.

Il superamento della Prova è la contemplazione della Vita e non già la sua prosecuzione ad oltranza.

Coloro che hanno figli dedicano alla loro reincarnazione momentanea il differimento della Prova definitiva. Anche per essi non è definito e pertanto definitivo il Compito di trascendenza ma soltanto l’onere della Prova e la necessità del passaggio, del transito da compiersi, dal momento che si sono cimentati nella prosecuzione della propria vitalità come fede, desiderio ed inerzia vitale.

Renato Padoan

(liberamente ispirato dalla redazione di ER)

Redatto il 07/02/18

Revisionato il 08/10/2024

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