8 Ottobre 2024
Politica

La Pubblicità Progresso e il piano Kalergi – Roberto Pecchioli

L’indottrinamento h.24 non conosce posa, penetra in ogni ambito, invade ovunque le nostre vite: pubblicità commerciale in dosi massicce, con il corollario di famiglie arcobaleno, quote razziali e felicità promessa a comode rate mensili; festival musicali, spettacoli cinematografici, serie televisive unidirezionali e chi più ne ha più ne metta. Da un po’ di tempo ci si è messo anche il governo (cambiano le sfumature di colore, resta l’obbedienza al Corano mondialista) con le “comunicazioni istituzionali”. Propaganda sempre più sfacciata ai modelli culturali dell’Occidente terminale. Anni fa, almeno, c’era una sorta di avvertenza, una grande P, il logo della “pubblicità progresso”.

Pompose banalità pseudo moralistiche a uso della “plebe frumentaria” tutta panem et circenses, Benedetto Croce l’avrebbe chiamata morale governativa, un pensiero banale, debole, rassicurante, ufficiale, con la fronte aggrottata, che fa sentire buoni cittadini e anime belle. In fondo, la P e la dicitura “pubblicità progresso” erano un atto di sincerità: la pubblicità è la forma di comunicazione in cui è lecito mentire. Il progresso si rivela di giorno in giorno un’impostura, creduta per l’indifferenza gregaria di masse non pensanti, credulone, dai riflessi comandati, pavloviani.

Da qualche giorno vediamo, attaccati alle pensiline presso le fermate dei mezzi pubblici, un’altra stucchevole serie di “pubblicità progresso”, sotto forma di manifesti dell’Unione Europea. Tutti all’insegna della “solidarietà”, dei “diritti”, della “diversità”, della “protezione” e soprattutto del nuovo verbo green. Il messaggio comune della campagna contiene un vero e proprio insulto all’intelligenza: l’Europa sei tu. Ci prendono per il naso e dobbiamo abbozzare, anzi credere, obbedire, combattere. A sottolineare il carattere multiculturale del paradiso con sede a Bruxelles, c’è anche una traduzione a caratteri cubitali: are you. L’Europa sono io che leggo, intimano; viene voglia di praticare l’eutanasia o rivolgersi a uno psichiatria, uno bravo, data la gravità del caso.

Ogni manifesto ha al centro una fotografia che, fino a pochi anni fa, sarebbe stata bollata come propaganda da Mulino Bianco. Giovani europei sorridenti, felici della loro diversità, inclusività, fieri dei fantastici diritti di cui godono, dell’Eden in cui vivono. Siamo in paradiso e non ce ne accorgiamo, sciocchi che non siamo altro. Uno dei cartelloni in particolare ha destato la nostra attenzione. Democrazia, diversità, protezione del clima, gli slogan offerti all’ homo europaeus in attesa del mezzo pubblico. I testimonial della foto sono un giovane uomo mulatto dai prevalenti tratti negroidi, accanto a una giovane “nativa europea” (“nativi americani” sono gli ultimi indiani delle riserve). I due tengono in braccio una bella piccina dai tratti indistinti, l’europea di domani.

Il messaggio è doppio: quello scritto riguarda il neo ambientalismo “climatico”, religione laica delle oligarchie antipopolari; l’immagine promuove il meticciato etnico e culturale, uno degli aspetti dell’ideologia “diversitaria”. Il destino è segnato da ogni punto di vista, la coincidenza con l’agenda degli Illuminati di Davos è totale. Risultato, deserto industriale, mobilità ridotta per i servi della gleba meticci, solidali, democratici, case “green” dai costi insostenibili.

L’immagine ci ha ricordato il “piano Kalergi”. Ne parliamo a mezza bocca, avvertendo che si tratta di una tesi screditata, complottista, paranoide. Così almeno dicono i benpensanti. Il progetto è nei fatti, tuttavia, e poco importa che non sia un complotto organizzato in stanze fumose da cattivi incappucciati. Si tratta della progressiva sostituzione etnica delle popolazioni europee con altre, provenienti dal sud del pianeta.  Lo teorizzò il conte Richard Coudenhove Kalergi , fondatore del movimento Paneuropa, aristocratico austriaco di madre giapponese nato a Tokyo nel 1894, scomparso nel 1972. Qualcosa deve aver contato, il nobile multietnico, poiché Paneuropa – guidata per molti anni da Otto d’Asburgo, teorico erede del defunto impero austroungarico, ebbe un ruolo di rilievo nella costruzione europea dopo la seconda guerra mondiale.

Al nome di Kalergi e a quello di Carlo Magno è intitolato un premio biennale dell’Unione Europea. Egli stesso fu il primo insignito, seguito nel tempo dalla crème del potere finanziario e politico europeo, tra cui Juncker, Merkel, Pertini, tutti premiati per il contributo a costruire “un ‘Europa unita e pacifica”. A proposito: nel 2018 il premio andò, postumo, “agli oltre 100 eroi del movimento Euromaidan (the Heavenly Hundred)”, quelli del sanguinoso colpo di Stato del 2014 a Kiev.

Le prime sovvenzioni a Kalergi, negli anni Venti del secolo passato, dopo la fine degli imperi centrali di cui era giovane dignitario, arrivarono dai casati bancari Rothschild e Warburg. L’ideologia di Kalergi consisteva nella teorizzazione di una sorta di diritto universale al comando da parte dell’élite finanziaria, definita “razza spirituale padrona”. Le dedicò un pamphlet del 1922, Adel, in tedesco aristocrazia, nobiltà, confluito nella sua opera principale, Idealismo pratico, del 1925. Un ossimoro, il primo dei mille che punteggiano il presente.

L’esaltazione della consanguineità e dell’endogamia – distillato di puro razzismo – valeva solo per le élite. Kalergi ammirava in sommo grado la mescolanza selettiva dell’oligarchia finanziaria “nata dall’unione tra i migliori elementi della nazione ebraica e quelli dell’antica nobiltà feudale da cui sorgerà l’aristocrazia del futuro”. Citazione testuale. In alto, loro, superiori per censo, ma, par di capire, anche per sangue. Di sotto, non più popoli omogenei, genti, razze, etnie distinte, ciascuna con le sue specificità, ma un nuovo popolo che deve diventare meticcio, dal carattere debole ma dallo “spirito forte”, prodotto dalla fusione tra europei e africani.

Il doppio standard di Kalergi aveva come obiettivo di restituire in forma diversa il potere alle aristocrazie che parevano sconfitte dal secolo “democratico”. Unici a possedere le caratteristiche razziali e spirituali adatte al comando, “il più alto tipo di essere umano” grazie a unioni selettive, la rinnovata “nobiltà” era destinata a regnare su genti mescolate, frutto della fusione perseguita e generalizzata, una popolazione frammentata, tendenzialmente docile, una moltitudine simile nell’aspetto agli antichi egizi. “Là dove la consanguineità e l’incrocio si incontrano sotto gli auspici favorevoli, essi creano il più alto tipo umano. La razza eurasiatica –negroide del futuro, sostituirà la pluralità dei popoli con una molteplicità di personalità”. La giustificazione iniziale – affascinante dopo le carneficine belliche del XX secolo, che Ernst Nolte chiamava “guerra civile europea” – era la pace: “quando un francese non si riconoscerà più da un tedesco, verrà meno ogni volontà bellica”.

Delirio complottista, farneticazione. Vero, se parlassimo di un isolato eccentrico; non è il caso di Kalergi, influente pioniere della neo Europa. Paranoia, se fosse l’unico ad avere espresso uguali obiettivi. Eugenio Scalfari in persona, fondatore di Repubblica, foglio d’ordini italiano del progressismo liberal transnazionale scriveva nel 2017, a proposito dei flussi migratori: “si profila come fenomeno positivo il meticciato, la tendenza alla nascita di un popolo unico. Questo è un futuro che dovrà realizzarsi entro due o tre generazioni e va effettuato politicamente dall’ Europa. E questo deve essere il compito della sinistra europea, in particolare di quella italiana.” Uguali le tesi espresse da Jorge Mario Bergoglio nelle conversazioni con lo stesso Scalfari: “ringiovanisce la nostra popolazione, favorisce l’integrazione delle razze, delle religioni, della cultura”.  L’ONU nel 2000 aveva pubblicato un documento cui indicava come soluzione “l’immigrazione sostitutiva invece di promuovere una politica di aiuti alle famiglie per favorire le nascite”.

Nessun complottista avrebbe meglio descritto i fatti. I cartelloni europoidi, dunque, sono una pietra in più della “pubblicità progresso” al programma delle élite. Non sappiamo se esiste un piano Kalergi strutturato e organizzato, ma la realtà non mente. Scalfari destinava la sinistra politica al compito, ma si sbagliava: anche in questo destra e sinistra pari sono. L’astuzia sopraffina del sistema fa sì che le normative antisociali e antipopolari siano realizzate da governi detti “di sinistra”. Primo teorico in Italia fu Gianni Agnelli, gran beneficiario della privatizzazione dei guadagni e pubblicizzazione delle perdite.

Le iniziative filo immigrazione funzionano meglio se vengono da “destra”. Prima di ogni elezione, promette a gran voce piani per favorire la natalità, blocchi navali e faccia feroce in Europa. Arrivata nella stanza dei bottoni, chiede cinquecentomila stranieri per l’agricoltura (Lollobrigida di Fdi), duecentocinquantamila ingressi annui (il “moderato” Lupi in quota CL) e un piano di entrate a lungo termine (il berlusconiano Tajani,). Nulla di strano: mancano davvero le nuove generazioni italiane, tra edonismo, consumismo, abortismo, “nuovi diritti”. Persino la Sardegna, una delle regioni più povere d’Europa, denuncia carenza di addetti nel turismo, la principale risorsa dell’isola. C’è richiesta di personale nel commercio e nella filiera logistica. Per molti motivi, il piano Kalergi è nei fatti.

L’autore di Idealismo pratico si poneva inoltre l’obiettivo di elevare il materialismo a ideologia di massa. Tra le conseguenze, insieme con l’egoismo che conduce alla volontà di non avere figli, il consumo di risorse, la fine dei valori etici permanenti, massimo ostacolo per il controllo delle masse. Poiché è il denaro l’unico valore universale, vince chi ne ha di più e addirittura lo crea; nessuna comunità lotta più per difendere, riprodurre e trasmettere se stessa e i suoi principi. Poi incombe la “pubblicità progresso “– pagata con le nostre tasse – che disarma moralmente, obbliga alla “diversità”, promuove la sostituzione della popolazione, è indifferente ai principi, ai costumi, alla persistenza dei popoli.

Ecco anche spianata la via alla ristrutturazione energetica – nonostante l’incipiente deindustrializzazione, capeggiata in Germania dalla delocalizzazione di giganti come Basf e Volkswagen – la follia alimentare per cui dobbiamo cibarci di insetti e abbandonare un’alimentazione millenaria, compreso il vino, che le etichette europoidi considerano più letale delle droghe. Da settimane circola a Genova, amministrata dal centrodestra, un’altra “pubblicità progresso “.  Se sballo non guido, è lo slogan. L’ultimo manifesto è un photoshop mosso e sgranato di un monumento cittadino, Porta Soprana. “Se la vedo così, non guido”. Nessuna campagna contro la droga, nessuna messa in guardia dai cocktail di pasticche, superalcolici, sostanze chimiche. Solo l’ invito bonario a limitare il danno delle dipendenze.

In compenso, Mamma Giorgia, con l’entusiasmo dei neofiti che ascoltano ispirati la voce del padrone, vieterà di fumare all’aria aperta. I tabagisti finiranno come i ragazzini di ieri, con la sigaretta accesa furtivamente nei gabinetti delle scuole. Cocaina, superalcolici, pastiglie e altre porcherie circolano invece liberamente. Generazioni così indebolite, a tutto penseranno fuorché ad avere figli, costruire un futuro. Vince Kalergi: ricchezza, potere, endogamia, salute, in alto. Sotto, una plebe promiscua, a taglia unica, corrosa da vizi e capricci (pardon “diritti umani”).

Fa quasi pena la bambina del manifesto “melting pot”. In che mondo l’abbiamo scaraventata, in base a quali principi vivrà, in che cosa crederà? Forse anche lei sarà preda della “pubblicità progresso”, parole d’ordine prive di senso spacciate per formidabili scoperte, prese di coscienza, conquiste del migliore dei mondi possibili, anzi l’unico. Yes, we can, come lo slogan di Obama. Sì, possiamo. Ma che cosa? E perché?

10 Comments

  • Primula Nera 8 Marzo 2023

    Un vero ossimoro è definire “europeisti” coloro che sostengono l’Ue (organizzazione sovranazionale che lavora alacremente per distruggerla l’Europa, perlomeno per come la conosciamo). Quindi personalmente posso dirmi europeista(amo la storia e la cultura di tutti i Paesi che compongono il nostro continente) proprio perchè odio visceralmente l’Ue, i suoi lobbisti, i suoi sgherri meri esecutori di ordini.
    Sull’immigrazione ,l’unica scelta è quella di uscire da trattati internazionali capestro che vanificano qualsiasi tentativo di limitarne e scoraggiarne il fenomeno, Non è un caso, ad esempio, che il premier inglese Sunak stia pensando di lasciare la Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo (Cedu). Fare questo toglierebbe argomenti anche a certa magistratura ideologizzata (in senso progressista).
    Di Giorgia Meloni non mi sono mai fidato, già dai tempi dell’astensione di Fdi durante l’approvazione dell’infame legge Zampa, che ha invogliato decine di migliaia di “minori” non accompagnati a partire verso le nostre coste ; in ogni caso naturalmente non mi aspettavo i famosi “blocchi navali” chiaramente irrealizzabili, ma una politica sull’immigrazione un filino più coraggiosa sì. In maniera molto furba ha illuso centinaia di migliaia di italiani ,salvo poi mettere da parte quei cattivoni del suo elettorato(ma buoni alla bisogna, vedi elezioni politiche)per vestire i panni della “statista”. Si attacca il potere quando si sta all’opposizione, ma quando si diventa premier i complimenti dei vertici dell’Ue e le lodi dei giornali esteri(anche non esattamente di destra) fanno evidentemente piacere e ringalluzziscono.
    Poche speranze per il futuro, giochi pure a fare la nuova Thatcher(che a me non piaceva, ma di coraggio ne aveva da vendere…)fino al 2027 ; sarà un piacere vedere Fdi ritornare al 4-5% delle origini, quando sarà chiara la loro totale inaffidabilità. Gli innamoramenti politici in Italia durano poco, giusto il tempo di un annetto o poco più…Per informazioni rivolgersi a Renzi, Grillo, Salvini(ahimè, in questo caso mi dispiace…),Di Maio, etc, etc…

  • Claudio Antonelli 13 Marzo 2023

    Le vere menti dietro questo trasbordo incredibile di popolazioni dall’Africa e dall’Asia all’Europa non sono poi tanto difficili da identificare. Ma strano che con tanti dietrologi in servizio permanente effettivo pochi in Italia tentino di andare oltre il misero paravento degli scafisti, cercando di identificare le forze in campo e capire il credo, non tanto misterioso, sotteso da questo enorme travaso di esseri umani.
    L’ideologia dei sostenitori di questo progetto di travaso e di confusione di popoli è la globalizzazione (o globalismo o mondialismo o mondializzazione che dir si voglia), che mira all’azzeramento dei confini nazionali. È un’ideologia caleidoscopica che trova concordi: i cristiani (“siamo tutti figli di dio”); i massoni (“vogliamo un governo illuminato mondiale”); gli orfani del comunismo internazionalista (“malpagati e senza lavoro di tutto il mondo extraeuropeo unitevi, e andate in Europa”); i banchieri, i finanzieri gli affaristi con portafoglio multinazionale (“è ingiusto e immorale limitare i confini dei profitti”); i fautori di un’Europa senza patrie, assetati ancora di spazio.
    Vi sono poi i membri di comunità nomadi e cosmopolite, per le quali il superamento dei confini nazionali fa parte della propria identità storica. Esse avversano i patriottismi altrui, mentre hanno elevato il proprio nazionalismo a dogma religioso.
    La rivista “The Economist”, dietro i cui articoli non firmati agiscono i propagandisti provenienti dai ranghi di più di uno dei gruppi appena menzionati, porta avanti da anni con ardore il discorso pro-globalista. La rivista fu creata con questo esplicito intento: attuare una sorta di governo mondiale dominato dalla logica dell’economia e della finanza.
    Il nemico di tutti questi, insomma, è la nazione. Ai poteri forti già menzionati occorre aggiungere gli americani, sostenitori di una globalizzazione condotta all’insegna della supremazia della nazione statunitense sul resto del mondo.

  • Claudio Antonelli 13 Marzo 2023

    Un mondo senza frontiere e senza radici

    La frenesia dell’omologazione globale di popoli e civiltà che anima i nostri buonisti, con l’abbattimento delle frontiere e con l’apertura al Diverso incarnazione del bene assoluto, è basata su un’idea falsa dell’essere umano considerato interscambiabile e inoltre malleabile e ristrutturabile in funzione di un mondo senza frontiere e senza radici.
    Nel 1971 Claude Lévi-Strauss, nel corso della conferenza intitolata “Razza e cultura”, tenuta all’UNESCO, osò dire che vi è differenza tra razzismo e xenofobia. Spiegherà in seguito così la sua presa di posizione, allora tanto criticata:
    “Reagii contro la tendenza che consiste nel banalizzare la nozione del razzismo – dottrina falsa ma precisa – e che consiste altresì nel denunciare come razzisti l’attaccamento a determinati valori e la non predilezione per altri valori (atteggiamenti scusabili o biasimevoli, ma profondamente radicati nella comunità umane).”
    Ciò che l’antropologo ci dice è che si dovrebbe tener conto dell’uomo qual esso è e non quale esso dovrebbe essere. Io aggiungerei che l’uomo può essere lentamente migliorato, ma non certo trasformato ossia “riplasmato”, “rivoluzionato” cambiandone i meccanismi psicologici fondamentali, quasi fosse un robot. I nostri rivoluzionari rossi vi hanno provato, andandoci giù pesante, ma con risultati all’incontrario. E oggi, per risanare, rieducare (democraticamente), far tornare alla normalità i popoli che hanno vissuto a lungo sotto un regime comunista occorrono un paio di generazioni. Il gran male che il comunismo arreca è di causare danni alla fibra morale della gente, che si abitua alla menzogna, al calcolo opportunistico, al rispetto timoroso della nomenklatura, e all’esistenza di due verità: quella ufficiale e quella ufficiosa.
    Secondo l’antropologo Lévi-Strauss “L’umanità ha saputo trovare la sua originalità solo in un certo equilibrio tra isolamento e comunicazione. Era necessario che le culture comunicassero, altrimenti si sarebbero sclerotizzate. Tuttavia, non dovevano comunicare troppo rapidamente per darsi il tempo di assimilare, di far proprio quello che attingevano all’esterno. La scommessa è che, secondo me, questo continuerà”. Egli previde che “man mano che vedremo l’umanità omogeneizzarsi, al suo interno si creeranno nuove differenze”. E indicò nella proliferazione delle sette in California e nella “crescente difficoltà di comunicazione tra le generazioni” i primi sintomi di questo fenomeno.
    Più la società si fa grossa – spiegò – e meno trasparente e permeabile diviene al suo interno. Io vedo questo nella proliferazione, in un Occidente omogeneizzato all’americana, del fenomeno del multiculturalismo e del comunitarismo che spezzetta la Nazione in clan, comunità etnoreligiose, centri di interesse, movimenti, sette, gruppi transnazionali… Oggi su tutte spicca la “comunità” LGBDQ+ di fronte alla quale inginocchiarsi è d’obbligo.
    Secondo Lévi Strauss, la lotta “contro ogni forma di discriminazione” pur in apparenza lodevole si inscrive nella stessa dinamica che “convoglia l’umanità verso una civiltà mondiale, distruttrice di quei vecchi particolarismi ai quali spetta l’onore di aver creato i valori estetici e spirituali che aggiungono valore alla vita, e che noi raccogliamo preziosamente nelle biblioteche e nei musei perché ci sentiamo di meno in meno capaci di produrli”.
    Disse inoltre che “L’etnologo esita a credere, benché vi si senta spinto da ogni dove, che la diffusione del sapere e lo sviluppo della comunicazione tra gli uomini riusciranno un giorno a farli vivere in buona armonia, nell’accettazione e nel rispetto della loro diversità”.

    • Primula Nera 14 Marzo 2023

      Sono d’accordo con quanto scritto da lei, tranne che per la parte riguardante la rieducazione di cui necessiterebbero le popolazioni dell’est Europa dopo il comunismo. Potrò sbagliarmi, ma queste popolazioni mi sembrano assai più sane delle nostre( che veniamo da decenni di liberalismo “all’americana”), meno facilmente permeabili da veleni come l’immigrazionismo di massa ,il genderismo, i diktat lgbtqxyz, il “white guilt”,etc, etc… Ed a pensarci è paradigmatico il fatto che nei paesi dell’est siano, soprattutto, i più giovani (cioè quelli che hanno conosciuto solo le “meraviglie” dell’Occidente….)ad essere sedotti da tutte queste idiozie cosmopolite.. Questo è un aspetto da non sottovalutare, in quanto il destino di queste popolazioni, man mano che passeranno i decenni, sarà quello di finire come noi(e già adesso, ad esempio, nelle presidenziali polacche, Duda ha vinto per un soffio contro l’avversario ultraeuropeista Trzaskowski)
      L’Ucraina non è consapevole di ciò , ma l’allontanamento dalla Russia per abbracciare l’Occidente, la sta condannando a una misera fine (uguale alla nostra, ma con l’aggravante di aver fatto una guerra sanguinosissima per arrivarci…).

  • Pasquale Attard 15 Marzo 2023

    Articolo,come sempre,illuminato da una visione chiara e profonda della realtà effettuale dello”stato dell’arte “ del tempo presente.Tempo presente che è figlio della penetrazione vieppiu’ pervasiva dell’azione dell”Avversario”con conseguente fardello del Peccato dell’Uomo sull’ umanità,che ne condiziona i destini. Sono i “tempi ultimi”,quelli della novella Sodoma,che vedono nel “Nostro “ uno dei pochi “avversari “ del momento presente,che con lucido e doloroso sguardo viene fotografato in tutti i suoi magnifici epitaffi.

  • Claudio Antonelli 15 Marzo 2023

    Lei ha in parte ragione. Ma vi è da fare, secondo me, una distinzione tra l’individuo e il popolo cui egli appartiene. E non è una questione di lana caprina.
    Il popolo ungherese è fortemente nazionalista. E lo è il popolo rumeno. Avendo conosciuto l’imperialismo sovietico internazionalista, nemico dell’identità storica dei popoli assoggettati, gli ungheresi, i rumeni e tutti gli altri popoli ex comunisti sono tornati ai valori collettivi di prima del comunismo. Inoltre non avendo subito l’azione dissolvente sui valori tradizionali collettivi operata da una certa modernità “sfascista” che ha profondamente intaccato invece noi occidentali, amanti della diversità, dello straniero, e con un forte complesso di colpa nei riguardi del terzo mondo, sono rimasti ancorati a una visione tradizionale della filiazione nazionale ossia del loro rapporto con lo Stato nazionale e con il passato storico del Paese. L’indole di chi ha vissuto in un sistema comunista è stata invece intaccata e direi deformata da un potere basato sulla paura, sulla menzogna e sull’opportunismo. Non cerco di convincerla, ma io ho conosciuto decine d’individui che si sono formati sotto il comunismo e che ne recano ancora le tracce negative nell’anima. E le recheranno per sempre. (Una di queste persone è un’ungherese che conosco molto bene…) Ma con loro si puo’ discutere di politica e constatare il loro rispetto per l’identità nazionale e per le frontiere, l’amore per la loro lingua, e la loro conoscenza della storia e delle differenze tra i popoli.
    Il comunismo aveva voluto eliminare ma in realtà ha avuto come effetto di congelare i valori collettivi borghesi di un tempo, la religione, la storia, gli eroi del passato nazionale. Poi c’è stato lo scongelamento. Ma l’individuo è restato segnato da un sistema assurdo basato sulla propaganda, sui privilegi della nomenclatura, sulla delazione, ecc. Tempo fa conobbi degli esuli rumeni – sono tutti morti ormai – del periodo di prima del comunismo. E ho conosciuto decine di rumeni vissuti sotto il comunismo. La differenza tra questi due gruppi è marcatissima, tutta a favore dei primi. I cubani vivono sotto il comunismo, ma ci forniscono un utile esempio della devastazione morale che ill comunismo opera. Collettivamente, invece, hanno dignità, hanno il senso del passato nazionale. Hanno una forte identità. Ma per sopravvivere molti di loro hanno introiettato il calcolo opportunistico, la simulazione… Sotto il comunismo si impara a rubare allo Stato, a rispettare i potenti, a fingere…

    • Primula Nera 15 Marzo 2023

      Certo parliamo sempre di una dittatura, non volevo certo fare l’apologia dei regimi comunisti, immagino che ci fossero situazioni insostenibili per buona parte di quella gente(come anche nelle dittature di segno opposto) . Però anche in regimi come questi esisteva comunque un’idea di comunità. Se lei desse un’occhiata ai film di stile fantastico o ai cartoni animati di epoca sovietica, si renderebbe conto che sono quanto di più tradizionalista si possa trovare sia nelle trame, che nei valori che veicolano. Non è una questione secondaria, qualsiasi regime totalitario ha sempre dato particolare attenzione al controllo ,all’educazione e alla crescita delle generazioni più giovani. La cesura verso il passato, seppur certamente presente, era meno netta di quanto si potrebbe pensare.
      L’Occidente liberale(parlo soprattutto degli ultimi 20 anni) mira a distruggere tutto ciò che è patrimonio culturale dei popoli europei, in maniera spesso subdola e subliminale, soprattutto deformandolo a proprio piacimento (ad esempio ,in ambito culturale, il caso Dahl, seguito da quello di Ian Fleming, cui ne seguiranno tanti altri). Non mira a creare comunità, sulla base di princìpi più o meno condivisibili, ma a disgregare il tessuto sociale (ancora)esistente, creando tante minoranze rancorose ,spesso aizzate contro nemici immaginari(l'”Emmanuel Goldstein” di turno : gli immancabili fascisti, i no vax, i filo Putin, etc, etc). La produzione per l’infanzia(libri ,film, cartoni)di una società come questa e tutto un programma ( la Disney vuole inserire in metà dei suoi cartoni personaggi lgbtqxyz). Tutto è sotto i nostri occhi ,solo a volerlo vedere, ormai non è più veramente questione di destra /sinistra e altre banalizzazioni che altro non sono che ulteriori. distrazioni di massa.
      Studiosi come Pecchioli o siti preziosi come quello dove stiamo commentando, ci insegnano proprio a riconoscere certi fenomeni e non abituarsi a considerarli normali.

    • Primula Nera 15 Marzo 2023

      “…è tutta un programma…”

  • Primula Nera 15 Marzo 2023

    “….ad esempio, in ambito letterario…”

  • Claudio Antonelli 16 Marzo 2023

    Non voglio troppo insistere, ma il tema che stiamo trattando (Le conseguenze di un regime comunista suoi suoi cittadini, anche dopo il crollo del comunismo) è per me quasi vita vissuta. (Mia figlia è nata e vive a Budapest). Io ho frequentato decine e decine di ex comunisti, originari di diversi paesi ma in particolare d’Ungheria e di Romania. Con diversi di loro ho avuto duraturi rapporti di amicizia… Un loro tratto comune : diffidenti e sospettosi dei propri connazionali che come loro hanno vissuto sotto il comunismo.
    Ecco alcune uni miei scritti, che riflettono – è vero – l’immediato Post-comunismo. Certe cose sono intanto cambiate…

    Ed è già delusione…

    La scomparsa dell’est europeo come terra “altra”, come ombra di noi, come lente deformante del nostro volto avrà un impatto profondo sulla nostra visione. L’ermetico sipario si è alzato. La geografia è cambiata. Noi stessi cambieremo, dal momento che la terra ci possiede. E la terra non è solo il nostro angolino, ma anche l’intera Europa. I confini del nostro mondo oggi sboccano sul mondo altrui; quel mondo che avevamo interiorizzato con la nostra compassione, il nostro intenso desiderio che avvenisse il riscatto.
    Abbiamo conosciuto questi uomini furtivi, trepidanti, castrati del passaporto, kafkiani nel loro labirintico spessore. Li abbiamo amati, perché erano lì, dietro la barriera, ansimanti nei freddi tunnel, ma caldi di speranza. Li abbiamo amati anche per l’enorme importanza che davano a noi, testimoni di un mondo sognato, di cui non riuscivano mai a farsi un’idea veritiera.
    Oggi il sipario si è alzato… ed è già delusione. Il primo MacDonald’s ha provocato file lunghissime… quando a noi piacevano tanto i loro panini con la salsiccia, mangiati in stazioncine un po’ lugubri. Benetton stende il suo abbraccio multicolore di lana vergine. La moda potrà contare su nuovi clienti fedeli. La pornografia s’infiltra. I criminali alzano la testa. I nazionalismi primari si scatenano. La musica entrerà in un video-clip unico, dove tutti canteranno a rompitimpani quell’orribile inno “We are the world!”. “Kids” irresponsabili di tutto il mondo, fatevi le mèches giallo-arancione, inchiodatevi un orecchino al lobo sinistro, unitevi e ondeggiando cantate!
    Noi dell’occidente, “reazionario e capitalista”, in questo lunghissimo dopoguerra – cui la nuova geografia ha appena messo fine – siamo stati ingozzati con un orrendo senso di colpa. Abbiamo cercato d’imparare il catechismo terzomondista e gli slogan progressisti, ammaestrati da una batteria d’insegnanti. Saturi d’autocritica, convinti delle nostre tremende imperfezioni, sempre attenti a non discriminare, a rispettare il “diverso” e ad addossarci ogni colpa, anche quelle poche che non meritavamo. Ed ecco che all’est l’uomo nuovo, finalmente libero di esprimersi, invece di mettersi a cantare si è messo ad urlare. Ed è un po’ come se urlasse nei nostri timpani, adesso che il sipario si è spaccato.
    Stanchi di un consumismo che ci ha consumato l’anima, sospettosi verso i tossici frutti dell’abbondanza, vorremmo tanto che i fratelli dell’est evitassero i nostri errori. Ma è facile vantare i meriti del digiuno avendo la pancia piena. Anche loro vogliono fare come noi, e noi finiremo coll’odiarli… come odiamo noi stessi. [1990]

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    Premessa.
    Nei paesi liberati dal comunismo, si è assistito al fenomeno dell’imitazione degli aspetti deteriori del modello americano. L’antica identità nazionale, stravolta e deviata dalla lunga parentesi comunista, non è riemersa nelle forme sperate. In questi paesi, l’imitazione dei nuovi modelli del consumismo occidentale ha presentato, subito dopo la caduta del muro, aspetti eccessivi e grotteschi.

    La celebrazione della violenza
    Le scene sono di natura sportiva ma mortali: durante una gara automobilistica, un’auto urta un ostacolo ed esplode, mentre quelle che seguono rimangono coinvolte in un tremendo carambolage. Le scene sullo schermo cambiano velocissime. Adesso viene lo spettacolare incidente di un motociclista impegnato in una gara. La moto rotola perdendo pezzi. Il corpo del conducente è in aria come una bambola di pezza. Quindi altri incidenti in altre competizioni motorizzate, quasi certamente tutti mortali. Ecco un motoscafo velocissimo che s’innalza, decolla e s’inabissa. Le scene sono rapidissime.
    Non si tratta di effetti speciali, di scene di film. No, sono incidenti sportivi realmente avvenuti, in diversi momenti e in paesi diversi, e che vengono mostrati alla televisione a scopo ricreativo. Ne hanno fatto un collage.
    Alla televisione americana, dove ho già visto queste scene, se ne sono serviti come presentazione di un programma sportivo. Qui a Budapest, dove mi trovo, non vi è neanche questa scusa. Le scene di morte sono presentate periodicamente come riempitivo. Subito dopo viene la pubblicità.
    È difficile trovare un esempio piu’ evidente della degenerazione del mezzo televisivo. La morte sullo schermo non diventa solo spettacolo ma gomma masticante dello spirito, sostanza eccipiente, riempitivo, puro movimento.
    Questo balletto macabro di ferraglie rivela l’aspetto più preoccupante di un certo spirito americano, incentrato sullo scontro, la violenza, lo spettacolo, la velocità. Il tutto senza pietà, pudore o ironia. E in questa Budapest così lontana dall’America, ecco spuntare l’orribile testa del mito americano della violenza apocalittica.

    La proprietà privata
    Le realtà nazionali congelate dal comunismo, adesso che dopo la caduta del muro hanno quasi raggiunto la temperatura d’ambiente, puzzano invero assai. I sistemi burocratico-totalitari dell’est, basati sulla sopraffazione e la menzogna, sono riusciti per tanti anni a comprimere certi istinti dell’uomo attraverso la costrizione e la paura. Oggi, caduta la maschera del tanto decantato “uomo nuovo socialista”, scopriamo un volto dai tratti tesi e duri.
    Tali considerazioni mi sono suggerite da un episodio, in apparenza anodino. Mi trovavo di recente in Ungheria, in casa di amici. Alla televisione avevano appena presentato un triste episodio di cronaca: una bambina, figlia di zingari, era rimasta folgorata da un primitivo ma micidiale sistema di elettrificazione apprestato dai vicini di casa a difesa del proprio orto, su cui la bambina, probabilmente spinta dai genitori, effettuava delle piccole ruberie di pomodori, cetrioli e peperoni.
    Siccome mi era parso che alla televisione i diretti responsabili del tragico incidente fossero stati presentati più come le vittime dei furtarelli di ortaggi che come i diretti responsabili del tragico incidente, chiesi ingenuamente ai miei amici, tutti laureati, che erano con me di fronte al teleschermo: “E adesso cosa succederà a costoro?” “Ma non te l’abbiamo spiegato? Forse non hai ben capito: la zingarella morta rubava nell’orto della coppia intervistata.” Ed io: “Ma gli autori dell’incidente non avranno fastidi?” Di rimando loro, stupiti: “Ma perché? Non hanno fatto che difendere la loro proprietà…”
    Nessuno avrebbe potuto immaginare che dopo tanti anni di comunismo la gente avrebbe posseduto un senso così primitivo e violento della proprietà privata.

    La musica
    Nell’appartamento di Budapest dove alloggiavo, ogni giorno da parte mia gli stessi tentativi infruttuosi: scoprire se la radio o la televisione trasmettessero della musica popolare ungherese. Dovete sapere che, senza essere un esperto, io ho un po’ il pallino della musica tradizionale, che mi piace indistintamente tutta, con una preferenza per quella dell’Europa centro-orientale. Ma la mia fatica, a Budapest, fu inutile. Né la radio né la televisione ungheresi trasmettevano più musica nazionale.
    Il linguaggio musicale oggi più diffuso alla televisione, in Ungheria come altrove, è la musica rock con i suoi videoclips demenziali. La ficcano in ogni spazio libero, in ogni occasione. Alla radio è la stessa cosa. Sicché, di sera, a letto, mi vedevo obbligato a sintonizzare la radio sui programmi che venivano dalla vicina Romania, dove il folclore musicale, nonostante la morte di Ceasescu – il quale se ne serviva per alimentare un suo discorso opportunistico, pseudo-patriottico – continua a godere le simpatie degli addetti ai lavori radiofonici.
    L’aver dato lo sfratto alla musica del proprio paese per installare quella anglo-americana: ecco un atto che può apparire quasi insignificante se paragonato a ben altri sconvolgimenti. Ma insignificante certamente non è. In questo triste atto di mimetismo, rivelante l’avido desiderio di consumare il sogno americano, gli ungheresi si rivelano patetici ed infantili. Essi cercano di ricreare il modello irreale e mitico occidentale – soprattutto americano – basandosi sugli elementi più esteriori e qualche volta deteriori della vita occidentale e dell’“american way of life”.
    Questi modelli musicali intendono rappresentare un’esaltante maniera di vivere e di consumare. Molti ungheresi evidentemente ignorano che la realtà dei clips, dei film e delle riviste di moda è distante anni luce dal modello originale, cioè dalla vita americana. Il loro non è altro che un atto inconsapevole di magia, in cui la riproduzione, l’imitazione, la rappresentazione danno l’illusione di aprire l’accesso a quel mondo lontano.
    Il grottesco fenomeno d’imitazione non è certamente limitato all’Ungheria. Un anno e mezzo fa, a Belgrado, guardando la televisione, ebbi l’impressione di trovarmi in una provincia americana. Persino il telegiornale nazionale serbo aveva una sua versione quotidiana in inglese.
    Questo tentativo di appropriarsi l’Occidente, aderendo ai modelli occidentali esteriori e consumistici, l’ho constatato anche in un fenomeno che a tutta prima avevo trovato misterioso: la presenza sui muri di scritte in inglese: i cosiddetti “graffiti”. A Belgrado ed a Budapest sull’intonaco dei muri ho notato una strana proliferazione di scritte in inglese, sgrammaticate e infantili. Frasette un po’ sceme come “I love New York”, o messaggi intimi, o frasi ricopiate, immagino, da scatole d’imballaggio, da slogan pubblicitari, oppure dalle sempiterne canzoni. La parola sul muro suscita la cosa, evoca un universo…
    Mi trovo con un professore americano, melomane accanito, nel trenino che da Budapest conduce a Sant’Andrea. È un tipo simpatico, estroverso, ciarliero. L’ho incontrato per caso. Questo americano cerca di spiegarmi perché gli piaccia tanto il popolo ungherese. “Vedi, mi piace perché è…” Ma non trova le parole giuste. Infine: “Sì, è orgoglioso… è fiero… Ecco, è un popolo che ha dignità.” Io approvo con cenni della testa, ma non sono per nulla convinto.
    Adesso il treno passa lungo un muro bianco interamente ricoperto di violente scritte allo spray del tutto simili ai “graffiti” della metropolitana di New York. Si tratta di un’imitazione notevole. Abbondano le frasi in inglese. Io ho già notato questi “graffiti” passando altre volte con lo stesso treno. Ed immancabilmente ho provato rabbia per tanta scimmiesca capacità d’imitazione di un aspetto deteriore dell’America: l’“urban decaying”. Eppure questo come altri aspetti della realtà americana assumono a migliaia di chilometri di distanza un contorno mitico, grazie alla magia cinematografica e televisiva.
    Il professore americano addita il muro con un fare esaltato e mi fa: “Ecco quello che volevo dire. Vedi come sono gli ungheresi?” e mi ribadisce quel suo concetto di “forza”, “coraggio” e “dignità”. Allibito, sono incapace di capire come questa improvvisa visione di vandalismo grafico e calligrafico lo possa tanto esaltare, facendogli scoprire doti di “dignità” e via dicendo in uno scempio di colori e di sgrammaticature. Infine afferro la causa del suo entusiasmo: nello zig zag fatto di colori violenti e di scritte schizoidi, questo viaggiatore americano, nostalgico dell’America, ha ritrovato un senso familiare: ha finalmente scoperto un’immagine di casa sua.
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