7 Ottobre 2024
Politica

 La questione dei dazi Usa – Umberto Bianchi

E’ di ieri la notizia che, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), ha permesso agli Usa di imporre dazi sulle importazioni europee, per un valore di 7,5 miliardi di Euro (8 miliardi di dollari) quale compensazione per quegli aiuti che, a dire degli Usa e del Wto, sarebbero stati illegalmente concessi al consorzio aeronautico europeo Airbus. Gli Stati Uniti imporranno, pertanto, i loro dazi dal 18 ottobre del corrente anno, secondo un ammontare di tariffe che varierà a seconda dei prodotti considerati: si parla di un 10% sui grandi aerei commerciali e di un 25% sui prodotti agricoli e industriali. Il costo di questa simpatica “manovrina” sarà, per l’agroalimentare nostrano, di circa un miliardo di euro.

A finire nel mirino, tanto per cambiare, saranno proprio quei prodotti-simbolo del “made in Italy”, che hanno conferito al nostro paese un vero e proprio primato economico. Le esportazioni negli Usa valgono 4,2 miliardi di euro. Per il pecorino, il parmigiano reggiano, il provolone e il prosciutto, i dazi saranno al 25%, senza contare l’ipotesi di ulteriori dazi su mozzarella di bufala campana, pasta e latte. Ora, se è vero che, come abbiamo già detto, il “casus belli” dei dazi è rappresentato dalla vicenda degli aiuti “illegali” concessi al consorzio aeronautico europeo Airbus, è però altrettanto vero che gli Usa con la americanissima Boeing, non ci sono mai andati tanto per il sottile, tant’è che la rispostina dell’Europetta di Bruxelles, sarà proprio incentrata su questo aspetto della politica economica Usa.

Incentrare, però, l’intera questione legata ai dazi, ad un semplice botta-e-risposta economico, ci sembra cosa totalmente insufficiente ed improduttiva di risultati di rilievo nel breve, medio o lungo termine, che dir si voglia. Come al solito, anche in questo caso, la questione sta a molto più a monte, insita nella natura dei meccanismi che regolano quella Globalizzazione di stampo neoliberista che ad oggi condiziona i processi economici e finanziari mondiali.

Ed è da qui che bisogna partire, per evitare di metterci sullo stesso piano di chi, in gran parte, di quei meccanismi è animatore e primario fruitore al contempo; come nel caso degli Usa, per l’appunto. Gli Stati Uniti sono, ad oggi, l’unico paese al mondo, a produrre ed esportare il circolante mondiale in dollari. La stessa Cina che, sino a poco tempo fa era al secondo posto in quanto a riserve in dollari e ad ora, si stima detenga la maggior parte dei titoli del debito pubblico Usa, non produce una forma valutaria trattabile a livello globale. Però, da tempo Cina e Federazione Russa hanno capito, al pari di altre nazioni, che il ruolo del dollaro come principale valuta di riserva mondiale, è il loro tallone d’Achille economico. Finché gli Usa con Wall Street, controllano il dollaro, e finché la maggior parte del commercio mondiale richiede dollari per i pagamenti, le banche centrali saranno costrette ad accumulare dollari sotto forma di “obbligazioni” del debito del Tesoro USA, come riserva di valuta per proteggere le economie dalle varie guerre valutarie, come quella dalla Russia subita a fine 2014, quando il Tesoro degli Stati Uniti e Wall Street hanno scaricato il rublo con l’accordo USA-Arabia Saudita per far crollare i prezzi mondiali del petrolio. Ora Russia e Cina sono dirette verso l’uscita dal dollaro. Il bilancio della Federazione Russa dipende in gran parte, dai profitti derivanti dalle esportazioni di petrolio. Nel 2014 Russia e Cina hanno firmato due colossali accordi trentennali sul gas russo per la Cina. I contraenti hanno precisato che lo scambio sarà in rubli e renminbi, non in dollari. È l’inizio di un tentativo di de-dollarizzare il settore di un importante contesto geo economico, quale quello eurasiatico.

Per paradossale che possa apparire, la centralità del ruolo del dollaro, ha fatto sì che, le banche centrali di Cina, Russia, Brasile e altri Paesi, dagli interessi geopolitici e geo economici, spesso ben lontani, se non opposti a quelli degli Usa, si siano trovati costretti a comperare titoli del debito USA in dollari, finanziando le varie iniziative di Washington, tra cui guerre e guerrette, volte a danneggiarli, direttamente o indirettamente. Ora, questa potrebbe rappresentare l’occasione per imprimere un sostanziale cambio di marcia alla politica economica delle varie nazioni europee e non solo.

L’Euro, che a livello nazionale, tanto ha danneggiato le locali economie europee, potrebbe invece assurgere al momentaneo ruolo di valuta di scambio per tutti i commerci e le transazioni mondiali. Nel contempo, sarebbe bene imprimere un ulteriore processo di accelerazione ad accordi commerciali, con l’intera area geo economica rappresentata dal continente asiatico, oltre a Russia e Cina. Oltre che verso questi due paesi, bisognerebbe sensibilmente incrementare le nostre esportazioni, verso India, Pakistan, Thailandia, Malaysia ed altri ancora, nell’ottica di una serie di accordi di ampio respiro, in grado di vedere la realizzazione di un asse Eurasia-Terzo Mondo, a geometria variabile, cioè in grado di includere a seconda delle necessità dei singoli contesti, Africa ed America Latina incluse, tagliando gradualmente fuori dalle grandi transazioni, gli Usa.

La realizzazione di un Kontinental Blok Eurasiatico, di tipo geo economico, non può però prescindere da due fondamentali assunti di base. Il primo riguarda l’intero modello neo liberista che andrebbe rimesso in discussione e definitivamente accantonato, per ritornare ad una politica mirata e libera da inutili e dispendiose pastoie burocratiche (come sempre accaduto nel nostro paese, sic!) e di intervento pubblico nell’economia dei singoli stati. Il secondo tassello, non meno importante e fondamentale, riguarda invece la de-finanziarizzazione dell’economia, andando a toccare tutti quei dispositivi legislativi e di generale impostazione, che ne stanno alla base.

Primo fra tutti, quello rappresentato dal problema del signoraggio bancario, per cui, in virtù del fatto che le banche centrali sono partecipate maggioritariamente da istituti privati, il costo di emissione della valuta è incamerato da questi ultimi, così che il cittadino nasce praticamente indebitato con le banche. Punto secondo. Il graduale ritorno in Europa alle valute nazionali, sempre più lasciando all’Euro, un ruolo di valuta di riserva, per le grandi transazioni. Punto terzo. Accanto al ritorno di una legge sul modello della famosa Steagall, sulla separazione tra istituti di risparmio e tra quelli di investimento, una stretta sulla possibilità di emettere titoli azionari, le cui quotazioni dovranno essere impostate su attività produttive reali e non su valutazioni arbitrarie ed astratte che, come nel caso dei famosi “junk bonds”, sono alla base di crolli e crisi sistemiche “urbi et orbi”.

Alla base di tutte queste proposte, deve presiedere un’azione concertata volta a ridiscutere e ridimensionare i micidiali accordi WTO sul commercio internazionale, assieme ad un’azione concertata volta alla modifica ed alla revisione dei meccanismi di gestione di organismi sovranazionali come l’Onu ed il famigerato FMI, in direzione di una maggior collegialità, tutta a detrimento dell’unilaterale gestione anglo-americana e franco-tedesca. Il tutto, non senza una politica di unilaterale annullamento delle sanzioni a Russia ed Iran. Un’altra iniziativa di piccolo cabotaggio, ma comunque dal forte valore simbolico, su cui la magistratura italiana aveva iniziato a lavorare, era quella sulle varie Agenzie di Rating, a vario titolo, sospettate ed accusate di turbative dei vari mercati nazionali, attraverso indebite interferenze, esercitate con valutazioni faziose e non veritiere.

Come si può ben vedere, quella attuale non è una situazione senza uscita, alla quale rassegnarsi supinamente. Ed i vari Trump, Pompeo e compagnia bella, farebbero bene a stemperare i toni ed abbassare le pretese. La gente è stanca e stufa di pagare, per decisioni prese altrove sulla propria pelle. E come abbiamo dimostrato, senza guerre, violenze o terrorismi vari, si può cambiare l’attuale status quo. L’aria sta cambiando. Ed è bene che certi signori se ne avvedano. O subiranno tutte le ricadute del caso, proporzionalmente al danno ad altri arrecato.

 UMBERTO BIANCHI

1 Comment

  • Roberto Gallo 10 Ottobre 2019

    La questione dei dazi e’ solo apparenza. I prodotti alimentari italiani interessati sono gia’ appannaggio di una ristretta parte della popolazione americana che gia’ ora non si puo’ permetterne l’acquisto. Il costo, al kg, e’ quasi impercettibile e non tocchera’ chi gia’ acquista tali prodotti.
    Vero e’ che la moneta e’ lo strumento attraverso il quale si colonializza il mondo, unito al “sistema del debito” che e’ il nocciolo del problema e che riguarda anche Cina e Russia. Quindi, se da un lato il ritorno alla moneta nazionale consentirebbe – in astratto – una diversa politica economica interna, dall’altro significherebbe la caduta del sistema europeo che non rappresenta un soggetto politico ma una declinazione finanziaria.
    La via della soluzione – cioe’ la ripresa dell’autonomia dello Stato – puo’ avvenire solo con l’adozione di politiche economiche dirette con Stati quale India, Cina e, in genere, l’Est asiatico. Ma, agli schiavi, non e’ consentita tale liberta’.

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