11 Ottobre 2024
Società

La realtà non esiste più – Gianfranco De Turris

Può sembrare una incongruenza, anzi una follia, affermare che la realtà non esiste più, ma non certo di per sé bensì rispetto alla sua percezione nel mondo in cui viviamo. Ma come? Il XXI secolo ha prodotto una società iper-tecnologica, in cui gli strumenti scientifici sono diventati così alla portata di tutti che li abbiano in casa, negli uffici, nelle fabbriche, per strada, addirittura in  tasca. E la tecnologia non è qualcosa di  concreto, solido,  tangibile e dunque reale?

Il problema è che la tecnologia che è giunta nelle nostre mani e di cui disponiamo ormai ad ogni istante, è soprattutto la tecnologia digitale, elettronica, che incide su di noi, e soprattutto sui più giovani, in un modo ben diverso da strumenti esterni come possono essere ad esempio automobili, treni, aeroplani che utilizziamo per muoverci nello spazio. La tecnologia digitale interagisce con noi incidendo infatti sul senso della realtà che ci circonda e in un certo senso ce la fa apparire diversa, ce ne offre una percezione diversa. In modo diretto e indiretto sovrapponendo alla realtà vera, alla realtà reale si potrebbe dire, condizionandoci. E questo avviene soprattutto sulle menti giovani e malleabili che fanno un  uso compulsivo, al livello del patologico,  di questi strumenti come oggi avviene.

Si pensi ad esempio all’universo dei videogiochi, specialmente quelli in “in soggettiva”, che presentano l’avventura virtuale dal punto di vista di chi gioca: egli entra nel mondo del videogame e ne è il protagonista. E’ però un gioco, ma che può anche diventare sanguinosa realtà: è infatti ispirandosi a questo genere di videogame che l’australiano Brenton Tarrant si è installata una videocamera sulla fronte ed ha sparato sugli islamici che affollavano due moschee a Christchurcj in Nuova Zelando il 15 marzo 2019 uccidendo 49 persone e ferendone altrettante: un massacro “in soggettiva” trasmesso in diretta su Facebook. Dal falso al vero e viceversa, ma quanti se ne saranno accorti subito?.

Poi è subentrata quella che venne definita Second Life, una Seconda Vita in cui il giocatore ha all’interno di essa una sua proiezione, non per nulla definita Avatar, come l’incarnazione di una divinità nella mitologia indù. Si è poi passati alla Realtà Aumentata che non è una  diversa vita inventata, ma la stessa realtà che conosciamo ma con cose, esseri, persone e animali “aggiunti”, che non esistono nel mondo vero che ci circonda ma ci appaiono come concreti. Per non parlare dei film di ultima generazione, specie quelli che hanno per protagonisti i supereroi passati dal fumetto al cinema: degli spettatori coinvolti nella trama chi veramente pensa che il 90 per cento di quel che vede non esiste ma è ricostruito dai computer? Viene accettato come fosse vero. Punto e basta.

L’ultimo passo in questa direzione in cui vero e falso si mescolano e confondono è avvenuto pochi mesi fa, nel dicembre 2018, allorché tre esperti di Nvidia, il maggior costruttore mondiale di processori per computer, hanno pubblicato una ricerca che porta alle estreme (per ora) conseguenze l’idea i Ian Goodfellow risalente al 2014, quella dei GAN, i Generative Adversarial Network, le Reti Generative Antagoniste, speciali algoritmi di intelligenza artificiali usati nell’apprendimento automatico utilizzati per creare immagini e fotografie allo stesso tempo alterando la realtà ma essendone la riproduzione quasi perfetta. In pratica i tre ricercatori hanno presentato 54 ritratti di uomini e donne, giovani e vecchi che sembrano vere e reali tanto sono perfetti, ma che non esistono affatto, realizzati combinando al meglio le caratteristiche di vari volti. Dalle fake news alle fake faces senza che si riesca a distinguere il falso dal vero. Guardando questa galleria di facce si è presi come da un disagio. Al punto che valutando le prospettive di tutto ciò, alcuni esperti chiedono che nelle foto e nei filmati si apponga un bollino che ne garantisca l’autenticità. Una tecnica così perfetta che potrebbe mettere in crisi la polizia, la giustizia, la politica e come conseguenza la fiducia in esse. La realtà in questo caso, pur se appare tale, non esiste.

Il mondo così si smaterializza e diventa un’altra cosa, e spesso questo nuovo mondo si sostituisce a quello reale. Molti ragazzi, anche non ragazzini, si estraniano e pensano di continuare a vivere in un videogioco, in una Realtà Virtuale, non penano affatto che quel che fanno potrebbe avere delle conseguenze concrete e magai drammatiche. Lo dicono i sociologici e gli psicologi: altrimenti non commetterebbero azioni efferate contro persone o anche animali come quelle di ammazzare qualche poverettoo che dorme per strada, o di dar fuoco ad un’auto rifugio di un barbone, o gettare sassi da un cavalcavia sulle auto di passaggio. Lo fanno perché non si rendono più conto delle possibili conseguenze reali di certi loro atti. In  un videogioco quel che fai non ha conseguenze pratiche,  resta lì nello schermo e la sparatoria, il lancio di bombe, l’incendio, la scazzottatura, la distruzione, l’ammazzamento non  produce effetti concreti. Sono così condizionati che sovrappongono i due piani, e restano stupefatti e imbambolati quando, nella realtà reale, gli si mette di fronte a quanto di terribile hanno compiuto.

Il tutto può diventare una vera e propria sindrome, una patologia. In Giappone, nelle grandi metropoli di decine di milioni di abitanti, tra la moltitudine pullulante, da tempo si sta verificando un fenomeno: i ragazzi che si recludono in una stanza e vivono lì, estraniandosi da tutto, senza contatti esterni, vivendo solo di realtà virtuale. Li chiamano hikikomori, tradotto letteralmente questo temine indica appunto l’isolarsi dalla vita sociale: un hikikomori è infatti un ragazzo o una ragazza che per una ragione o per l’altra decide di isolarsi nella maniera più totale dalla vita esterna rinchiudendosi nella propria camera senza mai uscirne. Questo fenomeno è spesso associato ad una sfrenata ossessione per fumetti e cartoni animati. Infatti sono proprio i più accaniti fruitori di questi media che ricorrono ad una così estrema scissione con la realtà sociale che li circonda. Ovviamente gli hikikomori sono solamente un caso limite ma significativo di questo disancoraggio dalla Realtà Vera per chiudersi in un  proprio mondo autoreferenziale.

Per fortuna questa sindrome non è giunta ancora in modo pervasivo in Occidente, ma già si sa che in certi casi estremi è necessario “disintossicarsi” dal condizionamento provocato dall’uso ossessivo di videogiochi, computer, smartphone e tablet. La realtà non esiste più: si è dematerializzata, vanificata, estraniata producendo una specie di schizofrenia, creando una realtà fittizia e doppia. Con tutto ciò dovremo fare i conti.

Gianfranco de Turris

 

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