8 Ottobre 2024
Punte di Freccia

La Repubblica dei Vinti – Mario Michele Merlino

‘Musica di sentimenti’, così definì Marinetti quel Quarto d’ora di poesia della X MAS composto nel medesimo giorno, all’alba del 2 dicembre del ’44, insonne, in cui il suo cuore cedette, stroncato dalla deficienza cardiaca contratta sul fronte russo. La poesia, come sapevano bene i Greci, a preservare l’opera e il nome. Non un’ode al suo amico Mussolini, non una rivendicazione sulla legittimità della Repubblica Sociale o sulla pretesa di ritrovare la via del ‘socialismo fascista’, solo un inno alla gioventù in armi e desiderosa di conquistarsi un posto in paradiso andando verso il nemico, così simile a Titani a scalare vanamente il cielo. Imparammo ad amare fin dal tempo dei banchi di scuola Ettore, umanissimo eroe, in conflitto tra il condurre i soldati in battaglia fuori dalle mura della città e l’amore per Andromaca, sua moglie, e il figlio Astianatte incontrati alle porte Scee. Dei versi così vividi, resi immortali – omaggio di Omero, un acheo, verso i vinti. E poco o nulla con-ta se i personaggi dell’Iliade, il poema tanto caro a Domenique Venner, siano reali o frutto dell’immaginazione del poeta. Essi ci accompagnano. Sotto il medesimo cielo i vincitori e i vinti sono accomunati dal medesimo destino. Ecco perché Eschilo,

il primo cantore dello spirito della tragedia, fa dire in un verso dell’Agamennone ‘Se rispettano i templi e gli Dei dei vinti, i vincitori si salveranno’ – e Curzio Malaparte l’apporrà come citazione all’inizio de La pelle ove descrive l’Italia del 1943-’45 tra la guerra le rovine il degrado civile e morale. Aggiungendo come ‘… una cosa so certamente, che il valore umano dei vinti è superiore a quello dei vincitori’. Non è ammissione da poco. Anche perché i vincitori, con le bombe hanno raso al suolo templi e Dei, fatto loro scempio, e hanno trascinato se stessi – e noi con loro – in questo mondo ingrato. Anche Virgilio – del resto Enea è un esule da Troia in fiamme dopo che con l’inganno è stata violata – rende indiretto omaggio agli italici ostili ai troiani sbarcati sulle rive della loro terra. E lo fa quando, nel Libro IX, durante lo scontro succeduto alla morte di Eurialo e Niso, gli eroi giovanetti, un guerriero, soprannominato Remolo, urla chi essi siano, qual è il loro modello di vita. E, orgoglioso, ‘Durum a stirpe genus (Gente fiera per razza)…’. Gli italici che, ignari del volere degli dei, saranno sangue e carne e ossa da cui e con cui si cementerà lo spirito di Roma, la grandezza di Augusto.

Non si necessita una memoria condivisa – secondo lo storico Joachim Fest ‘Il passato è sempre un museo immaginario’ -, anzi si corre il rischio di farne un alibi, se non un arbitrio. Spetta allo storico – ‘sine ira et studio’, come richiedeva Tacito – trarre dai fatti dagli uomini dal tempo e dalle circostanze le ragioni e i torti, le scelte giuste e gli errori commessi, stabilire l’inesorabile da ciò che poteva darsi e non è stato. Solo i cialtroni, i carnefici della parola, i predatori dell’ideologia, delle fazioni, si arrogano il diritto di stabilire cosa fu ‘il male assoluto’ e chi si schierò ‘dalla parte sbagliata’. Agli storici, non al poeta può preoccupare la distinzione. Gli storici (quelli dell’asineria accademica) ignorano o fingono di ignorare come uno sconosciuto professore, un solo paio di scarpe e senza i soldi per risuolarle, prima di abbracciare un ronzino in piazza Carlo Alberto, a Torino, aveva invitato ad andare ‘al di là del bene e del male’. E, dopo di lui, il modo del pensare non fu più il medesimo. Lo scrittore e il poeta e il testimone lo sanno anche se non dice loro nulla il nome di quel professore, di Nietzsche… Perché, appunto, interessa loro quella ‘musica di sentimenti che appartiene al linguaggio del corpo e non al mondo delle idee. Nel 1936, a settantuno anni dalla fine della Guerra di secessione, una sconosciuta giornalista della Georgia, Margareth Mitchell, pubblica Via col vento, il suo primo ed unico romanzo, ottenendo immediato successo di critica e di pubblico. Soprattutto per la successiva versione cinematografica. Gli Stati Uniti vi trovano l’epopea che li unisce e supera le lacerazioni della guerra civile – oltre seicento mila morti – fino ad allora irrisolte. E nulla conta che i protagonisti siano donne e uomini del Sud, che si battono per la Confederazione, che in tutto il libro si respira nostalgia per il modello di vita, l’eleganza signorile e il buongusto, spazzato via dalla potenza industriale del Nord. La voce dei vinti si fa collettivo richiamo ad una storia comune. Già, la voce – l’ultima – la voce dei vinti… Anche in Italia, dalla fine del secondo conflitto, sono stati scritti dei libri dai vintie vi si trovano ‘buoni’ libri, alcuni.

La maggior parte pubblicati da sconosciute e precarie case editrici – assenti risonanza e recensioni e diffusione – con un circuito da iniziati, quasi si trattassero di società carbonare operanti in clandestinità. Ricordo solo, quali eccezioni, A cercar la bella morte di Carlo Mazzantini e La memoria bruciata di Mario Castellacci e dello storico Roberto Vivarelli La fine di una stagione – senza intenzione di negarne il valore letterario – dove il nome degli autori, il mondo dello spettacolo e quello delle accademie, ha contato più delle considerazioni stilistiche. D’altronde nel presente dominato dall’usurocrazia vendere e presto e tanto… Eppure dal 13 gennaio 1997, su Radiotreper cinque giorni a settimana, ore 19,45, in una ventina di puntate, a cura di SergioTau, ecco circa settanta combattenti della RSI a raccontarsi, sono appunto La voce dei vinti. Senza toni apologetici rivendicazioni o accenti giustificatori – merito questo del regista averli saputi condurre oltre ‘il porto delle nebbie’ di rivalse e rancori e rivincite ormai nella dimenticanza e abbandonate dal fluire rapido e onnivoro della storia. Certo risuonano parole quali Onore e dignità o Patria e combattentismo, queste sì, ma in uomini e donne che, la maggior parte di loro nel 1943 aveva vent’anni e alcuni meno, indossarono l’uniforme la camicia nera il moschetto, quando ormai le sorti del conflitto erano visibilmente segnate, si può e si deve rispettarne il senso ed il valore. Vincitori e vinti. Le ragioni della storia. La causa degli uni non appartiene alla parte di coloro che militarono contro. La memoria, s’è detto, non è una marmellata insipida e appiccicosa, ma qui parlano giovani che scelsero per non essere scelti – e tanto basta… E quelle voci rendevano, nell’immaginario che solo una radio – la buona radio – sa suscitare, e volti e occhi e tratti di una gioventù capace di donarsi, ardente tenace spavalda, in fondo poco o nulla contando per cosa per chi. O, forse, conta ma non in ciò che è testimonianza. Altra la sede e altre le modalità. E quei volti, quella voce, la fermezza che – dopo cinquant’anni – non s’infrange contro la corruzione del tempo, ci invitano a chiederci come e se avremmo saputo reagire in analoga circostanza o ci saremmo protetti in quella ‘zona grigia’, come la definiva lo storico Renzo De Felice. E non è domanda da poco, per noi figli comunque del tempo.

Sono trascorsi venti anni dalla trasmissione. E quegli uomini quelle donne, e alcuni di loro ci furono prossimi in amicizia e stima, sono stati travolti dall’impietosa anagrafe – che tutti unifica, anche se i vivi continuano sui morti a fare scempio, quasi fossero bottino da spartirsi, illudendosi così d’evitare l’inesorabile gorgo. Cosa rimane della loro voce? Ultima s’impone la parola scritta. Con la medesima forza attrattiva, fin da quando Cadmo ne fece dono all’uomo greco nelle remote lande del mito. Sergio Tau ce la rende ed è un dono di tutti e per tutti. Un dono grande. Esso si rinnova e vince e si perpetua e… trasforma i vinti in vincitori, se non di fronte al tribunale della storia che è sempre carnefice e vittima di uomini, di fronte a quella ‘musica di sentimenti’ a cui affidiamo, quale priorità, le emozioni la passione il coinvolgimento. Oggi, con nuovo titolo, La Repubblica dei vinti (Marsilio editore), quei volti e quelle ragioni, quei sentimenti appunto, si scolpiscono con l’inchiostro della carta stampata là dove furono sangue generosamente offerto alla Patria e per l’Onore. Sta a noi che il ‘Tempus tacendi’ si trasformi in ‘Tempus loquendi’, rinnovando quel grido alto ed altro che si levò dopo ‘l’ignobil 8 di settembre’, tramite la parola scritta.

Mario Michele Merlino

1 Comment

  • Giacomo 24 Settembre 2020

    Ho letto e sono rimasto entusiasta mi sono sentito pervadere dal brivido della mia militanza in gioventù grazie

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