24 Agosto 2024
Filosofia

La Retorica della Democrazia e la Democrazia come Retorica – Renato Padoan

Il est certain que la plupart des notions ne peuvent se définir et se comprendre que par leur opposition à d’autres notions. Mais il y a des cas, extrêmement intéressants, où cette relativité rend les notions quasi indéfiniment transposables dans une direction déterminée. On connaît la célèbre façon de caractériser les doctrines politiques par le fait d’être “toujours plus à gauche”. Mais ce déplacement toujours dans une même direction n’est pas seulement observé dans le domaine politique. Il se constate aussi dans les controverses scientifiques.

Ch. Perelman – L.Olbrechts Tyteca

 

 

Premessa 

Le resistenze che s’incontreranno nell’accettare l’argomentazione si devono alla non accettazione delle premesse che la presuppongono. Queste premesse che qui non s’illustrano per mancanza di spazio sono sinteticamente una definizione della ragione in termini di ragione/regione e perciò di limitazione e parzialità. Ciò è come il solito. La ragione non è confortevole. Invece queste resistenze ai limiti della ragione offrono comodità e tutela dall’insieme apparentemente paradossale di queste argomentazioni. Penso che in fin dei conti sia meglio resistervi. Se si accettano queste ragioni verrebbe meno il conforto dell’ignoranza per un male che ritengo incurabile e assai più radicale di quanto non si possa pensare.


 

L’occupazione della cultura da parte della Democrazia non è ideologica ma retorica. In quanto retorica è scientifica. In quanto scientifica è del tutto a priori, necessaria e necessitante. In quanto a priori non ha il supporto dell’esperienza e non glielo si deve, né peraltro lo richiede.

Il luogo comune è che la Democrazia sia ideologica e sia un’ideologia. Si potrebbe convenire che lo sia stata e che ora non lo sia, ma non è così. Non lo è proprio mai stata. Si può anticipare dicendo che è ideologica in quanto utopica, ma ciò è una grossolana falsificazione del concetto di utopia. Ideologia e Utopia divergono. In effetti l’utopia è proprio come la retorica e ne condivide lo statuto a priori tranne che per il tempo, la sua coniugazione.

L’utopia concernendo sempre e comunque il futuro – non si attiverebbe infatti se già fosse realizzata ! – non è né falsificabile, né verificabile e ciò è come per la retorica che concerne l’efficacia e non già la verità. Essa è come la battaglia navale di domani che avverrà o non avverrà … tutto qui. E’ prescrittiva e persuasiva, non concerne la referenza ma la conazione, ordina, non nega né afferma. Siccome è una promessa e quel che si promette non è ora, ci si spera e basta, ci si crede e basta, ci si attiva per realizzarlo ed è tutto. Epperò mentre ogni presente è circostanziato, e in tal senso ragionevole, il futuro semplicemente non lo è, per cui l’ambito del futuro a differenza del presente è totalizzante. Ed è questa la sua forza assoluta, priva di contenzione o contesa e controllo.

La retorica come l’utopia ha statuto scientifico per essere a priori ed essere totalizzante.

La retorica è totalizzante per essere per quest’aspetto come la logica del resto pura forma. Non vi è un contenuto per la retorica ma solo opportunità da sfruttare. E’ bene che quivi ci si liberi subito dell’accezione della retorica intesa come bello stile od ornamentale. La retorica è arte di persuasione con mezzi piuttosto non violenti che violenti e per non violenti s’intende verbali o quasi nel rispetto dell’involucro fisico, corporeo del persuaso. Il fatto notato per scandaloso che il retore potesse porsi a disposizione di chiunque e si governasse a seconda della circostanza è per l’appunto lo statuto scientifico della retorica in tutto simile a quello della scienza che si dichiara sempre neutrale. Il fatto che per la logica al dire di Russel non si sappia di quel di cui discorre ma solo se sia vero o falso, cioè coerisca, fonda la scientificità di una scienza formale come la logica e di qualsiasi scienza. La retorica è al servizio di chiunque e di tutti e come la Democrazia ha uno spirito di servizio illimitato per volere tranne qualche reprobo il bene di chiunque. Altrimenti sarebbe come chiedere a un avvocato se il suo difeso o accusato siano colpevoli o innocenti. La sua bravura è l’indifferenza al problema morale o ideologico in vista e in forza della sola efficacia. Il problema morale sussiste in modo del tutto strumentale come orizzonte d’ingiustizia cui porre rimedio.

La Democrazia non è morale ma è efficace, non è ideologica ma utopica, è però a differenza della destra risulta essere scientifica, cioè non empirica. Questo le risparmia il compito oneroso di doversi indefinitamente documentare. E’ sufficiente un solo caso d’ingiustizia per porre in moto la macchina una volta per tutte.  Non ha contenuti dal momento che li assume tutti. E’ totalizzante e totalitaria ed è infinitamente proteiforme, proteica al punto di assimilarsi alla trasformazione stessa, Ciò è a parer mio così scontato, semplice e chiaro che non meriterebbe ulteriori esplicazioni. Gli esempi però che ora si faranno se chiariscono servono a una relativa dissipazione del paradosso, ma li ritengo per rispetto all’a priori di questa stessa argomentazione di una qualità argomentativa inferiore. E’ sufficiente porre attenzione al manifestarsi … al manifesto … della Democrazia per riscontrare sovrano il potere persuasivo dell’utopia e l’insufficienza dell’assetto ideologico e della conoscenza del limite.

Affrontiamo luoghi comuni per combatterli e non già per servircene. Questi luoghi comuni non sono quelli impiegati dalla retorica della Democrazia ovverosia dalla Retorica per antonomasia, ma sono ancora luoghi comuni di contenuto e non già di struttura, cioè schemi come quello che illustreremo della medietà totalizzante o della mediazione disgiuntiva.

Il luogo comune che il totalitarismo comunista si possa assimilare a quello nazista o fascista è del tutto fallace e fuorviante, anche se le conseguenze sono sotto gli occhi di chiunque e la perplessità e la certezza insieme. Fa parte dell’errore anche lo stupirsi del perché non vi sia tanta, altrettanta severità nei confronti della crudeltà comunista. Ciò risiede per l’appunto nel fatto che il comunismo storico era utopico, si volgeva a un futuro di universale benessere e chiunque potesse opporsi coerentemente non poteva che ritenersi o pazzo o malvagio. Il male perpetrato a fin di bene non è male. Questa è retorica non è ideologia. Mentre infatti alla ideologia ci si oppone, alla sua parzialità, condivisibile o non condivisibile, non ha senso opporsi all’utopia, come non ha senso porre la verificazione o falsificazione a quel che non è ancora e che si spera. Speranza e prescrizione sono temi della retorica e non appartengono in questo caso all’assetto del Logos, della ragione, che compete l’ideologia e non già l’utopia. Per quest’aspetto la Democrazia opera persuadendo in modo non dissimile dalla Magia. Se si oppongono i seguaci della ragione e della limitatezza e del presente agli alfieri del futuro il confronto è irresistibile ed è perdente per i primi.

Un solo seviziato dell’ideologia farebbe un infinito più clamore di milioni di sacrificati all’utopia.

M’infastidisce riconoscere al Nazismo la qualità, nel senso di specificità e prescindendo dal valore, dell’ideologia e della parzialità. Non vi è nulla che sia così parziale in sé come il razzismo di contro al Comunismo sommamente egualitario e totalizzante. Che ciò possa fondarsi “scientificamente” non ha importanza per l’ideologia che separa e che non mira per definizione all’universalità, alla conversione e al proselitismo. Ne consegue la separatezza, la concentrazione e lo sfruttamento, e la gerarchia castale e anche un’economia del risparmio in anticipo per i tempi sui temi dell’ecologia. Un riciclaggio materiale delle risorse che non risparmia gli umani e un’attitudine neopagana di adorazione naturale.

Di contro il comunismo nella sua “envergure” envergure  n.f. wing-span; (importance) scope; (qualité) calibre. utopica ha alterato l’habitat oltre ogni misura e nell’iperumanesimo della sua retorica  e della sua scienza ha compromesso estensioni inaudite di territorio di cui Chernobyl è forse la punta dell’iceberg.

La retorica si costituisce per la vittoria, mentre l’ideologia si costituisce per l’affermazione di sé di contro all’avversario che è sempre circostanziato e riconosciuto in quanto tale. L’ideologia non produce né sopporta assimilazione. Può essere vincente come perdente. Quella nazista lo è stata. L’ideologia comunista non sarà mai perdente né durante il processo e tanto meno alla fine e oltre. Essa si costituisce per la vittoria e ciò l’assimila alla retorica, che si costituisce per la supremazia. Si serve sì del reale ma non si misura, né si lascia misurare con esso.

Nell’adeguazione della Democrazia alla Retorica il tema della supremazia è pregiudiziale e assume l’apparente opposizione di scienza contenuto a quella di generalità invadente come suo presupposto armato. Mentre infatti le proposizioni dell’ideologia sono parziali e in quanto tali confutabili le proposizione dell’utopia e della retorica devono porsi come inconfutabili, irresistibili. Se il retore perde non è un buon retore! Non vi è migliore inconfutabilità della totalità. Semmai si dovesse confutare la totalità non resterebbe che l’opzione nichilista. Quel che si oppone al tutto é il nulla e così l’avversario del tutto, che si oppone al tutto, alla sua massività più che numerosità, assume il ruolo del nulla e con ciò del male, della morte, dell’annientamento e così via. Ciò esigerebbe delle osservazioni sulla relatività culturale, interpretata del nulla nella cultura occidentale che si rimandano ad altro momento.

La Democrazia è l’assunzione della totalità della tesi sostenuta di contro alla nullità o parzialità della proposizione avversaria.

E’ opportuno che qui s’inserisca in breve la differenza che ponesi tra l’argomentare retorico che è piuttosto breve dall’argomentare dialettico che esige tempi e progressioni più lunghe. La vittoria retorica si consegue nel breve tempo, per cui la liquidazione dell’avversario sarà quasi immediata all’atto della contesa, anche se la preparazione dello scontro può essere lunga. L’avversario viene messo in condizione di non resistere per essere il parziale di contro all’universale dell’interesse comune, di tutti e di chiunque.

Il retore, nel nostro caso il politico della Democrazia, si pone subito dalla parte della totalità incontrovertibile fissando l’avversario nel ruolo perdente dell’oppositore che non può che essere malvagio perché quel che si promette non è la parzialità di un bene ma l’assolutezza del bene. Ciò viene conseguito in forza della schema della medietà totalizzante o disgiuntiva. A fronte della parzialità della promessa s’invoca la totalità della promessa.  A chi promette poco o molto ci si oppone promettendo tutto.

Lo schema della medietà totalizzante o disgiuntiva  cui si riduce infine la lancia spaziale o stellare della Democrazia ha in sé l’incongruenza peraltro efficace della contraddizione in adjecto. La medietà infatti o la mediazione non possono essere di per sé totalizzanti ancorché possano sembrarlo.

La funzione di medietà o mediazione è tale da non essere né una cosa né l’altra e ciò ha valore se tra gli opposti è possibile la medietà. L’essere tiepidi è possibile invece di essere o caldi o freddi, ma ciò non comporta per l’essere tiepido l’essere sia caldo che freddo. Se infatti la tiepidezza fosse calda fredda non si avrebbe il termine di tiepidezza stessa, ma s’impiegherebbe indifferentemente il termine di caldo o di freddo e s’intenderebbe caldo dicendo freddo e freddo dicendo caldo, che è proprio quel che fa la Democrazia quando argomenta. La Democrazia non sceglie il bianco o il nero ma il grigio e ma lo gioca come fosse bianco e/o nero, per cui si situa ovunque e in nessun luogo come la pallina nei bussolotti. Se invece l’opposizione fosse del genere pari di contro a dispari, ogni mediazione sarebbe impossibile. Non si potrebbe essere che pari o dispari e in tal senso la totalizzazione non sarebbe né parrebbe essere possibile. Perché dunque la totalizzazione possa essere o sembrare possibile occorrerà una struttura latente di medietà compatibile/incompatibile. Se mi riesce di dimostrare, mostrare che la mia tesi comprende quella dell’avversario oltre la mia la mia superiorità sarà accertata. Un esempio sotto mano di questi giorni è l’affermazione della Democrazia di essere per una “globalizzazione dal volto umano”. Questa tesi è semplicemente irresistibile. Con ciò si è la globalizzazione come vuole l’avversario ma con l’in-più dell’umanizzazione per cui si è tutto, si è il progresso e la tradizione, l’innovazione e la tutela del passato, insomma sia questo che quello e si è tutto mentre  all’avversario compete il ruolo del nulla, della negazione assoluta, dell’oscurità del male e della morte. Ora si è per la crescita e non si può che essere vincenti perché chi è per la decrescita prenderà atto che qualsiasi decrescita conduce alla morte e chi fosse per l’ arresto sarebbe contro il progredire e che cos’è l’arresto se non la morte del cuore? La tesi della crescita è perciò invincibile. In questa semplicità efficace si attinge un’ulteriore vantaggio che la buona e la mala fede si assimilano, la credenza e la persuasione agita funzionano accanto. Chiunque può aver sperimentato come nella Democrazia coesistano buona fede e astuzia. Ma ciò non è una limitazione dal momento che la retorica si pone operativamente oltre l’etica. Il tema è il viaggio e il viaggio richiede compagni per affrontare le difficoltà più che amici o fedeli.

Ora vi è un trucco e ciò compete ancora lo statuto della scienza in quanto universalità. Non deve sorprendere che la scienza sia truccata se mira all’efficacia e tanto meno se vi è nel “prestigio” prestigio e tecnica !

Quel che non è né questo né quello diventa per una distrazione quasi congenita dell’avversario il sia questo che quello.

La persuasione che opera la Democrazia si svolge in tre fasi. Nella prima si offre come mediazione del conflitto per cui non sta né da una parte né dall’altra,  nella seconda assume ambedue i ruoli della contesa per cui è sia una parte che l’altra. Ed è questo il momento del trucco o dell’escamotage in cui una funzione logica che è quella dell’incompatibilità si trasforma in quella della disgiunzione o somma dei termini. La funzione d’incompatibilità logica viene assimilata a quella di disgiunzione. Nel primo caso, in quell’incompatibilità la sola verità non ammessa o falsità sarebbe quella della verità di ambedue le tesi. Che senso varrebbe infatti una mediazione se i contendenti andassero d’accordo! Nel caso invece della disgiunzione la sola falsità sarebbe che avessero ambedue torto ma sia che l’abbia uno o che l’abbia l’altro il torto sarà sufficiente che uno dei due abbia ragione perché l’insieme delle tesi contrapposte unite sia vero. Colui che assume il punto di vista della totalità diventa latore della verità complessiva e rende inutile la presenza dell’altro. Non si capisce infatti come detenendo non una verità parziale ma l’insieme di una verità e del suo contrario debba accompagnarmi a quell’altro. La Democrazia è intimamente, cioè retoricamente, logicamente, scientificamente vincente e sovrana per mezzo di un trucco che appartiene ancora alla retorica in quanto tale. Banalissimamente se si promette della marmellata a qualcuno o del pane a tutti la Democrazia interverrà promettendo pane e marmellata a chiunque. Un retore della Democrazia a fronte dell’obbiezione di uno scadimento della qualità  nella realizzazione dell’eguaglianza replicava affermando che quel che la Democrazia vuole è l’eguaglianza verso l’alto e non verso il basso. Ciò è francamente irresistibile. Non già la Ferrari a qualcuno ma a tutti! Durante la rivoluzione francese per questa genia di retori si era coniato il termine di Incredibili e di Meravigliose le loro donne. Erano incredibili i parrucchieri degli ex nobili che pretendevano ancora di esercitare l’eccellenza del lusso sulla moltitudine democratica delle teste esentate dalla ghigliottina.

La confusione di medietà e disgiunzione appartiene al genere delle fallacie sotto il profilo logico, ma non per la retorica e non è colpevole più di quanto non lo sia la metafora e l’analogia. La pretesa stessa è colpevole sul piano della contingenza temporale del presente ma non per rispetto al futuro.

Se si assume la tesi che la battaglia di domani avverrà o non avverrà non si può che aver ragione come si dicesse che piove o non piove. Per rispetto alla pressione del desiderio e all’orrore dell’ingiustizia o della sofferenza dire che il compito che ci si affida è quello della soddisfazione e del rimedio non può che attrarre la totalità del consenso. Così dopo la mediazione e la somma delle tesi in conflitto come terza fase ci s’impadronisce per così dire del banco, perché la vittoria sia certa e l’avversario si riduca alla banalità di uno scommettitore a caccia di fortuna. La suasione persuasione retorica, la fascinazione magica si compie e il parziale dell’estensione diventa il solo erede dialettico. La Democrazia che prima era parte, si fa mediatrice e infine Tutto.

Che il presente renda impossibile la totalità è incontrovertibile ma che il futuro possa farlo non è fuor di luogo e in tal senso anche l’eliminazione fisica dell’avversario appartiene alla dimostrazione e alla retorica. Che io possa essere tutto in presenza dell’altro è impossibile ma che possa diventarlo per l’eliminazione o la conversione dell’altro, ciò è possibile.

L’artificio della legittimazione della parzialità alla totalità, della parzialità che si fa totalità appartiene alla normale economia del concetto, della significazione. Se assumo su di me l’intensione del concetto dell’insieme, posso arrogarmi la rappresentanza del tutto, prescindendo dall’estensione. Ecco allora che una fetta di torta in nome del gusto che detiene eguale al resto della torta, e poco importa che il resto sia maggioranza o minoranza, si fa tutta la torta. Lo scambio intensione/estensione è lo scambio mediazione disgiunzione. La Democrazia assume su di sé ogni bene per riservare all’avversario il male della parzialità e dell’ideologia.

Ciò è del tutto simile al trucco delle scatolette o bussolotti in cui l’avversario dabbene è impedito alla vittoria perché non vi è pallina sotto al bussolotto dopo le prime manovre di scambio. Il baro rivendica a sé ogni opportunità e non ne lascia nemmeno una al truffato. Egli sogna in grande o sogna semplicemente dal momento che il sogno non lascia posto alla veglia che discrimina il sensibile. Egli è lo stupore dell’apparire e della sparizione, del cilindro coi suoi conigli e dell’albero di cuccagna, del ce n’è per tutti che basta solo dividere e moltiplicare al modo nuziale del miracolo di Canaan.

Non credo sia sufficiente svelare il trucco per opporsi alla Democrazia. La Democrazia stessa non è tale se si vuole totalizzante. Essa a parer mio incarna un delirio del mondano destinato a condurlo alla sua perdizione, oltre che alla potenza della retorica, senza che ciò implichi del lugubre o del … sinistro ma soltanto un eccesso di umanesimo o antropocentrismo che rende incompatibile la presenza dell’uomo con quella della complessità naturale.

Le resistenze di una ideologia liberale che assuma il rischio della parzialità nell’assunzione di un umanesimo responsabile e conflittuale per rispetto al Dio, al modo di Sartre per intenderci o a quello di Monod, sono a parer mio nulle e del tutto insufficienti a contrastare l’idiozia montante e la speranza della scienza nella scienza.

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