11 Ottobre 2024
Islam

La Sapienza del Cuore. Alberto Ventura interprete dell’esoterismo islamico – Giovanni Sessa

Di fronte ai recenti e drammatici fatti di cronaca che hanno avuto per protagonisti affiliati ad organizzazioni terroristiche islamiste, in conseguenza delle reazioni emotive suscitate dai loro attentati, non pochi osservatori hanno invocato la necessità di chiarificare senso e significato della civiltà islamica, onde evitare di cadere in giudizi affrettati, dettati da preconcetto culturale. A quanti siano davvero animati da tale volontà di comprensione, consigliamo vivamente l’ultimo libro di Alberto Ventura, docente di Storia dei Paesi islamici presso l’Università della Calabria e uno tra gli arabisti più noti del nostro paese. Si tratta del volume Sapienza sufi. Dottrine e simboli dell’esoterismo islamico da poco edito dalle Edizioni Mediterranee (per ordini: ordinipv@edizionimediterranee.net, 06/3235433, euro 24,50).

SapienzaSufi

   Il volume raccoglie una serie di saggi dell’autore, scritti qualche anno fa per riviste specialistiche, ma rivisitati e corretti anche alla luce della più recente bibliografia in argomento, inerenti gli aspetti più profondi e significativi del Sufismo “…l’intenzione era quella di mettere in luce da una parte i fondamenti del pensiero metafisico dell’esoterismo islamico, e dall’altra di illustrare il suo versante più propriamente iniziatico” (p. 7). A lettura conclusa è possibile asserire che l’intento perseguito è stato pienamente conseguito: il lettore è, infatti, accompagnato gradualmente dall’autore nella esegesi dei momenti salienti del percorso iniziatico, grazie alla progressiva decodificazione dei simboli, unico linguaggio possibile della Conoscenza metafisica. Solo il simbolo consente di trasporre le realtà sensibili in realtà di ordine superiore, in quanto esso e il simboleggiato sono “tenuti insieme”, unificati, in un modo diretto. Ciò distingue nettamente il simbolo dalla metafora che ha un tratto arbitrario nei confronti di ciò cui allude e rinvia. Il volume, pur essendo una silloge, ha carattere decisamente organico, il lettore non è “distratto” da percorsi intellettuali paralleli, ma è condotto in modalità lineare alla meta. L’approccio di Ventura al tema è centrato sul “metodo tradizionale” che coglie le interferenze di natura e sovranatura, oltre che di storia e sovrastoria, per la qual cosa l’aggiornamento bibliografico, nell’economia generale delle argomentazioni, risulta del tutto accessorio. L’essenziale in tema, lo riconosce in prima battuta lo studioso stesso, era stato colto compiutamente già nella stesura originaria dei testi. Ma che cos’è allora, in essenza, il Sufismo?

   Non va certamente confuso né con una dottrina vagamente spiritualista, magari di tendenza new age, né con il languore esangue e misticheggiante caratterizzante Vie passive di immedesimazione. D’altro lato, la dottrina sufi non ha avuto, in senso proprio, alcuna “evoluzione” storica, ma è una Via iniziatica “Con il termine Sufismo si traduce in genere l’arabo taṣawwuf…che in realtà sta a designare la dimensione propriamente esoterica e iniziatica nell’ambito della civiltà dell’Islam” (p. 9). E’ la verità ultima alla quale rinviano tutti gli aspetti esteriori dell’islamismo, per giungere alla quale è necessaria l’iniziazione. Tre sono i livelli della vita spirituale nell’Islam: al primo livello la legge a cui tutti i fedeli devono sottomettersi, al secondo la via iniziatica per coloro che a tanto sono qualificati ed infine la realtà ultima sufi. Il realizzato è colui che mantiene sobriamente l’equilibrio tra i diversi momenti costituenti la vita spirituale. Egli non darà certo rilievo ai poteri che si possono acquisire, non utilizzerà espressioni paradossali per attrarre a sé l’uditorio, ma tenterà, per quanto possibile, di apparire normale, simile al comune uomo di fede. Il viaggio iniziatico conduce dai molti all’Uno, ma prevede una seconda “conversione” in senso platonico, il ritorno dall’Uno ai molti, una nuova discesa nella caverna del mondo. Il molteplice, a questo stadio, viene concepito con gli occhi della Causa generante, oltre la frammentarietà sensoriale. In forza della sottomissione perfetta al Principio, l’uomo consegue la massima espansione, il cui paradigma è dato dal Profeta, l’uomo universale. Questi vive nell’immediato, nell’attimo, l’intera realtà: per esprimerla non può che avvalersi del Simbolo.

   Ventura attraversa l’intero ventaglio della simbologia iniziatica, muovendo dalla presenza divina nel Cuore. Questo organo è esperito quale rappresentazione di un principio trascendente, è un cuore spirituale, sede dell’intelletto e dell’anima vivente. Per distinguere il cuore fisiologico da quello interiore, il primo viene definito “viscera”, il secondo qualbil cuore ospita nella sua cavità più profonda e nascosta la presenza divina nell’uomo, che costituisce il vero centro dell’essere a partire dal quale viene irraggiato lo spirito” (p. 17). E’ necessario evitare che sul Cuore si formi la “ruggine”, provocata dalla dispersione distruttiva nel molteplice. Ogni simbolo preso in considerazione viene analizzato in termini comparativi con altre Vie tradizionali, in particolare quella indù. Lo studioso lo fa in particolare nell’occuparsi della pratica dell’“invocazione del cuore”, sorta di incantazione mentale che produce effetti sui centri sottili dell’individualità umana, come accade nel Kuṇḍalini Yoga. Ogni elemento costitutivo dell’individualità è in sintonia con corrispettivi principi universali. Così l’invocazione del Nome divino agisce come catalizzatore delle mente e favorisce la concentrazione in un sol punto. Tale controllo attiva la conoscenza dei processi mentali che determinano il pensiero. Il pensiero divino è improvvisa illuminazione che “…manifesta la sua trascendenza rispetto al dominio individuale” (p. 41), distinguendosi però dal polo del pensiero satanico e catagogico. Ventura presenta al lettore la completezza della Via sufi: affronta il tema dell’ “unicità dell’esistenza”, così come discute le undici regole iniziatiche, compie l’esegesi dell’Epistola “sull’unificazione” di Arslan di Damasco e si occupa del “Sigillo dei santi”, ed infine si confronta con la problematica del tempo e del simbolismo della montagna.

    Nel capitolo sul tempo trova sintesi l’intera esegesi dell’Islam che, per la sua idea di temporalità, si prospetta, rispetto ai culti che lo hanno preceduto, quale “riattualizzazione della religione originaria, quale religione della Natura primordiale pura. In sintesi, per la conoscenza metafisica, come rilevato anche da Coomaraswamy, l’eternità non è durata perpetua, essa coincide con il presente reale, con l’istante “quei lampi subitanei nei quali si manifestano le epifanie divine” (p. 199). Il tempo, a differenza di quanto sostenuto da Kant e Newton, non è affatto omogeneo. Ma non lo è, in tale prospettiva, neppure lo spazio, come mostra l’ultimo capitolo dedicato alla Montagna Sacra. Sul Monte Qaf ogni misura, come similmente osserverà nel suo Monte Analogo Daumal, si trasforma in una dilatazione analogica sub specie interioritatis: la sua vetta è abitata dalla Fenice, simbolo dell’immortalità divina che eternamente rinascendo dalle proprie ceneri, torna a mostrarsi all’uomo.

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