La Corte sabauda a Cagliari (1799-1814)
Girolamo Sotgiu, storico sempre attento a interpretare le vicende storiche sarde in senso non localistico ma nell’ambito del più ampio quadro italiano ed europeo, lesse nella repressione dei moti angioiani del 1796 e nel trasferimento della corte sabauda a Cagliari nel 1799 una sorta di “restaurazione anticipata” rispetto a quella avvenuta nel Continente dopo il Congresso di Vienna. Non mancarono tuttavia, durante il soggiorno della famiglia reale a Cagliari e nel quadro di una più generale pacificazione, alcune sollevazioni popolari, isolati strascichi della “sarda rivoluzione” di Giovanni Maria Angioy: i moti popolari di Thiesi (1800), lo sbarco fallito di Francesco Sanna Corda e Francesco Cilloco a Longonsardo, l’attuale Santa Teresa di Gallura (1802), la congiura di Palabanda a Cagliari (1812). Carlo Emanuele IV si era allontanato dall’Isola già il 18 settembre 1799, lasciando come Vicerè il fratello Carlo Felice. Il 2 giugno 1802 Carlo Emanuele IV abdicò a favore del fratello Vittorio Emanuele I, che era privo di discendenza in quanto il figlio maschio Carlo Emanuele era morto a Cagliari l’8 agosto 1799. Nel 1800 Napoleone aveva annesso gli Stati di terraferma dei Savoia alla Francia e pertanto il Regno di Sardegna si era ridotto alla sola Isola. Il Re Vittorio Emanuele I, tuttavia, dopo un soggiorno a Roma tornò in Sardegna solo nel 1806. Durante quegli anni fondò Santa Teresa di Gallura, creò un esercito e una flotta, impiantò industrie cartiere e laniere, potenziò il servizio postale. Nel 1804 il Vicerè Carlo Felice aveva istituito a Cagliari la “Reale società agraria ed economica”, che continuava la tradizionale politica di sostegno all’agricoltura avviata dai Savoia già dai tempi del Ministro Bogino. Con il Regio editto del 4 maggio 1807, la Sardegna venne suddivisa in quindici Prefetture con competenze amministrative e giurisdizionali: Sassari, Alghero, Tempio, Ozieri, Bono, Nuoro, Bosa, Laconi, Oristano, Tortolì, Sorgono, Mandas, Villacidro, Iglesias e Cagliari.
Vittorio Emanuele I dal ritorno a Torino all’abdicazione (1814-1821)
Il 2 maggio 1814 Vittorio Emanuele I ripartì per Torino, lasciando reggente in Sardegna la consorte Maria Teresa. Nello stesso anno Vittorio Emanuele I istituì il Corpo dei Cacciatori Reali, ridenominati nel 1823 Carabinieri Reali. Vittorio Emanuele I, nonostante i suoi intenti restauratori, si ispirò apertamente al modello napoleonico nel ridisegnare l’assetto amministrativo, economico e sociale dello Stato. Con l’editto del 7 ottobre 1814 (poi modificato dai successivi editti del 27 ottobre 1815 e 10 novembre 1818), il sistema degli enti locali venne articolato su quattro livelli amministrativi: divisione, provincia, mandamento e comune. In Sardegna furono istituite le divisioni di Sassari (con le province di Sassari, Alghero, Cuglieri, Ozieri e Tempio) e Cagliari (con le province di Cagliari, Iglesias, Isili, Lanusei, Nuoro e Busachi). Il 16 agosto 1815 anche Maria Teresa tornò a Torino e Carlo Felice riprese la carica di Vicerè di Sardegna. Nel 1815, all’esito del Congresso di Vienna, l’antica Repubblica di Genova fu annessa al Regno di Sardegna. In questo modo il Regno arrivò a contare 3.814.000 sudditi, di cui 455.000 in Sardegna. Il 6 ottobre 1820 Vittorio Emanuele I firmò il famoso “Editto delle chiudende”, pubblicato solo tre anni più tardi. In base a tale editto, qualunque proprietario avrebbe potuto “chiudere di siepe o di muro o vallar di fossa qualunque suo terreno non soggetto a servitù di pascolo, di passaggio, di fontana o d’abbeveratoio”. Tale riforma si ispirava all’idea di una proprietà privata “perfetta”, libera da gravami di qualsivoglia natura, introdotta dal Codice Civile napoleonico e ormai dominante nella scienza giuridica europea. Il provvedimento, pur giusto in linea di principio, si prestò a critiche in sede applicativa a causa degli abusi commessi da occupanti privi di titolo e fu aspramente contestato dai pastori, la cui libertà di pascolo venne notevolmente limitata.
Carlo Felice Re di Sardegna (1821-1831)
I moti costituzionali scoppiati a Torino il 10 marzo 1821, che ebbero un’eco in Sardegna con la rivolta di Alghero, fallirono a seguito della sconfitta dei rivoluzionari a Novara l’8 aprile. In conseguenza dei moti Vittorio Emanuele I abdicò e ascese al trono il fratello minore Carlo Felice, già da molti anni Vicerè in Sardegna e grande riformatore. Il 27 novembre 1821 Carlo Felice approvò il progetto dell’ingegnere Giovanni Antonio Carbonazzi di ricostruzione dell’antica strada Cagliari-Sassari-Porto Torres, poi denominata “Carlo Felice” (attuale SS 131). Carlo Felice istituì con il Regio Editto del 24 giugno 1823 scuole elementari (affidate agli Scolopi) e secondarie (affidate ai Gesuiti) nei comuni dell’Isola. con il Regio Editto, dettò disposizioni in materia di agricoltura, riorganizzò l’annona, la sanità pubblica, le prefetture, gli uffici giudiziari e gli uffici di polizia. Nel 1827 fu emanato il Codice delle Leggi civili e criminali del Regno di Sardegna, cosiddetto “Codice Feliciano”, che dopo quattro secoli e mezzo prese il posto della “Carta de Logu” di Eleonora d’Arborea come legge fondamentale dell’Isola in materia civile e penale.
Carlo Alberto Re di Sardegna (1831-1849)
Nel 1831 Carlo Alberto, discendente del ramo cadetto sabaudo dei Carignano, successe a Carlo Felice. I Carignano si erano separati dalla linea dinastica principale dei Savoia con Tommaso Francesco, figlio cadetto di Carlo Emanuele I, nato nel 1596. Il nuovo Re volle constatare di persona i problemi e le esigenze dell’Isola, che percorse per ben tre volte, la prima delle quali in compagnia del famoso Conte Alberto Ferrero della Marmora. Immediatamente mise mano al riordino delle esenzioni daziarie, dei controlli sugli enti locali, del servizio postale. Il 21 maggio 1836 fu abolita la giurisdizione feudale, cui erano ancora soggetti tutti i Sardi non residenti nelle sette città regie. In conseguenza dell’abolizione della giurisdizionale feudale, vennero istituiti sette tribunali di Prefettura (con annessa prigione) a Cagliari, Isili, Oristano, Nuoro, Lanusei, Sassari e Tempio, da cui dipendevano altri uffici giudiziari minori denominati mandamenti. Nel 1836 fu introdotto nell’Isola il sistema metrico decimale per pesi e misure e venne riformato il sistema monetario. La completa abolizione del feudalesimo fu disposta tra il 1834 e il 1843, nonostante le remore derivanti dall’impegno internazionale assunto dai Savoia con il Trattato di Londra del 1718 di rispettare i privilegi e le leggi concessi dai precedenti governi. Nel 1834 fu nominata una Regia Delegazione incaricata di quantificare le rendite il cui calcolo doveva essere alla base degli indennizzi da corrispondere ai feudatari Il riscatto delle proprietà e dei diritti feudali fu concluso nel 1843. Anche gli anni di regno di Carlo Alberto, come quelli del suo predecessore, furono dunque segnati da un grande impulso riformatore.
Cultura e ideologia in Sardegna durante il regno di Carlo di Alberto
Durante il Regno di Carlo Alberto, la penetrazione delle idee politiche provenienti dal resto d’Italia di fece più intensa. Nel 1833 l’ufficiale sassarese Efisio Tola, di anni 30, venne fucilato a Chambéry in Savoia per avere diffuso la rivista mazziniana “Giovane Italia”. Nello stesso anno 1833 Carlo Alberto istituì la Deputazione Sarda di Storia Patria, che dal 1845 avrebbe pubblicato il “Codex Diplomaticus Sardiniae” a cura di Pasquale Tola, già autore del “Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna” (1838). Gli altri principali esponenti della cultura sarda durante il regno di Carlo Alberto, tutti partecipi del dibattito culturale ed ideologico dell’Italia del tempo, furono Giuseppe Manno, autore della “Storia di Sardegna” (1825) e della “Storia moderna di Sardegna”(1842); Vittorio Angius, autore del “Dizionario degli Stati di S.M. il Re di Sardegna” (1836) e dell’Inno Sardo “Cunservet Deus su Re” (1843), musicato da Giovanni Gonella; Pietro Martini, autore della “Storia ecclesiastica sarda” (1839), noto anche per aver pubblicato in buona fede le c.d. “false carte d’Arborea”; Giovanni Siotto Pintor, autore della “Storia letteraria di Sardegna” (1842); Giovanni Spano, autore del “Vocabolario sardo-italiano” (1851). Negli anni Trenta e Quaranta apparvero le riviste “L’Indicatore Sardo” , “La Gazzetta di Sardegna”, “Il Promotore” e “La Meteora”, seguite nel decennio successivo da “Ichnusa”. I principali quotidiani sardi alla vigilia del 1848 furono “L’indipendenza italiana” dei fratelli Siotto Pintor, di orientamento monarchico, “L’indicatore sardo” dei fratelli Martini, di indirizzo giobertiano, e “Il Nazionale” del mazziniano Vincenzo Brusco Onnis. In ultima analisi, “Con Carlo Alberto si strinsero più tenaci i nodi non solo col Piemonte ma anche con l’Italia; si compì quel processo d’italianizzazione, che s’era chiaramente delineato nei propositi di Casa Savoia, all’indomani del 1720”.
La “Fusione perfetta” del 1847 e le sue conseguenze giuridiche
Nell’ottobre del 1847, sull’onda dell’entusiasmo risorgimentale che in quell’anno pervadeva l’Italia, a Cagliari e Sassari vi furono manifestazioni da parte degli studenti universitari e di alcuni ceti cittadini (impiegati, professionisti, commercianti) che chiedevano la cosiddetta “Fusione perfetta” tra la Sardegna e gli Stati di Terraferma, uniti fino ad allora soltanto dalla persona del Re. La richiesta fu portata a Torino da delegazioni delle città di Sassari e Cagliari e Carlo Alberto la accolse immediatamente. L’ultimo Vicerè Carlo Gabriele de Launay annunciò che il Sovrano “ha deciso di formare una sola famiglia di tutti i suoi amati sudditi con perfetta parità di trattamento”. Fu così abolita l’antica autonomia legislativa e amministrativa dell’Isola, fino ad allora dotata di un ordinamento giuridico separato rispetto agli Stati di terraferma. In tal modo il Regno di Sardegna, da Stato “composto”, divenne Stato “unitario” e conseguentemente furono abolite la carica viceregia e gli antichi Stamenti del Regno. Anche il “Codice feliciano” venne sostituito dai codici civile, commerciale, penale e militare promulgati da Carlo Alberto per gli Stati di terraferma tra il 1837 e il 1842. Con il “Regio editto per l’Amministrazione dei Comuni e delle Provincie” del 27 novembre 1847, il sistema amministrativo piemontese fu esteso a tutto il territorio sabaudo. Divisione e Provincia furono dotati di consigli elettivi. L’Isola fu ripartita amministrativamente in tre divisioni: Cagliari (con le province di Cagliari, Oristano, Iglesias e Isili), Nuoro (con le province di Nuoro, Cuglieri e Lanusei) e Sassari (con le province di Sassari, Alghero, Ozieri e Tempio). Lo Statuto concesso da Carlo Alberto il 4 marzo 1848, cui seguì l’adozione del Tricolore italiano quale bandiera del Regno e l’inizio della Prima Guerra di Indipendenza contro l’Austria, sanzionò quella fusione: “e l’isola inviò i proprî figli a rappresentarla al parlamento subalpino, e molti volontarî versarono il loro sangue sui campi delle guerre dell’indipendenza”.
Vittorio Emanuele ultimo Re di Sardegna e primo Re d’Italia (1849-1861)
Alla Prima Guerra d’Indipendenza parteciparono 1192 sardi, tutti volontari o professionisti: la leva obbligatoria, introdotta con Regio Editto del 1837, sarebbe stata applicata nell’Isola solo dal 1851. Garibaldi, molto legato alla Sardegna a causa del noto legame con Caprera, fu seguito da molti Sardi nelle sue imprese risorgimentali: tra questi il cagliaritano Angelo Portoghese, i maddalenini Giovanni Battista Culiolo, Antonio e Niccolò Susini. Dopo le sconfitte di Custoza del 9 agosto 1848 e di Novara del 23 marzo 1849, Re Carlo Alberto dovette abdicare a favore del figlio Vittorio Emanuele II. Negli anni successivi, all’ombra della nuova bandiera tricolore del Regno e sotto la vigenza dello Statuto parlamentare, conservato dal nuovo Re nonostante le contrarie pressioni austriache, il nuovo Primo Ministro Camillo Benso Conte di Cavour continuò la politica giurisdizionalista di limitazione dei privilegi della Chiesa, già avviata con l’allontanamento dei Gesuiti dallo Stato nel 1848 e con l’abolizione delle decime. La legge Siccardi del 1850 abolì la “manomorta” sugli immobili ecclesiastici, il c.d. “diritto d’asilo” e il “foro ecclesiastico”, assoggettando in tal modo il clero alla giurisdizione statale. La legge Rattazzi del 1855 soppresse numerosi ordini ecclesiastici e ne trasferì i beni allo Stato. Per quanto riguarda la Sardegna, quattro successive leggi (1844, 1851, 1853, 1857) abolirono gli “ademprivi”, ovvero i diritti sui terreni incolti che limitavano la proprietà perfetta. Fu istituita una Banca Sarda e si esperì un tentativo di colonizzazione di 200.000 ettari di terreno da parte della Banca francese Bonnard. La legge Rattazzi del 23 ottobre 1859 abolì la ripartizione in divisioni introducendo l’ordinamento provinciale, che poi sarebbe stato esteso a tutta l’Italia unita. In Sardegna furono istituite le due province di Cagliari e Sassari. Il processo unitario italiano stava intanto per compiersi con la Seconda Guerra d’Indipendenza: come ricordano A. Trova e G. Zichi, “La Sardegna diede, anche in quell’occasione, il suo contributo. Dalle Università l’afflusso dei volontari fu tale che esse rimasero per qualche tempo praticamente chiuse”. Tra i Mille che partirono per la Sicilia nel 1860 i Sardi furono tre: il tempiese Francesco Grandi, il cagliaritano Efisio Grumignano e il maddalenino Angelo Tarantini. A seguito del voto favorevole del Senato a maggioranza di 196 voti contro 2 (26 febbraio 1861) e della Camera dei Deputati per acclamazione (14 marzo 1861), il 17 marzo 1861 venne promulgata la legge n. 4671 del Regno di Sardegna, il cui articolo unico disponeva che il Re Vittorio Emanuele II assumeva per sé e per i suoi successori il titolo di Re d’Italia. Il successivo 21 aprile 1861 fu promulgata la legge n.1 del nuovo Regno d’Italia – significativamente nel giorno del “Natale di Roma”, anniversario della fondazione romulea dell’Urbe – con cui venne stabilita la formula “per grazia di Dio e per volontà della Nazione Re d’Italia” da apporre agli atti regi.
Luca Cancelliere
BIBLIOGRAFIA
Manlio Brigaglia, “Storia della Sardegna” (Cagliari 1998)
Francesco Cesare Casula, “Dizionario Storico Sardo” (Cagliari 2006)
Francesco Cesare Casula, “La storia di Sardegna” (Sassari 1994)
Girolamo Sotgiu, “Storia della Sardegna sabauda” (Roma – Bari 1984)
Assunta Trova – Giuseppe Zichi, “Dalla “fusione” all’Unità” (Sassari 2011)