Il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia «Leonardo da Vinci» di Milano
Prima della svolta global-massonica che ha investito dal 2001 l’intero Occidente, e in primis la nostra Nazione, la cultura italiana a cominciare dal Rinascimento abbracciava una idea di interdipendenza tra pensiero umanistico e scientifico, in evidente antitesi con le posizioni laiciste propugnate da René Descartes (1596 – 1650), che sono state i prodromi dell’Illuminismo. Oggi, queste derive si sono purtroppo consolidate anche nel cosiddetto Belpaese – si pensi all’esecrabile Pontificato di Jorge Mario Bergoglio – eppure, esiste un museo a Milano che si attesta come una epitome di quello che da noi è sempre stato il rapporto tra tecnologia e creatività. Parliamo del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia «Leonardo da Vinci», custode di una storia che vede protagonista la scienza, certo, ma parimenti l’arte, come andremo a spiegare.
Trattasi della più ricca e variegata collezione al mondo sulla tecnica; il tanto osannato Deutsches Museum di Monaco, per quanto ampio e interessante, non è affatto allo stesso livello. Il merito della fondazione della Istituzione meneghina si deve all’ennesimo campione del mecenatismo imprenditoriale lombardo; ossia, l’ingegnere Guido Ucelli (1885 – 1964). Egli credeva che Milano, per quella sua inclinazione alla innovazione che l’ha caratterizzata dagli inizi del ‘900, fosse la città più adatta per ospitare un grande museo consacrato alla tecnologia italiana e internazionale, nel segno di un dialogo costante tra cultura umanistica e tecnico-scientifica. Ucelli riteneva giustamente fondamentale la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico in ambito tecnologico e manifatturiero quale forte elemento identitario essendo utile per incentivare l’individuo a sviluppare un rapporto costruttivo e duraturo con la scienza.
Il Museo fu inaugurato nel 1953, e le sue raccolte e spazi espositivi (attualmente coprono una superficie di 50.000 mq) si sono ampliati costantemente. I temi affrontati nel percorso museografico sono diversi: Astronomia, Elettricità, Fotografia, Telecomunicazioni, Trasporti, ecc. L’edificio che lo accoglie – un monastero Olivetano del XVI secolo – è di per sé una perfetta sintesi della missione di questo Istituto, nel voler coniugare il sapere tecnico con la espressività creativa dell’uomo. Anche in questo caso, i nostri odierni sedicenti «alleati» non si sono risparmiati di colpire, assieme ad altre costruzioni di pregio milanesi, un luogo così prezioso, per la precisione durante un pesante bombardamento nell’agosto del 1943. Ciononostante, il complesso venne prontamente e sapientemente restaurato dagli architetti Enrico Griffini, Piero Portaluppi e Ferdinando Reggiori e riaperto al pubblico nell’aprile del 1947.
Non sarà certo passato inosservato al lettore che il Museo è intitolato a niente di meno che a Leonardo da Vinci, il quale è unanimemente considerato come il simbolo della continuità tra cultura artistica e conoscenza scientifico-tecnologica. Per questo, nel dicembre 2019, anno delle celebrazioni del 500° anniversario della sua morte, sono state allestite delle Gallerie che si attestano come la più completa esposizione permanente a lui dedicata, omaggiando il talento di Leonardo come ingegnere e indagatore della Natura, con oltre 170 opere (70 modelli e plastici storici, 33 naturalia, 18 volumi antichi, 17 calchi, 14 fra affreschi e dipinti, 6 manufatti antichi, 13 facsimili storici), nonché 39 installazioni multimediali che accompagnano il visitatore per 1300 mq alla scoperta di idee, saperi e sogni che contrassegnarono le visioni maggiormente ardite del Rinascimento. Un viaggio che, a partire dalla Firenze del Quattrocento, ripercorre la formazione di Leonardo tra l’arte della guerra, le vie d’acqua, il volo, per terminare con uno sguardo sulla sua influenza sulla pittura lombarda dell’epoca.
Tuttavia, pure le altre sezioni espositive sono di enorme fascino, includendo aree interne ed esterne. Ad esempio, un vanto del Museo, al pari del succitato nucleo leonardesco, è il Padiglione Aeronavale, ove si illustra la sontuosa tradizione italiana in questo settore, con aerei, modelli di vascelli, strumenti, attrezzature nautiche, e imbarcazioni civili e militari. Di sicuro impatto, in tal senso, sono il veliero scuola della Marina «Ebe», il Ponte di Comando del Transatlantico «Conte Biancamano» – quest’ultimo si compone di tre piani per una altezza complessiva di 16 metri e comprende la Plancia e la Controplancia, alcune cabine di prima classe, e il Salone delle Feste – e il celebre catamarano «Luna Rossa», concorrente alla America’s Cup 2013. Per non parlare del sottomarino «Enrico Toti», che è possibile ammirare ed esplorare dall’interno in uno degli spazi all’aperto. Varato nel 1967, è stato il primo costruito in Italia dopo la Seconda Guerra Mondiale, col compito di pattugliare le acque del Mediterraneo.
Non poteva ovviamente mancare una parte rivolta ai treni. Nel Padiglione Ferroviario, costruito come una tipica stazione Liberty, lungo quattro banchine ci sono delle vere rarità: la Locomotiva E.430 del 1900 e quella a vapore Gr.552, che trainava il convoglio nel tratto che passava per la Penisola Italiana della «Valigia delle Indie» (un percorso che collegava Londra a Bombay nel periodo 1870 – 1914), e svariati segnali ferroviari e impianti di comunicazione necessari per regolamentare il traffico su rotaia.
Per quanto concerne le Telecomunicazioni, l’esposizione permette di tracciarne le tappe salienti con telegrafi, radio, telefoni, per giungere a quelle che ormai gli specialisti sogliono definire: Information and Communication Technologies (ICT). Nel costante e legittimo desiderio di rimarcare l’italico ingegno, spicca poi un esemplare della «Programma 101». Non molti sanno che questa calcolatrice programmabile realizzata dalla mitica e compianta Olivetti nei primi anni Sessanta è da considerarsi a tutti gli effetti una antesignana del moderno personal computer.
Rimanendo in ambito, diciamo, avveniristico, il Museo possiede una replica fedele in scala 1:1 del Vega Flight VV01, il principale vettore della Agenzia Spaziale Europea (ESA). Lanciato nel febbraio del 2012, è alto 30 metri e con una massa di 137 tonnellate. Proprio dallo spazio arriva la «Goodwill Rock», un frammento di pietra lunare raccolto nel dicembre del 1972 dagli astronauti dell’Apollo 17, l’ultima missione americana sulla Luna. È un reperto dal valore inestimabile e una testimonianza tangibile delle sfide scientifiche e tecnologiche che l’uomo affronta e vince per appagare il suo afflato verso l’esplorazione.
Sia come sia, il vero unicum del Museo è rappresentato da una notevole serie di beni artistici – un qualcosa di assolutamente singolare per collezioni di questo tipo – che ammonta a circa 2500 pezzi (dipinti, disegni, sculture, oggetti d’arte applicata e opere di fattura orientale), frutto di generosi lasciti di aziende e privati. Al momento, queste raccolte sono nei depositi, ma sarebbe quanto mai opportuno offrirle alla pubblica fruizione, così da rendere ancora più evidente quella vocazione universale della Istituzione milanese e a cui abbiamo ampiamente dato risalto.
Guido Ucelli volle fare della conservazione della memoria tecnica un servizio culturale e didattico, per un proficuo sviluppo di una dialettica tra avanzamento tecnologico e sociale. In un suo carteggio con Giulio Carlo Argan, il noto storico dell’arte gli raccomandava di creare un: «Museo del divenire del mondo». Ordunque, questa sì che è la autentica prospettiva italiana nei riguardi della Scienza (quella con la «S» maiuscola), intesa come un messaggio di profonda cultura, mentre lo scientismo che stiamo vivendo adesso è l’esatto contrario, nel suo essere una virulenta forma di oscurantismo intellettuale e degradazione morale. Ci conforta almeno pensare che il tesoro di oggetti e ricordi che abbiamo qui raccontato lascia pochi dubbi sul contributo dato dall’Italia al progresso della Umanità, il quale è incontestabile e, probabilmente, ineguagliabile.
Riccardo Rosati
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