Un esempio molto evidente di ciò riguarda quel segmento della scienza storica che concerne la storia contemporanea. In questo caso, è palese che la versione “ortodossa”, “ufficiale” degli eventi del secondo conflitto mondiale, che è quella che dà tutte le ragioni alla parte vincitrice e tutti i torti a quella perdente, si basa sull’ignoranza della gente, sulla censura, sull’impossibilità per i più di accedere a interpretazioni alternative, altrimenti non ci sarebbe partita. Tra gli storici “revisionisti” e i difensori dell’ortodossia non c’è termine di confronto: da una parte abbiamo ricerche, argomenti, documentazione e anche un notevole coraggio personale; dall’altra repressione, leggi liberticide, galera o violenza assassina allo stato puro: ne sono un esempio i nove attentati, tutti volti a uccidere, a cui è scampato Robert Faurisson, ma anche i quattro subiti dal nostro Giorgio Pisanò.
Una scienza storica così “strabica” porta a enfatizzare il ruolo storico del Medio Oriente dove il cristianesimo è nato, e a minimizzare quello dell’Europa. Si può arrivare al diploma e anche alla laurea avendo sentito parlare di piramidi e di ziggurat e non aver sentito nominare nemmeno una volta Stonehenge o Externsteine o nemmeno un altro dei monumenti megalitici dell’Europa preistorica.
Accanto alla “scienza” economica e parzialmente in alternativa a essa, esiste quell’altra “scienza” chiamata dal suo fondatore “economia politica”, ma che tutti conoscono con il suo stesso nome, “economia marxista” o semplicemente “marxismo”. L’esistenza di movimenti politici e di regimi marxisti ha fatto spesso dimenticare che il marxismo è in primo luogo un sistema teorico “dottrinale” con una visione dell’economia, un’ideologia politica, un’interpretazione della storia (“materialismo storico”), una sua visione filosofica (“materialismo dialettico”). E’ importante entrare in questo – perverso – meccanismo mentale, soprattutto perché occorre capire che le più spaventose autocrazie della storia umana, i comunismi, sia quelli crollati nel 1990, sia quelli che sopravvivono a Cuba, in Cina, in Corea, Mongolia, Vietnam, non hanno affatto tradito il pensiero di Karl Marx come vorrebbero gli ultimi epigoni di questo “profeta rivoluzionario”, lo hanno semplicemente applicato.
Marx amava molto definire la sua utopia “socialismo scientifico”. Di scientifico, essa in verità non aveva nulla. La dialettica hegeliana interpretata non più come movimento di pensiero, ma posta a fondamento del reale è incompatibile non solo con la scienza moderna (il che sarebbe ancora poco, visto che, come vedremo meglio più avanti, la scienza moderna è anch’essa una costruzione ideologica che si pre
sta facilmente alla manipolazione), ma con due millenni e mezzo di pensiero e con la logica come si è sviluppata da Aristotele in poi.
Il legame dell’economia e le scienze sociali con la politica è ovvio, e per conseguenza sarebbe ben difficile non aspettarsi una parzialità che ne renda alquanto dubbia la patente che le accredita come discipline “scientifiche”, ma cosa dire quando scendiamo al livello del comportamento del singolo, della psicologia, un settore che dovrebbe essere quanto mai oggettivo e scientifico, anche perché si tratterebbe almeno in teoria di venire incontro alle sofferenze ed al “male di vivere” di milioni di persone, eppure in questo campo troviamo in primo luogo una “dottrina” che di scientifico non ha nulla, la psicanalisi, e uno scienziato che in verità dello scienziato non ha nulla e somiglia molto di più a un santone, Sigmund Freud.
Freud aveva organizzato il “movimento psicanalitico” come una vera e propria setta composta da adepti che dovevano essere disposti a giurare sulle sue parole, sacre e intangibili, e fu pronto a stroncare qualsiasi manifestazione di originalità di pensiero. Sono storici, a questo proposito, gli scontri, culminati con l’espulsione/scomunica dei reprobi che ebbe con Karl Gustav Jung che ne sarebbe dovuto essere il delfino, e con Alfred Adler.
ne di essere curato. E’ noto il detto che una “terapia” psicanalitica “può concludersi con la morte del paziente, ma mai con la rinuncia dell’analista a curare”.
Nato nel secondo decennio del XX secolo, i comportamentismo si è basato su di un assunto metodologico giusto e ne ha tratto conseguenze sbagliate, non implicate in esso e fortemente in linea con l’ideologia democratica. L’assunto metodologico giusto era che non si può osservare la mente altrui, e che la psicologia deve dedicarsi allo studio del comportamento osservabile. Da ciò NON SEGUE che tutta l’attività psichica si possa ridurre ai riflessi condizionati pavloviani, che non sia possibile distinguere fra comportamento intelligente e finalizzato a uno scopo e comportamento insensato e non finalizzato, né, infine, che il patrimonio genetico e la storia evolutiva delle specie (uomini compresi) non abbiano alcuna influenza sul comportamento.
Forse non è nemmeno il caso di insistere troppo sul fatto che, effettivamente alcuni presidenti degli Stati Uniti sono stati fra i peggiori delinquenti che la storia umana abbia mai conosciuto, ad esempio Franklin Delano Roosevelt che lavorò attivamente a travolgere il mondo nella tragedia della seconda guerra mondiale allo scopo di annientare l’antica centralità europea e assicurare l’egemonia planetaria americana, o Harry Truman che ordinò i bombardamenti nucleari sul Giappone quando quest’ultimo si era già arreso.
eteso che questi fossero la spiegazione di tutta la vita psichica. Ivan Pavlov, a sua volta, sebbene non si fosse mai dichiarato comunista e appartenesse alla generazione pre-rivoluzionaria (era nato nel 1849), non solo passò indenne il periodo staliniano, ma dal potere sovietico ricevette solo incoraggiamenti e onori: l’idea dischiusa dalla sua psicologia, che l’essere umano fosse, grazie agli stimoli giusti, manipolabile e plasmabile a piacere come creta molle, era troppo allettante per la nomenklatura sovietica.
Non dovremmo mancare di riflettere sul fatto che nei due imperi che hanno dominato la scena mondiale nella seconda metà del XX secolo, la concezione dell’uomo sia stata esattamente la stessa, uno di quei fatti che inducono a pensare che, nonostante le apparenze, la differenza fra l’uno e l’altro sia stata più una questione di dettagli che di sostanza.
Le poche volte che i ricercatori si lasciano guidare dall’obiettività dei fatti piuttosto che dal pregiudizio ideologico, il muro di resistenze con cui vengono a scontrarsi è fortissimo. Sergio Gozzoli nel suo articolo La rivincita della scienza pubblicato sul n. 44 de “L’uomo libero” ne ha dati diversi esempi, fra cui l’aggressione subita da parte di un commando di femministe dal sociobiologo Edward O. Wilson quando nel corso di un convegno osò parlare delle basi biologiche delle differenze comportamentali fra uomo e donna, e la maniera allucinante, davvero orwelliana, in cui a un altro scienziato, Frederick K. Goodwin fu impedito di presentare i risultati di uno studio decennale sulle basi genetiche dei comportamenti aggressivi nei giovani maschi americani (2). In questi casi, buona norma democratica vuole che il ricercatore a cui si tappa la bocca sia ingiuriato con l’epiteto di “fascista” e forse i “buoni democratici” non si rendono conto che in questo modo fanno diventare ogni giorno di più “fascismo” sinonimo di libertà e di indipendenza di pensiero.
erò stavolta proveniente dall’interno degli ambienti scientifici stessi, è rappresentato da quello che è stato forse il più noto divulgatore scientifico statunitense, Stephen Jay Gould, e la questione di cui si è venuto a occupare è forse la più scomoda e spinosa per uno scienziato “democratico”.
Padrino di questa rinascita è stato Konrad Lorenz; grazie al lavoro di drammatizzazione di Robert Ardrey ed a quello narrativo di Desmond Morris si è data dell’uomo l’immagine di una “scimmia nuda” discendente da un carnivoro africano, con una aggressività innata ed una altrettanto innata tendenza al dominio del territorio” (3).
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