8 Ottobre 2024
Scienza

La scienza manipolata – prima parte –

Di Fabio Calabrese
 In teoria, molto in teoria la scienza dovrebbe essere, prima che un corpus di conoscenze e dottrine, un metodo per l’accertamento dei fatti, basato sull’osservazione, l’esperimento, la formulazione di ipotesi, la verifica, conferma o correzione delle stesse attraverso nuovi esperimenti, un metodo che nelle sue grandi linee è stato messo a punto già nel XVII secolo da Galileo Galilei. Nella realtà, però, le cose stanno ben diversamente e la scienza riesce a essere neutrale, obiettiva, disinteressata nella misura – molto scarsa – in cui sono neutrali, obiettivi, disinteressati coloro che la fanno, gli scienziati, che sono uomini, che vivono in un contesto sociale, che dipendono dall’approvazione del sistema, che sono sensibili quanto ogni altro essere umano a pressioni e ricatti, che, come gli altri esseri umani appartenenti a una qualsiasi altra categoria, possono mentire per convenienza, essere in mala fede.

All’atto pratico, si può dire che ciò che noi conosciamo, o ci viene spacciata come “scienza”, di obiettivo non ha proprio nulla, è una costruzione di tipo ideologico al servizio delle classi dominanti, volta a diffondere a tutti i livelli della cultura e della società quella della scienza storica che possiamo definire la mentalità democratica, ossia una mentalità che legittima le classi che attualmente detengono il potere nel cosiddetto “mondo occidentale”.

Un esempio molto evidente di ciò riguarda quel segmento della scienza storica che concerne la storia contemporanea. In questo caso, è palese che la versione “ortodossa”, “ufficiale” degli eventi del secondo conflitto mondiale, che è quella che dà tutte le ragioni alla parte vincitrice e tutti i torti a quella perdente, si basa sull’ignoranza della gente, sulla censura, sull’impossibilità per i più di accedere a interpretazioni alternative, altrimenti non ci sarebbe partita. Tra gli storici “revisionisti” e i difensori dell’ortodossia non c’è termine di confronto: da una parte abbiamo ricerche, argomenti, documentazione e anche un notevole coraggio personale; dall’altra repressione, leggi liberticide, galera o violenza assassina allo stato puro: ne sono un esempio i nove attentati, tutti volti a uccidere, a cui è scampato  Robert Faurisson, ma anche i quattro subiti dal nostro Giorgio Pisanò.

Tuttavia questo non è che un esempio relativo a un settore molto specifico. Tutta la scienza storica, tutto ciò che “conosciamo” come storia, tutto ciò che ci è stato insegnato come tale fin dall’antichità più remota, è il prodotto di un’estesa manipolazione. La nostra visione della storia è stata ampliata, approfondita, particolareggiata, ma fondamentalmente continua a derivare dalla narrazione biblica. Quelli che possiamo considerare progressi effettivi della conoscenza sono sempre nati dalla frattura con l’ortodossia biblica: Copernico e Galileo nell’astronomia e nelle scienze fisiche, Darwin nella biologia, ma nelle scienze storiche non ci sono mai stati un Copernico, un Galileo, un Darwin.

Una scienza storica così “strabica” porta a enfatizzare il ruolo storico del Medio Oriente dove il cristianesimo è nato, e a minimizzare quello dell’Europa. Si può arrivare al diploma e anche alla laurea avendo sentito parlare di piramidi e di ziggurat e non aver sentito nominare nemmeno una volta Stonehenge o Externsteine o nemmeno un altro dei monumenti megalitici dell’Europa preistorica.

Non c’è da pensare che le cose possano migliorare spontaneamente nel prossimo futuro. Attraverso due guerre mondiali l’Europa ha perso la sua egemonia planetaria per finire ad essere prima, nell’epoca della Guerra Fredda, una sorta di campo di battaglia congelato, diviso fra le superpotenze sovietica e americana e poi, a partire dal 1990, una serie di protettorati sotto il dominio statunitense. In queste circostanze non ci possiamo aspettare che la cultura ufficiale, che altro non è se uno strumento del potere, faccia nulla che possa servire a riaccendere negli Europei il senso della propria identità e del proprio orgoglio.

A tutto ciò, però, ho dedicato un ampio saggio, Ex oriente lux, ma sarà poi vero?, che ho pubblicato sul sito di “Ereticamente” diviso in quattro parti, che se siete interessati potete andare a leggere, e adesso non è necessario ripetermi (1). 

La scienza storica, tuttavia, non è la sola a essere manipolata: ci troviamo di fronte a un esteso sistema di falsificazioni che investono tutti i campi dello scibile, le scienze “umane” come quelle “naturali”, persino la fisica, ma vediamo le cose con un certo ordine partendo da un campo che di questi tempi è drammaticamente di attualità, l’economia. La “scienza economica” come viene comunemente intesa si fonda su due premesse assolutamente erronee che il più delle volte sono sottintese guardandosi bene dall’enunciarle apertamente, esse sono:

1. L’oggetto dell’economia è qualcosa di oggettivo, esterno alle comunità umane, un po’ come l’oggetto della meteorologia.
2. Esiste qualcosa che si può definire come l’interesse complessivo della/delle società. Quest’ultimo è il vecchio dogma del liberismo, mai dimostrato e tuttavia pecorescamente accettato come una verità di fede, della “mano invisibile” fantasticata (o delirata) da Adam Smith, che armonizzerebbe gli interessi individuali in un bene collettivo.

E’ necessario ribadire che:
1. L’economia è sempre il prodotto dei comportamenti umani.
2. Gli interessi umani (dei singoli e dei gruppi) possono essere, e il più delle volte sono in conflitto. Può succedere ad esempio che una ristretta élite oligarchica danneggi l’intera società in vista del proprio potere e interesse personali e/o di ceto.
Le fumosità e il linguaggio criptico, finto-tecnico degli pseudo-scienziati economisti servono precisamente a nascondere queste due verità che una volta enunciate con chiarezza si rivelano semplici e ovvie.

Si tratta – bisogna ammetterlo – di una finzione pseudoscientifica che si è rivelata/si sta rivelando tremendamente efficace, altrimenti non sarebbe possibile spiegarsi quello che sta avvenendo oggi in Europa, dove vediamo i cittadini degli stati europei che hanno accettato la moneta-trappola euro, cioè rinunciato alla sovranità monetaria essere ogni giorno di più depredati della ricchezza prodotta dal loro lavoro a beneficio esclusivo di un ceto parassitario, bancario e finanziario di alto bordo che non produce ricchezza, ma la sposta soltanto, trasformando il lavoro di molti nel privilegio di pochi, che a ogni nuova “crisi” non si ribellano ma si rassegnano, quasi si trattasse di un fenomeno naturale come un uragano o un terremoto, perché non sono consapevoli di essere scientemente rapinati.

Accanto alla “scienza” economica e parzialmente in alternativa a essa, esiste quell’altra “scienza” chiamata dal suo fondatore “economia politica”, ma che tutti conoscono con il suo stesso nome, “economia marxista” o semplicemente “marxismo”. L’esistenza di movimenti politici e di regimi marxisti ha fatto spesso dimenticare che il marxismo è in primo luogo un sistema teorico “dottrinale” con una visione dell’economia, un’ideologia politica, un’interpretazione della storia (“materialismo storico”), una sua visione filosofica (“materialismo dialettico”). E’ importante entrare in questo – perverso – meccanismo mentale, soprattutto perché occorre capire che le più spaventose autocrazie della storia umana, i comunismi, sia quelli crollati nel 1990, sia quelli che sopravvivono a Cuba, in Cina, in Corea, Mongolia, Vietnam, non hanno affatto tradito il pensiero di Karl Marx come vorrebbero gli ultimi epigoni di questo “profeta rivoluzionario”, lo hanno semplicemente applicato.

Varie volte mi sono riproposto di scrivere qualcosa sugli errori e/o le mistificazioni che stanno alla base della Weltanschauung marxista, ma ho finito sempre per lasciar perdere, non perché mi sembrasse un compito del quale non ero all’altezza, ma proprio perché quel che ho da dire in proposito mi è sembrato fin troppo ovvio ma, dato che questa “ovvietà” sembra ancora sfuggire a moltissimi, decidiamoci ad affrontare l’argomento.

 C’è prima di tutto una constatazione empirica: dovunque i discepoli di Marx hanno preso il potere, i sistemi politico-sociali che sono riusciti a costruire si sono rivelati dei moloc oppressivi e sanguinari che non hanno prodotto altro che oppressione, paura e miseria, hanno riempito di oppositori le carceri, i gulag e i manicomi, e non hanno migliorato per nulla le condizioni di vita delle classi lavoratrici, ma le hanno semmai abbassate al livello della disperazione e della fame.

Il crollo dell’Unione Sovietica e dei regimi satelliti ad essa collegati, ci ha offerto lo spettacolo fin allora assolutamente inedito nella storia, di un sistema crollato per implosione interna, sotto il suo stesso peso.

 Oh, certo, conosciamo la replica standard degli odierni epigoni di Marx: quei regimi non erano il “vero” socialismo, così come non lo sono quelli che tuttora sopravvivono in Cina, a Cuba, in Corea del nord, in Vietnam. Possiamo davvero credere che esista una musica stupenda che però tutte le volte che viene suonata – da musicisti stonati con strumenti scordati, evidentemente – si trasformi in un’orrida cacofonia? Non è più credibile che essa sia una cacofonia orrenda ab origine?

Marx amava molto definire la sua utopia “socialismo scientifico”. Di scientifico, essa in verità non aveva nulla. La dialettica hegeliana interpretata non più come movimento di pensiero, ma posta a fondamento del reale è incompatibile non solo con la scienza moderna (il che sarebbe ancora poco, visto che, come vedremo meglio più avanti, la scienza moderna è anch’essa una costruzione ideologica che si pre
sta facilmente alla manipolazione), ma con due millenni e mezzo di pensiero e con la logica come si è sviluppata da Aristotele in poi.

 Stretto nella sua pastoia hegeliana, nella sua esigenza di “dialettizzare” la storia, a Marx è sfuggito qualcosa di fondamentale che sarebbe dovuto essere ovvio per chiunque: a “rivoluzione” realizzata, passato il controllo effettivo dei mezzi di produzione nelle mani dei “rivoluzionari”, anche se la proprietà teorica di essi viene data alle masse, costoro diventano a tutti gli effetti una “nuova classe”, una nuova oligarchia che viene a detenere nelle sue mani un potere enorme, tutto il potere politico e sociale, ed è nella natura del potere assoluto la tendenza ad abusarne. E’ probabilmente un tratto sintomatico che per questa “nuova classe” non si sia trovato nemmeno un nome meno pudico e ipocrita di “nomenklatura”, che nella terminologia del bolscevismo pre-rivoluzionario indicava la lista dei “compagni di sicura fede”.

  La maggiore ironia è forse data dal fatto che Marx ed Engels con il termine “ideologia” intendevano l’insieme delle idee false presenti in una data cultura e che subito dopo di loro si sia cominciato a parlare di ideologia marxista. Il marxismo è esattamente questo, ideologia, una mistura di vaghe aspirazioni morali, di asserzioni dalle credenziali scientifiche molto dubbie, di buoni propositi di quel tipo di cui è lastricata la via dell’inferno.

Il legame dell’economia e le scienze sociali con la politica è ovvio, e per conseguenza sarebbe ben difficile non aspettarsi una parzialità che ne renda alquanto dubbia la patente che le accredita come discipline “scientifiche”, ma cosa dire quando scendiamo al livello del comportamento del singolo, della psicologia, un settore che dovrebbe essere quanto mai oggettivo e scientifico, anche perché si tratterebbe almeno in teoria di venire incontro alle sofferenze ed al “male di vivere” di milioni di persone, eppure in questo campo troviamo in primo luogo una “dottrina” che di scientifico non ha nulla, la psicanalisi, e uno scienziato che in verità dello scienziato non ha nulla e somiglia molto di più a un santone, Sigmund Freud.

Forse alcuni di voi che avranno sentito parlare della psicanalisi credono che essa sia una branca della psicologia scientifica; beh, in questo caso devo deludervi: di scientifico, la psicanalisi non ha nulla! Condivide almeno questo col marxismo, che la sua pretesa di basarsi sulla scienza è completamente infondata. Nella psicanalisi non esistono né sono mai esistiti protocolli sperimentali, ricerche condivise, verifiche da parte di ricercatori terzi e (si suppone) imparziali; solo la parola indiscutibile del maestro, Sigmund Freud, in effetti somigliante molto di più a un guru che a un qualsiasi scienziato vissuto prima, contemporaneamente o dopo di lui.

Freud aveva organizzato il “movimento psicanalitico” come una vera e propria setta composta da adepti che dovevano essere disposti a giurare sulle sue parole, sacre e intangibili, e fu pronto a stroncare qualsiasi manifestazione di originalità di pensiero. Sono storici, a questo proposito, gli scontri, culminati con l’espulsione/scomunica dei reprobi che ebbe con Karl Gustav Jung che ne sarebbe dovuto essere il delfino, e con Alfred Adler.

Che esista una certa parte della mente umana che sfugge o tende a sfuggire al controllo razionale dell’io cosciente e si manifesta nei sogni, negli stati allucinati, o quando la ragione non riesce a controllare le pulsioni istintive, questo nessuno l’ha mai negato, lo sapeva bene già Platone venticinque secoli prima di Freud, che paragonava l’anima umana a un cocchio dove l’auriga (la ragione) deve controllare gli istinti nobili (cavallo bianco) e quelli bassi (cavallo nero); ma tutta l’educazione classica era concepita allo scopo di rafforzare la ragione e tenere sotto controllo gli istinti passionali, la cui esistenza ci si guardava bene dal negare. 

La “novità” di Freud consiste nell’aver ridotto il ruolo della ragione a una piccola isola luminosa persa nell’oceano tenebroso delle reazioni inconsce, e di aver visto nell’uomo solo gli impulsi bassi ed egoistici. “Freud ha scoperto il porco nell’uomo”, ha detto qualcuno, “E ne ha fatto un porco triste”.

 Vi è mai capitato di discutere con uno psicanalista? Se lo avete fatto, saprete che è come camminare sulle sabbie mobili, non si trova mai un terreno solido dove poggiare i piedi. Tutto simboleggia qualcos’altro in un gioco di rimandi senza fine, finché non si arriva alla sessualità. Ad esempio “cavolo” è una parola che è usata spesso come eufemismo al posto della più incisiva allusione all’organo maschile. Quindi, state attenti, se vi piacciono i cavoli, magari i crauti o l’insalata di cavolfiore, può essere che siate degli omosessuali latenti, e lo stesso si potrebbe pensare di una donna cui piacciono i fichi. Il contenuto “scientifico” della psicanalisi è pressappoco questo. E dal punto di vista terapeutico?

La psicanalisi “cura”, gli psicanalisti “curano” (e a tariffe di solito inferiori a quelle dei santoni che “curano” con l’imposizione delle mani, ma comunque non proprio popolari e stracciate) i pazienti per anni e talvolta decenni, ma non risulta abbiano mai guarito nessuno, né ottenuto altro beneficio se non quello dell’effetto placebo temporaneo che deriva al paziente dalla convinzio
ne di essere curato. E’ noto il detto che una “terapia” psicanalitica “può concludersi con la morte del paziente, ma mai con la rinuncia dell’analista a curare”.

Se voi però vi illudete che Sigmund Freud e i suoi discepoli siano i soli ciarlatani che abbiano infestato e impestato il campo della psicologia, beh, devo deludervi, vi sbagliate di grosso. Un altro esempio davvero illuminante di ciarlataneria spacciata per scienza nel campo della psicologia, e che per scienza è riuscita a presentarsi per parecchi decenni, è rappresentato dal comportamentismo. La storia del comportamentismo e del suo lungo dominio sulla psicologia americana, ci permette di chiarire un concetto fondamentale: un lungo ricorso alla pratica sperimentale e una maniaca e puntigliosa quantificazione dei dati raccolti, di per sé non sono una garanzia di scientificità se si parte con presupposti dogmatici e rigidi che funzionano come paraocchi che impediscono il confronto delle idee e la capacità di considerare le cose da punti di vista diversi da quelli, estremamente ristretti, in cui ci si muove.

La storia del comportamentismo meriterebbe di essere meglio conosciuta dal grosso pubblico, perché è un esempio davvero palmare di come i paraocchi democratici possano deformare la ricerca scientifica.

Nato nel secondo decennio del XX secolo, i comportamentismo si è basato su di un assunto metodologico giusto e ne ha tratto conseguenze sbagliate, non implicate in esso e fortemente in linea con l’ideologia democratica. L’assunto metodologico giusto era che non si può osservare la mente altrui, e che la psicologia deve dedicarsi allo studio del comportamento osservabile. Da ciò NON SEGUE che tutta l’attività psichica si possa ridurre ai riflessi condizionati pavloviani, che non sia possibile distinguere fra comportamento intelligente e finalizzato a uno scopo e comportamento insensato e non finalizzato, né, infine, che il patrimonio genetico e la storia evolutiva delle specie (uomini compresi) non abbiano alcuna influenza sul comportamento.

Basato su di un riduzionismo a colpi d’accetta, il comportamentismo ebbe uno straordinario successo negli Stati Uniti perché proprio in conseguenza dei suoi errori logici, veniva a rispondere molto bene a certe istanze della mentalità democratica americana: quella di una psicologia fai-da-te facilmente applicabile attraverso la lettura di appositi manuali, l’idea molto democratica che, a parte le influenza ambientali, gli esseri umani siano tutti uguali e che (particolare molto attraente per una non-nazione ibrida come gli Stati Uniti) l’origine di ciascuno non conti per nulla, e l’idea che l’essere umano sia manipolabile a piacere (il lato totalitario sempre presente e nemmeno tanto ben nascosto della democrazia).
“Datemi un bambino”, sosteneva John B. Watson, fondatore della scuola comportamentista, “E ne farò quello che volete, volete che ne faccia un delinquente? Ne farò un delinquente. Volete che ne faccia il presidente degli Stati Uniti? Ne farò il presidente degli Stati Uniti”.

 Forse non è nemmeno il caso di insistere troppo sul fatto che, effettivamente alcuni presidenti degli Stati Uniti sono stati fra i peggiori delinquenti che la storia umana abbia mai conosciuto, ad esempio Franklin Delano Roosevelt che lavorò attivamente a travolgere il mondo nella tragedia della seconda guerra mondiale allo scopo di annientare l’antica centralità europea e assicurare l’egemonia planetaria americana, o Harry Truman che ordinò i bombardamenti nucleari sul Giappone quando quest’ultimo si era già arreso.

Il colmo del ridicolo probabilmente gli pseudo-psicologi comportamentisti lo raggiunsero negli anni ’30 e ’40 quando vennero a contatto con molti psicologi di origine europea che si rifugiarono negli Stati Uniti, psicanalisti e gestaltisti, coi quali ingaggiarono dispute furibonde. Quello che non riusciva loro di accettare della psicanalisi, non era l’accentuazione delle tematiche della sessualità, ma il fatto che essa lasciasse intravedere una complessità della vita psichica che andava ben oltre il loro risibile riduzionismo. Le colpe degli psicologi della Gestalt ai loro occhi erano ancora più gravi: i gestaltisti sostenevano il carattere innato dei processi percettivi, erano degli innatisti che sostenevano che nell’uomo ci fosse qualcosa che non era il prodotto delle influenze ambientali, erano quindi (come Jean Piaget, d’altronde), dei cripto-fascisti. (Teniamo presente che in ogni caso era gente che era fuggita dall’Europa per sottrarsi ai fascismi, e fra questi c’erano non pochi ebrei).
 
L’aspetto grottesco della faccenda, è che costoro contestavano semplicemente un’ovvietà, come discutere se due più due faccia quattro oppure no. I meccanismi percettivi sono innati, devono precedere l’esperienza perché sono essi che la rendono possibile.

Dagli anni ’60 non esiste più una scuola psicologica comportamentista riconoscibile come tale, ma questo non significa che un “fondo” comportamentista non continui a impregnare gran parte della mentalità americana.

I comportamentisti avevano mutuato le loro concezione da Ivan Pavlov, il fisiologo russo scopritore dei riflessi condizionati, e come lui avevano pr
eteso che questi fossero la spiegazione di tutta la vita psichica. Ivan Pavlov, a sua volta, sebbene non si fosse mai dichiarato comunista e appartenesse alla generazione pre-rivoluzionaria (era nato nel 1849), non solo passò indenne il periodo staliniano, ma dal potere sovietico ricevette solo incoraggiamenti e onori: l’idea dischiusa dalla sua psicologia, che l’essere umano fosse, grazie agli stimoli giusti, manipolabile e plasmabile a piacere come creta molle, era troppo allettante per la nomenklatura sovietica.

Non dovremmo mancare di riflettere sul fatto che nei due imperi che hanno dominato la scena mondiale nella seconda metà del XX secolo, la concezione dell’uomo sia stata esattamente la stessa, uno di quei fatti che inducono a pensare che, nonostante le apparenze, la differenza fra l’uno e l’altro sia stata più una questione di dettagli che di sostanza.

Se dal terreno delle “scienze umane” ci spostiamo a quello delle scienze naturali, abbiamo forse la speranza di camminare su di un suolo più solido, di muoverci in un dominio di maggiore obiettività, ebbene, non è affatto così, anche a prescindere dal fatto che il confine fra i due settori non è affatto preciso, ad esempio, non è possibile tirare una linea netta che separi la psicologia dalla biologia, dato che si tratta di descrivere dei sistemi viventi (umani e animali) e il loro comportamento. Nella biologia, la partita che si gioca è sempre la stessa ed è, possiamo dire, ancora più essenziale. In omaggio alla dominante ideologia democratica e a dispetto dei fatti, si tende a negare la differenza fra gli esseri umani, si pretende che essa sia il prodotto solo di condizionamenti ambientali, che le differenze genetiche (e razziali) all’interno della nostra specie abbiano qualche importanza. 

Le poche volte che i ricercatori si lasciano guidare dall’obiettività dei fatti piuttosto che dal pregiudizio ideologico, il muro di resistenze con cui vengono a scontrarsi è fortissimo.  Sergio Gozzoli nel suo articolo La rivincita della scienza pubblicato sul n. 44 de “L’uomo libero” ne ha dati diversi esempi, fra cui l’aggressione subita da parte di un commando di femministe dal sociobiologo Edward O. Wilson quando nel corso di un convegno osò parlare delle basi biologiche delle differenze comportamentali fra uomo e donna, e la maniera allucinante, davvero orwelliana, in cui a un altro scienziato, Frederick K. Goodwin fu impedito di presentare i risultati di uno studio decennale sulle basi genetiche dei comportamenti aggressivi nei giovani maschi americani (2). In questi casi, buona norma democratica vuole che il ricercatore a cui si tappa la bocca sia ingiuriato con l’epiteto di “fascista” e forse i “buoni democratici” non si rendono conto che in questo modo fanno diventare ogni giorno di più “fascismo” sinonimo di libertà e di indipendenza di pensiero.

Le aberrazioni peggiori, però, sono venute dal seno della “scienza” stessa, soprattutto in Unione Sovietica e nei regimi comunisti dove per non contraddire i dogmi del marxismo e affermare l’onnipotenza dell’ambiente, si è arrivati, puramente e semplicemente a mettere fuori legge la genetica.
La storia della scienza in Unione Sovietica, o meglio ancora della “scienza sovietica”, di ciò che in Unione Sovietica è passato per scienza, è un capitolo mal conosciuto e ricco di sorprese. Non si venga a dire che essa ha avuto almeno il merito di portare il primo uomo nello spazio. A portare il primo uomo nello spazio nel 1961 non è stata la “scienza sovietica” ma la tecnologia rubata ai Tedeschi nel 1945.

E’ piuttosto noto il caso di Trofim Lysenko, il “biologo” sovietico presidente dell’Accademia delle Scienze Agricole dell’URSS che fondò le sue “teorie” sulla negazione pura e semplice della genetica, provocando la deportazione o la morte in carcere di molti genetisti e dando un contributo determinante al crollo della produzione agricola sovietica. Quello che è meno noto, invece, è che il caso Lysenko non è semplicemente una mostruosità riconducibile al periodo staliniano, non fosse altro perché Lysenko rimase al suo posto per tutta l’era di Krushev per “cadere in disgrazia” soltanto con l’avvento di Leonid Breznev, e non certo perché Breznev fosse più aperto o interessato di Krushev alla scienza occidentale, ma unicamente per i meccanismi di potere interni alla nomenklatura sovietica, perché è inutile girarci intorno, Lysenko esprimeva un bisogno fondamentale del comunismo, non solo sovietico, che l’eredità biologica, il passato, la storia, non solo degli uomini ma di tutte le forme viventi, non contassero nulla, e non aveva importanza quanto questo bisogno fosse campato in aria, lontano dalla realtà.

Nel “mondo occidentale” dove la ricerca è “libera”, questa democrazia che dopo il crollo dell’Unione Sovietica gli Stati Uniti stanno ormai cercando di estendere a livello planetario, le cose erano/sono diverse? Non molto, nel senso che un limitato gruppo di ricercatori provenienti da filoni disparati dimostra abbastanza ingenuità e probità scientifica da dire le cose come stanno, ma si trova puntualmente contrastato da una pesante e opprimente ortodossia attenta a fustigare chiunque cerchi di allontanarsi dai criteri prestabiliti. Un esempio di quella stessa smania censoria che ha spinto le femministe ad aggredire Edward O. Wilson o i catoni della democrazia a censurare la ricerca di Frederick K. Goodwin, p
erò stavolta proveniente dall’interno degli ambienti scientifici stessi, è rappresentato da quello che è stato forse il più noto divulgatore scientifico statunitense, Stephen Jay Gould, e la questione di cui si è venuto a occupare è forse la più scomoda e spinosa per uno scienziato “democratico”. 

Intorno alla questione dell’evoluzionismo darwiniano c’è presso i non specialisti un’enorme confusione, l’errata identificazione del concetto di evoluzione con quello di progresso, ha portato molti alla convinzione che l’evoluzionismo sia “una cosa di sinistra”. In realtà, non c’è nulla di più falso: il concetto darwiniano di selezione naturale, di sopravvivenza dei più adatti, cos’altro potrebbe essere se non la testimonianza più netta a favore del principio elitario e la più bruciante sconfessione di tutte le ideologie democratico-egualitarie? La tendenza insita in ogni vivente a conservare e diffondere nelle generazioni future il proprio patrimonio genetico che cos’è se non una chiara testimonianza “biologica” a favore di quelle “brutte cose” che chiamiamo nazionalismo o anche razzismo?

Nella realtà dei fatti, la biologia darwiniana è una chiara confutazione dell’ideologia democratica. Questo è precisamente il tipo di consapevolezza che il “buon” ricercatore è tenuto a rimuovere, o attraverso un’estrema specializzazione di settore, o mediante il puro e semplice paraocchi ideologico. Il guaio è che qualche volta i ricercatori sono abbastanza onesti e conseguenti da non riuscire a non vedere la realtà; ecco quindi la reazione di Gould: con un ragionamento da giudice staliniano, questi scienziati sarebbero ai suoi occhi colpevoli di una vera e propria “congiura contro la democrazia”; trascrivo dal suo libro Questa idea della vita:
“ Negli ultimi dieci anni [l’edizione originale del libro è del 1977] siamo stati sommersi da un risorgente determinismo biologico, che va dalla etologia “per tutti” al più scoperto razzismo.

Padrino di questa rinascita è stato Konrad Lorenz; grazie al lavoro di drammatizzazione di Robert Ardrey ed a quello narrativo di Desmond Morris si è data dell’uomo l’immagine di una “scimmia nuda” discendente da un carnivoro africano, con una aggressività innata ed una altrettanto innata tendenza al dominio del territorio” (3).

  Effettivamente, per un buon democratico che voglia tenere le implicazioni sociali e politiche dell’evoluzionismo ferme all’ottocento quando si mischiavano al progressismo, al socialismo alla Proudhom (se non a quello di Marx), a residui di hegelismo, al ballo Excelsior Manzotti, alla convinzione comunque di uno sviluppo ascendente automaticamente garantito dal dio immanente della storia, l’emergere di una serie di nuove scienze come la sociobiologia e l’etologia può sembrare una specie di congiura.

Se invece si è sprovvisti di paraocchi, la reazione che si presenta spontanea è un misto di ironia e di scetticismo. Innanzi tutto, quel che negli Stati Uniti passa per destra, oltre a essere puro liberal-conservatorismo in campo sociale, dal punto di vista ideologico è cristianesimo fondamentalista venato di creazionismo, e a ogni modo quanto di più lontano sia possibile immaginare da un’interpretazione dell’uomo e della società in termini biologico-evoluzionisti, e già questo basterebbe a far cadere da sola la farneticazione di Gould, ma se andiamo a esaminare più da vicino gli autori nominati, i membri della supposta congiura, ci accorgiamo ancora meglio che ciò con cui abbiamo a che fare è l’inconsistenza, il vuoto che caratterizza tutte le petizioni di principio degli evoluzionisti democratici.

10 Comments

  • Anonymous 5 Agosto 2012

    Interessante, talvolta si può apprendere anche per negazione.
    Non sapevo di questa contrapposizione tra “innatismo” (destra) e “ambientalismo” (sinistra), ad esempio.
    Non mi piace del suo discorso l’invettiva su marx e sui “terribili paesi comunisti patria di tutte le aberrazioni”, mi sembra una posizione abbastanza posticcia e non basata su osservazioni obiettive (se pure ce ne possano essere).
    La verità è che noi di quasi tutti gli altri paesi sappiamo poco o nulla, anche le osservazioni sui paesi che pensiamo essere nostri vicini si limitano spesso a dei luoghi comuni.
    Domani potrebbe arrivare un pubblicitario, inventarsi “il terribile regime oppressivo in svezia”, montare un paio di filmati, scrivere un pò di articoli slogan e propinarceli (seguendo il metodo inventato da Edward Louis Bernays), non avremmo nessun tipo di controllo.
    Non accetto che lei critichi questi cattivi comunisti solo perchè è di destra, i comunisti non sono il nemico, e se pure fossero il nemico, lei si starebbe limitando a reiterare l’atteggiamento di quelli di sinistra per cui “di certe cose non si può proprio parlare”.
    Se il problema è la narrazione, non si risolve costruendo un’altra narrazione.

  • Anonymous 5 Agosto 2012

    Interessante, talvolta si può apprendere anche per negazione.
    Non sapevo di questa contrapposizione tra “innatismo” (destra) e “ambientalismo” (sinistra), ad esempio.
    Non mi piace del suo discorso l’invettiva su marx e sui “terribili paesi comunisti patria di tutte le aberrazioni”, mi sembra una posizione abbastanza posticcia e non basata su osservazioni obiettive (se pure ce ne possano essere).
    La verità è che noi di quasi tutti gli altri paesi sappiamo poco o nulla, anche le osservazioni sui paesi che pensiamo essere nostri vicini si limitano spesso a dei luoghi comuni.
    Domani potrebbe arrivare un pubblicitario, inventarsi “il terribile regime oppressivo in svezia”, montare un paio di filmati, scrivere un pò di articoli slogan e propinarceli (seguendo il metodo inventato da Edward Louis Bernays), non avremmo nessun tipo di controllo.
    Non accetto che lei critichi questi cattivi comunisti solo perchè è di destra, i comunisti non sono il nemico, e se pure fossero il nemico, lei si starebbe limitando a reiterare l’atteggiamento di quelli di sinistra per cui “di certe cose non si può proprio parlare”.
    Se il problema è la narrazione, non si risolve costruendo un’altra narrazione.

  • Milo Dal Brollo 6 Agosto 2012

    Stretto nella sua pastoia hegeliana, nella sua esigenza di “dialettizzare” la storia, a Marx è sfuggito qualcosa di fondamentale che sarebbe dovuto essere ovvio per chiunque: a “rivoluzione” realizzata, passato il controllo effettivo dei mezzi di produzione nelle mani dei “rivoluzionari”, anche se la proprietà teorica di essi viene data alle masse, costoro diventano a tutti gli effetti una “nuova classe”, una nuova oligarchia che viene a detenere nelle sue mani un potere enorme, tutto il potere politico e sociale, ed è nella natura del potere assoluto la tendenza ad abusarne. E’ probabilmente un tratto sintomatico che per questa “nuova classe” non si sia trovato nemmeno un nome meno pudico e ipocrita di “nomenklatura”, che nella terminologia del bolscevismo pre-rivoluzionario indicava la lista dei “compagni di sicura fede”.

    Pensavo di essere l’unico ad avero trovato questa fonamentale contraddizione marxista, e invece! Per fortuna che anche lei c’è arrivato, altrimenti eravamo ancora lì non a confutare sui fondamenti, ma sui modi e metodi.

  • Milo Dal Brollo 6 Agosto 2012

    Stretto nella sua pastoia hegeliana, nella sua esigenza di “dialettizzare” la storia, a Marx è sfuggito qualcosa di fondamentale che sarebbe dovuto essere ovvio per chiunque: a “rivoluzione” realizzata, passato il controllo effettivo dei mezzi di produzione nelle mani dei “rivoluzionari”, anche se la proprietà teorica di essi viene data alle masse, costoro diventano a tutti gli effetti una “nuova classe”, una nuova oligarchia che viene a detenere nelle sue mani un potere enorme, tutto il potere politico e sociale, ed è nella natura del potere assoluto la tendenza ad abusarne. E’ probabilmente un tratto sintomatico che per questa “nuova classe” non si sia trovato nemmeno un nome meno pudico e ipocrita di “nomenklatura”, che nella terminologia del bolscevismo pre-rivoluzionario indicava la lista dei “compagni di sicura fede”.

    Pensavo di essere l’unico ad avero trovato questa fonamentale contraddizione marxista, e invece! Per fortuna che anche lei c’è arrivato, altrimenti eravamo ancora lì non a confutare sui fondamenti, ma sui modi e metodi.

  • Anonymous 7 Agosto 2012

    Caro Calabrese
    Anche Lei dà un chiaro esempio di storia manipolata quando mette sullo stesso piano Corea del Nord e Cuba.Mi dica dove,dopo decenni di embargo,c’è:
    1.assistenza sanitaria gratuita per tutti
    2.studi a carico dello stato fini all’università
    3.il tasso di mortalità infantile più basso delle americhe assieme al Canada
    4.migliaia di dottori sparsi per il sud america a curre idigenti
    5.la casa per tutti
    6.nessun morto di fame
    …e molto altro ancora.
    A Lei non sembra che sia meglio,per esempio,che in Italia e in molte,quasi tutte,le parti del mondo?
    piero.deola@tiscali.it

  • Anonymous 7 Agosto 2012

    Caro Calabrese
    Anche Lei dà un chiaro esempio di storia manipolata quando mette sullo stesso piano Corea del Nord e Cuba.Mi dica dove,dopo decenni di embargo,c’è:
    1.assistenza sanitaria gratuita per tutti
    2.studi a carico dello stato fini all’università
    3.il tasso di mortalità infantile più basso delle americhe assieme al Canada
    4.migliaia di dottori sparsi per il sud america a curre idigenti
    5.la casa per tutti
    6.nessun morto di fame
    …e molto altro ancora.
    A Lei non sembra che sia meglio,per esempio,che in Italia e in molte,quasi tutte,le parti del mondo?
    piero.deola@tiscali.it

  • Dal Brollo 9 Agosto 2012

    Al signor Piero Deola chiedo le semplici cose.

    1) Scrive da Cuba? Se no, perché non si trasferisce il quel modello di civiltà e ci dice come si vive? Non è uno sfottò, è una domanda seria, perché se quella fosse la migliore delle civiltà esistenti ora, io mi ci trasferirei subito. Lo spagnolo è pure facile da imparare per noi italiani.

    La sua contestazione è la stessa che fanno i filocomunisti che guardano alla Cina. Il “modello cubano” tollerante che indica lei, se mai esiste così ben dipinto, è nato dopo il crollo di mamma URSS del 1991, quando circa un anno dopo abolirono l’ateismo di Stato, garantirono una piccola circolazione di merci, un minimo di proprietà privata, eccetera. Perché prima del crollo di mamma URSS, nonostante l’embargo, Cuba viveva con gli ingenti finanziamenti sovietici, eppure guarda un po’ è rimasta sempre un catorcio. Lei conosce le basi del comunismo?

    3) Lei crede che stare in casa significhi avere una casa? Sa, se non esiste il diritto alla proprietàprivata, dalla casa possono sbattermici fuori quando vogliono. La capisce questa differenza, questa lacuna nel diritto?

    4) Siceramente devo ancora vederli i non-morti di fame; mia madre ci andò quando ero molto piccolo e ci vide i negozi vuoti, le case fatiscenti, gente che cercava di venderti pure le mutande sporche pur di avere del cibo migliore da quello che gli veniva concesso. Lei a Cuba c’è stato e se l’è viaggiata un po’?

  • Dal Brollo 9 Agosto 2012

    Al signor Piero Deola chiedo le semplici cose.

    1) Scrive da Cuba? Se no, perché non si trasferisce il quel modello di civiltà e ci dice come si vive? Non è uno sfottò, è una domanda seria, perché se quella fosse la migliore delle civiltà esistenti ora, io mi ci trasferirei subito. Lo spagnolo è pure facile da imparare per noi italiani.

    La sua contestazione è la stessa che fanno i filocomunisti che guardano alla Cina. Il “modello cubano” tollerante che indica lei, se mai esiste così ben dipinto, è nato dopo il crollo di mamma URSS del 1991, quando circa un anno dopo abolirono l’ateismo di Stato, garantirono una piccola circolazione di merci, un minimo di proprietà privata, eccetera. Perché prima del crollo di mamma URSS, nonostante l’embargo, Cuba viveva con gli ingenti finanziamenti sovietici, eppure guarda un po’ è rimasta sempre un catorcio. Lei conosce le basi del comunismo?

    3) Lei crede che stare in casa significhi avere una casa? Sa, se non esiste il diritto alla proprietàprivata, dalla casa possono sbattermici fuori quando vogliono. La capisce questa differenza, questa lacuna nel diritto?

    4) Siceramente devo ancora vederli i non-morti di fame; mia madre ci andò quando ero molto piccolo e ci vide i negozi vuoti, le case fatiscenti, gente che cercava di venderti pure le mutande sporche pur di avere del cibo migliore da quello che gli veniva concesso. Lei a Cuba c’è stato e se l’è viaggiata un po’?

  • Milo Dal Brollo 9 Agosto 2012

    Volevo agiungere una piccola cosa. La possibile controbattuta potrebbe essere: “E allora lei a Cuba c’è stato? No, visto che si basa sui racconti di sua madre, vada a verificare”

    Sono stato in Russia fino a 4 mesi fa ed ho potuto constatare il miglioramento (lento) dei diritti e del sostentamento dei cittadini russi, paragonandoli ai loro ricordi ed esperienze. Ciò che mi è venuto spontaneo sono stati i brividi, prima di tutto. La gente moriva di fame, mangava i cani randagi, scortecciava gli alberi dei viali rischiando di essere fucilata o di andare nel campo di concentramento per sabotaggio (scortecciare un albero è sabotaggio contro lo Stato), eccetera. “I comunisti si mangiano i bambini” è una frase forte nata da esperienze realmente vissute di antropofagia e necrofagia, a causa della fame. Mi chiedo come mai a Cuba, stato comunista fino all’altro ieri, doveva andare meglio. Forse adesso, arresisi all’evidenza, hanno lasciato scortecciare gli alberi ai cittadini per non farli morire di fame…

  • Milo Dal Brollo 9 Agosto 2012

    Volevo agiungere una piccola cosa. La possibile controbattuta potrebbe essere: “E allora lei a Cuba c’è stato? No, visto che si basa sui racconti di sua madre, vada a verificare”

    Sono stato in Russia fino a 4 mesi fa ed ho potuto constatare il miglioramento (lento) dei diritti e del sostentamento dei cittadini russi, paragonandoli ai loro ricordi ed esperienze. Ciò che mi è venuto spontaneo sono stati i brividi, prima di tutto. La gente moriva di fame, mangava i cani randagi, scortecciava gli alberi dei viali rischiando di essere fucilata o di andare nel campo di concentramento per sabotaggio (scortecciare un albero è sabotaggio contro lo Stato), eccetera. “I comunisti si mangiano i bambini” è una frase forte nata da esperienze realmente vissute di antropofagia e necrofagia, a causa della fame. Mi chiedo come mai a Cuba, stato comunista fino all’altro ieri, doveva andare meglio. Forse adesso, arresisi all’evidenza, hanno lasciato scortecciare gli alberi ai cittadini per non farli morire di fame…

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