Povero Aristotele! E’ passato da autorità indiscutibile, per cui bastava pronunciare Ipse dixit! citando lo Stagirita per zittire l’avversario, a sconfitto della morente civiltà europea e occidentale di cui è stato per oltre due millenni l’architrave. Se prima l’essere umano, sulle piste dell’Organon aristotelico, era l’animale sociale e politico che fondava se stesso sulla razionalità, il rapporto con gli altri e la comunità, oggi non è che un atomo impazzito alla deriva, solitario, privo di centro, fluido eppure convinto di avere raggiunto la massima libertà per essersi disfatto del fardello della natura, della verità oggettiva, della socialità, della relazione con l’infinito. Fino a pochi anni fa nessuno avrebbe seriamente messo in dubbio i tre principi della logica aristotelica; oggi sono ridotti a brandelli.
Il principio di identità afferma che A è uguale a A, ovvero a se stesso. Il significato dei termini, la loro essenza, deve mantenersi costante. Io non posso essere Roberto e non-Roberto; un triangolo è un triangolo. Il principio di non contraddizione stabilisce che non si può affermare e negare nello stesso tempo una caratteristica del soggetto. E’ impossibile che la stessa cosa sia e insieme non sia. Il principio del terzo escluso (tertium non datur) rileva che – date due affermazioni contraddittorie (Maria ha gli occhi azzurri, Maria ha gli occhi neri) solo una può essere vera, l’altra è necessariamente falsa, I tre principi ancorano il pensiero alla verità. Questo realismo logico, scoperto da Aristotele, base della conoscenza e della razionalità, è oggi sconfitto. Roberto può essere indifferentemente Roberta, Robert*, un gatto o qualsiasi altra cosa, se gli salta il ticchio. Come i bambini nei loro giochi: homo ludens, Peter Pan.
Il “voler essere”, ossia la negazione dei principi di identità, non contraddizione e del terzo escluso, è alla base della deriva soggettivista dell’umanità occidentale contemporanea. Da tali negazioni deriva la sostanziale caduta della proprietà transitiva: se A è uguale a B e B è uguale a C, A è uguale a C. Occorre, per l’individualismo assoluto – sciolto dalla realtà e dall’identità – interpellare i tre soggetti per chiedere loro se si percepiscono uguali, fino a che punto e se la loro decisione è definitiva oppure “liquida”, provvisoria. E’ spazzato via il sillogismo, il ragionamento concatenato, la forma fondamentale di argomentazione logica, costituita da tre proposizioni connesse in modo che dalle prime due si possa dedurre una conclusione. Per esempio, “tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo, quindi Socrate è mortale” Se una o entrambe le premesse sono false, è falsa anche la conclusione. Vincono il paralogismo, ragionamento che deriva da una falla nel procedimento logico, quindi erroneo, e soprattutto il sofisma, in cui l’errore nell’argomentazione è intenzionale. Il voler essere che nega ciò che gli occhi vedono e il cervello giudica è paralogismo e sofisma, ossia menzogna. Il pensiero di Aristotele, attraverso la lettura che ne fecero i pensatori arabi medievali, in particolare Averroè, “che ‘l gran comento feo” (Dante) fu alla base del sistema tomista, sino a qualche decennio fa filosofia fondamentale del cattolicesimo.
L’abbandono di Aristotele, la sua sconfitta sull’altare della volontà, dell’autopercezione, della fluidità e della destrutturazione generalizzata, è alla base della confusione dell’anima corrosa dal dubbio, dal desiderio di cancellazione e dalla pretesa di autocreazione. Io sono quel che voglio essere, qui e per adesso. Domani si vedrà; il potenziale distruttivo di una posizione siffatta è così evidente che può essere negata solo da una civilizzazione in stato terminale, la cui unica terapia è l’accelerazione, l’assunzione di dosi sempre più massiccia delle proprie follie per affrettare la fine. A questo pensavamo leggendo due notizie di segno opposto. Un breve filmato intitolato Baby Olivia, proiettato su uno schermo pubblico a Bologna, ha scatenato una tempesta di odio, insulti e l’intervento del sindaco che ha espresso “sdegno per chi usa gli spazi della democrazia per veicolare intolleranza e attaccare la salute e l’autodeterminazione delle donne”. Il solito stucchevole armamentario verbale per cui manifestare visioni diverse da quelle del pensiero dominante (pensiero?) è una violazione della democrazia (che consiste nell’avere opinioni contrapposte) intolleranza (non si rendono conto di parlare di se stessi) e addirittura attentato alla salute (riproduttiva, ossia non-riproduttiva, A uguale a non-A, le parole al contrario).
Quali immagini sono state mostrate agli abitanti della città in cui nacque la prima Università? Solo il viaggio di una bimba dalla fecondazione “che stabilisce il sesso, l’etnia, il colore dei capelli, degli occhi e molti altri aspetti” sino alla nascita, spiega la voce fuori campo, con i passaggi intermedi dell’attività cerebrale dopo sei settimane, la formazione delle ossa e degli organi che permettono al feto di succhiare il pollice, deglutire, respirare. Diventare cioè un essere umano: Olivia è uguale a Olivia, possiede cioè identità, negare la quale viola il principio di non contraddizione. E’ un essere umano, potenza che diventa atto (altra acquisizione aristotelica).
Il punto non è l’opinione sull’ interruzione volontaria di gravidanza (non diciamo aborto per non ferire i timpani di qualcuno); si tratta di credere o meno a un fatto, nella fattispecie alla natura “umana” del grumo di cellule le cui caratteristiche lo rendono, oltreché umano, unico. Il principio di identità. Invece si è scatenato l’inferno e la violenza contro tre minuti di realtà “scientifica”. Oggi Olivia è la nuova pornografia, la blasfemia massima, il tabù, poiché è mostrata la vita nella sua realtà. Chi lo fa si espone a conseguenze. Chissà che ne penserebbe Aristotele. A poche decine di chilometri di distanza, in Romagna, a spese delle pubbliche istituzioni, si svolge un festival “culturale” nel quale si attaccano “il mito della famiglia tradizionale, bianca, eterosessuale e cattolica”. Tra oscenità, turpiloquio e esibizionismo, l’evento si incarica di decostruire pretesi costrutti culturali come l’allattamento al seno, che evocherebbe “la violenza dell’eteronormatività” seconda una prospettiva “intersezionale e incarnata”. Il mondo fluido decostruisce, cioè distrugge. Attacca, violenta, frantuma il principio di identità e di non contraddizione, Aristotele, la logica e il senso comune, esattamente come chi afferma che invarianze biologiche naturali (l’appartenenza all’uno o all’altro sesso, la gravidanza, le differenze di morfologia e di struttura cerebrale tra uomo e donna ) sono elaborazioni culturali da smascherare in nome di un’uguaglianza falsa, ideologizzata, negatrice della natura.
L’essere umano occidentale resta nudo, indifeso, atomo alla deriva prigioniero di follie, ideologemi arbitrari e innanzitutto della disidentificazione che lo deruba (perché di furto si tratta) della sua identità, anzi delle sue identità. Plurali, poiché complessa è la natura umana, che ci rende uomini e donne, ma anche genitori, figli, fratelli, lavoratori, operai, medici, ingegneri, italiani, cinesi. Le identità si formano, vivono e si sviluppano come i cerchi concentrici che si formano nell’acqua se vi gettiamo un sasso. Le sedicenti democrazie liberali si avvicinano a conseguire l’obiettivo delle élite: distruggerci. Resta un interrogativo angosciante: che cosa sarà dell’umanità superstite, privata di se stessa, ibridata con la macchina, occupata da apparati di controllo, quando l’operazione sarà terminata e millenni di civiltà, mirabilmente fondata dai greci e da Aristotele, completata dalla prospettiva cristiana, saranno cancellati e non resteranno neppure un ricordo, poiché la parola d’ordine è cancellare?
Assume significato positivo un verbo chiave del tempo fluido, denaturato e disincarnato, “contaminare”. Così abbiamo scritto ne La guerra delle parole (Nexus Edizioni, 2023). “Altra parola di cui è stato mutato non solo il significato, ma anche il senso, da negativo a positivo. La contaminazione è l’atto di infettare, inquinare, modificare qualcosa in peggio. In neo lingua, contaminare significa invece mescolare, unire fecondamente culture, persone, popoli. La contaminazione non avvelena più; da essa non bisogna guardarsi, va ricercata e apprezzata. Contaminarsi – ovvero lasciarsi modificare – fa bene, è consigliato: le culture si devono confondere nel minestrone “multi” dai mille ingredienti. Gli uomini devono raggiungere l’esemplare a taglia unica, il massimo della contaminazione che diventerà paradossalmente, il massimo della nuova purezza. “La nuova identità è la non identità, A e non-A possono coincidere e questo corrisponde al massimo bene del mondo capovolto.
Aristotele è sconfitto anche nel giudizio su tolleranza e apatia: le ultime virtù di una civiltà morente per lo Stagirita, la prova della più elevata civiltà per i moderni, che non credono a nulla e detestano perciò chi conserva principi forti. In quanto alla natura umana socievole, conviviale, comunitaria, che dire dell’individualismo estremo di chi si sottrae ai legami e a ogni esperienza “definitiva” sino a teorizzare la “sologamia”, grottesco neologismo che significa il desiderio di sposare se stessi, credere esclusivamente nella relazione solipsista con un ego insieme smisurato e minimo. E che dire delle identità sostitutive – segno di un’esigenza profonda dell’animo, come sapeva Simone Weil – di tipo consumistico? Disidentificato, privato della sua natura, ridotto al monologo con un Sé dominato dalle pulsioni immediate, l’uomo anti aristotelico rintraccia nei brand, nei marchi commerciali, un’identità fittizia, provvisoria, a pagamento. Sono, ridivento qualcuno, mi sottraggo al vuoto interiore se indosso un certo abito, acquisto un determinato prodotto il cui simbolo mi conferisce un’identità cangiante, imposta dalla moda e dalla pubblicità.
Poiché mi spaventa, nel profondo, l’uguaglianza declinata nell’Identico (l’assurdo logico di A uguale a qualsiasi altra lettera) costruisco da me la mia unicità con i tatuaggi. Divento l’opera d’arte di me stesso cancellando la mia pelle, scrivendoci sopra, riempiendola di segni che diventano la prova – l’ultima – che io sono davvero io e nessun altro. Per i più solo una moda, che potrà significare disperazione se non si piaceranno più e non si potranno disfare del nuovo fardello. La negazione dei principi di identità e non contraddizione asserisce che si può nascere nel corpo sbagliato. Nei casi peggiori, per immaturità, follia, cinismo dell’apparato ideologico propagandistico, qualcuno cambia sesso. Altri negano la realtà con il travestimento, la chirurgia plastica per arrestare lo scorrere del tempo, il ricorso all’identità spuria del tatuaggio, singolare rivincita del permanente sul provvisorio.
E’ un Occidente complessato, che sa di essere in decadenza per quanto non lo ammetta, abbagliato dai diritti, dalla tecnologia, dall’artificiale che sostituisce Io e Sé. L’atomo vagante non si accorge di vivere una bolla: pieno di sé, non sa neppure di essere oggetto del più devastante controllo della storia, né si accorge che le sue credenze gli vengono somministrate da un gigantesco dispositivo biocratico, una sorta di siringa permanente che inocula mode e diritti. Di recente, poiché l’homunculus senza identità ha bisogno di modelli (il baccanale propagandistico li chiama testimonial) la cantante Gianna Nannini ha asserito di essere “senza genere”. Peccato che sia donna e abbia perfino una figlia, sia pure “prodotta” con la fecondazione tecno assistita. Gianna non si sente Gianna: molti le crederanno.
La superiorità della volontà determina un’ulteriore sconfitta aristotelica: non ci può più essere coincidenza tra il giusto “civile” e il giusto “naturale”, ossia la legge dedotta dall’osservazione della natura. Legge diventa la volontà: il suo primato alimenta una volontà di potenza illimitata che il mondo greco condannava. Lo dimostrano i miti di Prometeo, punito per avere rubato il fuoco a Zeus e la compresenza di divinità del caos, come Dioniso, cui è contrapposto l’ordine, la serena razionalità di Apollo. L’occidentale è attratto da Narciso, che ama se stesso nel riflesso del proprio volto nell’acqua in cui si sporge e annega, da divinità del mutamento come Proteo che cambia continuamente forma e da paradossi come quello della nave di Teseo. Tutte le parti dell’ imbarcazione dell’eroe che sconfisse il Minotauro (altra rappresentazione del Caos) era state cambiate, sostituite durante il viaggio: era ancora la nave di Teseo?
E’ ancora la stessa specie, hanno ancora la stessa essenza l’uomo di Aristotele, figlio dei principi di identità, di non contraddizione e dell’impossibilità di essere qualcosa e il suo opposto, e il figlio terminale dell’occidente che tramonta tra danze e allegria di naufraghi?