Dopo gli scritti di orientamento più generale dedicati all’evoluzionismo, alle teorie afrocentriche, alle primordiali caratteristiche umane ecc…, ora torniamo ad analizzare più precisamente l’Età Paradisiaca (posta fra 65.000 e 39.000 anni fa) dal punto in cui l’avevamo lasciata, l’articolo “Il Demiurgo e la possibilità positiva: plasmazione” che si concludeva con la fine del Primo Grande Anno del nostro Manvantara, più o meno 52.000 anni fa; se Renè Guenon ricorda come ogni ciclo, a sua volta, possa essere sottoposto ad ulteriori suddivisioni, in primis quella tra le due metà, a maggior ragione ciò va applicato per il Satya Yuga che si compone esattamente di due “Grandi Anni” (semiperiodi precessionali di circa 13.000 anni ciascuno).
Il primo di questi due, ricordiamo, fu contraddistinto dalla manifestazione di una forma “più che umana” la cui corporeità non si era ancora consolidata e quindi non riscontrabile da alcun tipo di reperto (rif. “Discontinuità nella nostra Preistoria”) ed emblematizzata nel Mito da figure quali l’Androgine platonico, la prima razza immortale di Esiodo, l’informe umanità prometeica, l’Adamo biblico ancora indiviso, l’enigmatico Dio Giano, la super-casta originaria Hamsa, regale ed aurea, collegata all’elemento Etere: tutte tra loro accomunate dai tratti di un’assoluta primordialità. Ma da questa situazione aurorale, prototipica ed unitaria si approderà, con il Secondo Grande Anno (da circa 52.000 a 39.000 anni fa), alla dualità maschio-femmina, un passaggio cruciale che, come vedremo, comporterà eventi piuttosto articolati ed a mio avviso interpretabili utilizzando diverse chiavi di lettura.
Possiamo iniziare da alcune considerazioni di carattere macrocosmico, mentre più sotto vedremo qualche punto di ordine più prettamente metodologico.
Innanzitutto, come dato generale, è stato rilevato che la fine di ogni Grande Anno ed il contestuale inizio di quello successivo è sempre contraddistinto da un violento cataclisma, un fatto traumatico che quindi, per il Satya (o Krita) Yuga, deve aver avuto luogo in corrispondenza della sua metà, appunto circa 52.000 anni fa; tale momento dovette comportare delle importanti e repentine modificazioni dell’assetto boreale, probabilmente confermate anche da alcuni carotaggi dei ghiacci artici che evidenzierebbero forti mutamenti climatici avvenuti in un periodo molto breve, forse soli 3-5 anni. Inoltre, anche da considerazioni legate al “ciclo avatarico” di Vishnu (che suddivide il Manvantara totale in dieci parti di 6.500 anni, ciascuna riferita ad una nuova “discesa” del Principio per il ristabilimento della Legge divina) lo stesso avvenimento viene collegato al passaggio dal secondo Avatara (Kurma – la Tartaruga), al terzo (Varahi – il Cinghiale), ad una nuova sede boreale instauratasi a seguito di uno spostamento dal Polo verso una zona euroasiatica nordorientale (la già incontrata Beringia?) e, come ipotizzato da Gaston Georgel, ad una primissima ondata migratoria fuori dall’Artide di una parte di quell’Umanità che era appena venuta a corporeizzarsi.
Per Guenon, Varahi – “Terra del Cinghiale” – fu la sede, “paradisiaca” ed iperborea, del centro spirituale primordiale di questo Manvantara, dalle caratteristiche marcatamente solari e, come è stato notato, connessa a Saturno (che subentra a Giano): l’abbinamento però di questa terra non al primo bensì al terzo Avatara di Vishnu, dovrebbe collocare più correttamente Varahi non nella fase aurorale ed indistinta, veramente iniziale, del nostro ciclo umano, ma proprio nel Secondo Grande Anno.
Dalla forma “superumana” ed incorporea del Primo Grande Anno (rif. “Il Polo, l’incorporeità, l’Androgine”), quindi si passò, secondo i percorsi che in seguito vedremo, ad un tipo umano analogo a quello odierno, che infatti, come già segnalato (“Discontinuità…”), già a partire da circa 50-52.000 inizia ad essere ben attestato in diverse zone del pianeta, sia sotto forma di reperti ossei sia in termini di manufatti litici; di conseguenza è evidente che le caratteristiche climatiche di questo Eden nordico dovettero essere adatte all’insediamento antropico secondo i canoni biologici attuali (rif. “Il Paradiso Iperboreo”; mi si scusino questi continui rimandi ai miei articoli precedenti ma, dovendo riprendere le fila di un discorso coerente, ritengo opportuno fornire più riferimenti possibile a coloro che avranno la pazienza di leggere queste note).
A mia conoscenza non vi sono sufficienti elementi per sostenere, contrariamente ad altre aree di elevata latitudine, l’ipotesi della deglacializzazione dello specifico punto polare, anche per il fatto che è molto controversa la questione se questo, nel corso del tempo, abbia o meno subito degli spostamenti in rapporto alla crosta terrestre; lasciando quindi per scontata l’attuale impostazione scientifica, ovvero quella della sua totale glacializzazione, ne consegue che la posizione della “culla”, comunque posta ad elevata latitudine, che ospitò la prima forma umana in tutto simile alla nostra dovette essere necessariamente eccentrica o circumpolare. A mio avviso, tuttavia, la questione è aperta: pur ammettendo, cioè, una perfetta “polarità” – ontologica, esistenziale e, di riflesso, anche geografica – dell’Androgine durante il Primo Grande Anno senza che ciò implichi una contraddizione sotto l’aspetto delle, probabilmente avverse, condizioni geoclimatiche (vista la totale ininfluenza di queste su di un Essere non ancora corporeizzato), bisogna altresì dire che, nella letteratura tradizionale, vi sono alcuni rimandi che sembrerebbero anche avallare l’idea di una non perfetta “centratura” della terra iperborea rispetto all’asse terrestre (di cui l’Albero della Vita è chiaramente il simbolo), il che costituisce un dato, quindi, compatibile con una fase umana ormai fisicizzata ed immediatamente posteriore a quella incorporea. E’ stato infatti rilevato, in un’interpretazione attenta delle parole della Bibbia, come il giardino primordiale posto nella parte orientale della più ampia regione chiamata “Eden” – e che viene descritta come un’immensa ed arida steppa – sia dunque una sotto-zona all’interno di un’area ben più ampia ed alquanto inospitale (la vasta tundra artica? Il margine glaciale?).
Inoltre, secondo il mito babilonese, gli alberi della vita e della conoscenza non erano posti precisamente al centro della terra primordiale, bensì collocati sulla sua soglia orientale, da dove sorge il sole; ed anche nello stesso testo biblico l’indicazione “nel mezzo” di Eden, per quanto riguarda la posizione degli stessi alberi, secondo qualche studioso rappresenterebbe una citazione imprecisa, meglio traducibile con un più generico “in”.
Se dagli aspetti di carattere geografico passiamo a quelli legati alla temporalità, sembra piuttosto significativo l’accenno di Platone nel “Politico”, ove descrive una condizione del cosmo, governato da Kronos, il cui scorrere era talmente lento da sembrare quasi immobile, condizione che, peraltro, può essere analoga alla percezione del tempo “sempre uguale a sé stesso” che anche Herman Wirth ipotizza per la primordiale sede artica. A mio avviso, una possibile interpretazione di questo passo platonico è che l’estrema “lentezza” avvertita nel Secondo Grande Anno potrebbe corrispondere al primo avvìo del fenomeno precessionario, forse sorto proprio a causa dei rivolgimenti geoclimatici verificatisi al suo inizio e di cui l’avvento di Kronos rappresenterebbe appunto la simbolizzazione; bisogna subito chiarire che, a rigore, non si può parlare della nota “precessione degli equinozi” in senso stretto in quanto, data la coincidenza tra equatore terrestre e piano dell’eclittica, la ritmicità stagionale non esisteva ancora, ed in tal senso gli accenni guenoniani ed evoliani sono sorretti da diversi dati tradizionali, ad esempio tramandatici dai Purana indù, dal latino Ovidio, ma anche confermati da antichi ritrovamenti vegetali che non evidenzierebbero alcuna stasi invernale. Tutto ciò, però, non elimina la possibilità che il lentissimo movimento conico dell’asse attorno a sé stesso (il cui ciclo completo è di quasi 26.000 anni, il doppio di un “Grande Anno”) possa essersi avviato anche prima del verificarsi della sua inclinazione rispetto al piano dell’eclittica; di ciò può forse esserne conferma il collegamento, evidenziato da qualche autore, tra vari simboli riconducibili proprio al fenomeno della precessione e la tartaruga Kurma, il secondo avatara di Vishnu, la cui “discesa” si pone ben all’interno del Satya Yuga e quindi prima della “Caduta dell’Uomo” (e dell’asse).
Il passaggio di 52.000 anni fa, inoltre, può forse riferirsi alla discontinuità spirituale, ricordataci anche da Julius Evola, intervenuta tra una prima fase polare, puramente uranica, immutabile e siderea, come lo è la luce delle stelle fisse, ed una fase successiva, nella quale il posto del Cielo viene ora preso dal Sole: il nostro astro è sempre fonte di luce, ma questa non viene più colta solamente in sé stessa, bensì in relazione ad un suo riflesso manifestato, più basso. Mi sembra un’immagine che, a livello cosmologico, ben può simboleggiare la polarizzazione maschio-femmina, quest’ultima tradizionalmente associata alla Luna la quale infatti, in rapporto al Sole, è chiaramente un corpo più basso (ed oltretutto ne riflette la luce). La separazione maschio-femmina è quindi il punto fondamentale attorno al quale si intersecheranno le vicende del Secondo Grande Anno: è sia causa che effetto dell’avvento di un certo tipo di coscienza (messa in analogia con il monte Olimpo), che nel precedente stato androginico comprendeva tutto, mentre ora si polarizza nellacondizione duale instauratasi tra soggetto osservante ed oggetto osservato. La stessa dualità nella quale lo Zohar segnala che ebbe i suoi esordi la storia dell’Umanità, ovvero quando Dio tolse una costola ad Adamo.
Secondo un’altra analogia a livello cosmologico, il passaggio dall’unità androginica alla dualità maschio-femmina può essere coerente con lo spostamento da una posizione perfettamente centrale, sempre illuminata e con il Sole ruotante, senza mai tramontare, a 360 gradi lungo tutto l’orizzonte, ad una soggetta all’alternanza giorno-notte, propria ad una sede che, pur sempre ad elevata latitudine, ora però non corrisponde più precisamente al Polo Nord.
Tuttavia, a dispetto della sua formulazione apparentemente semplice, vedremo che l’evento della separazione maschio-femmina implicherà una serie di risvolti piuttosto articolati, a mio avviso strettamente connessi al fatto che, come Julius Evola giustamente segnalò, i simboli tradizionali sono intrinsecamente polivalenti e quindi assoggettabili ad una pluralità di possibili interpretazioni. Questa è la necessaria premessa all’analisi dei punti metodologici che ora vedremo; inerenti a tutta la trattazione che, anche per i prossimi articoli, riguarderà il Secondo Grande Anno, saranno applicabili ad ogni livello ed andranno tenuti sempre presenti per poter interpretare nella giusta ottica i vari concetti che man mano incontreremo.
Nello specifico, a mio avviso, vi sono fondamentalmente quattro temi generali che vanno preliminarmente evidenziati.
Il primo, già in parte sfiorato in precedenza, è quello relativo alla moltiplicazione di significato della stessa denominazione (per esempio “Adamo”), o anche alla pluralizzazione, con vari nomi, della stessa figura; il tutto, comunque, poi applicato su piani diversi. Ad esempio, ricordiamo come nei miti gnostici si menzionino ben tre “Adami”, l’Adamo pneumatico, l’Adamo psichico e l’Adamo terrestre, dove il primo potrebbe forse corrispondere all’immagine androginica diretta, il secondo alla parte “sottile” della manifestazione “formale” (o “individuale”), ed il terzo all’uomo ormai completamente fisicizzato. In probabile analogia alla tripartizione gnostica, anche nella tradizione ebraica sussistono, come Guenon ci ricorda, tre diversi aspetti dell’uomo, definiti come Adam, Aish e Enosh: qui forse si potrebbe considerare Adam come l’Uomo Universale e l’asse verticale che collega tutti i centri di tutti i diversi gradi dell’esistenza, mentre gli altri due – per i quali, a differenza di Adam, si può parlare più propriamente di aspetti prettamente “umani” e che, da un punto di vista “geometrico”, si pongono entrambi sul piano orizzontale – corrispondono rispettivamente all’uomo “intellettuale” e all’uomo “corporeo”. La tradizione ebraica, inoltre, menziona tre diverse spose di Adamo (nello specifico, Naamah, Hawwa e Lilith), forse in una qualche relazione con la menzionata suddivisione ternaria del maschio, dove una sposa si potrebbe ipotizzare corrispondere a ciò che nella tradizione indù è Prakriti in rapporto a Purusha (quindi con la coppia Prakriti-Purusha in analogia all’Uomo Universale), un’altrasposa potrebbe essere analoga all’insieme psico-fisico (appunto, la manifestazione formale o individuale) in rapporto al maschio visto come elemento universale ed a-formale ma tuttavia già manifestato del Principio, mentre infine l’ultima sposa potrebbe essere il lato corporeo in rapporto all’uomo visto ora come elemento sottile, interpretato nel suo aspetto essenziale. Di passata, notiamo anche come nel mito greco la primordiale femmina umana appaia invece come una figura unica, Pandora, che in quanto donna “prima” è stata avvicinata simultaneamente sia a Lilith (la prima compagna di Adamo) che ad Eva, mentre invece per Adamo si è proposta un’analogia con l’entità, sdoppiata, costituita dai fratelli Prometeo – Epimeteo. Per terminare con questo primo punto, ricordiamo infine che la polarizzazione maschio-femmina è stata avvicinata, in ambito indù, all’enuclearsi, a partire dalla primordiale supercasta Hamsa, delle due caste successive Brahmana / Kshatriya; nella presente ottica della pluralizzazione dei significati, la specifica analogia proposta, per tale evento, con la polarizzazione dei gunas Sattwa / Rajas, potrebbe a mio avviso collocarlo sul piano dell’Adamo inteso nel suo significato più alto – quello “pneumatico”, secondo la visione gnostica – anche se vi è naturalmente la possibilità di interpretare, come vedremo, la polarizzazione delle caste anche su di un piano sottostante.
Un secondo punto che ho costantemente notato, e che potrebbe essere una conseguenza della pluralizzazione semantica e di livello descritta sopra, è stato quello di una frequente intercambiabilità di significato tra il concetti di “maschile” e di “femminile”, che quindi assumono molto spesso una valenza non assoluta, ma del tutto relativa. Partendo dall’alto per arrivare alla corporeità, possiamo dire che già per il termine “Spirito” Evola ebbe a notare come questo spesso presentasse tratti non ben definiti, in quanto nel cristianesimo non sembra femminile quando sovrasta le acque (Antico Testamento) o quando feconda la Vergine, mentre invece in ebraico ed aramaico, inteso come “Ruach”, presenta genere femminile; anche nel termine greco per Spirito vi è corrispondenza al Prana indù nel senso di forza vitale, che quindi verrebbe più immediato connotare anche qui in senso femminile.
Sul livello animico (in questo caso, probabilmente collegabile al summenzionato Adamo psichico, anche sulla scorta di quanto ad esempio affermato da Paolo secondo il quale Adamo è “psychè vivente”) Guenon significativamente segnalò, in termini generali, come tale ambito possa assumere, a seconda del punto di vista dal quale lo si considera, gli attributi dell’essenza o quelli della sostanza, il che gli conferisce una parvenza di duplice natura; e, per tentare un’analogia, ricordiamo che ad esempio nei miti gnostici l’Adamo psichico viene chiamato, esso stesso, anche Eva o Afrodite. Anche nell’interpretazione di alcuni aspetti della tradizione indù possiamo incontrare casi di tale intercambiabilità maschio/femmina: ad esempio, nel mito delle due entità animiche simboleggiate dai due uccelli sull’albero, ovvero Jivatma, passiva e legata al corpo, ed Atma, attiva e distaccata, secondo Michel Valsan esse sarebbero entrambe – quindi anche Jivatma – di sesso maschile, mentre invece in altri autori, come ad esempio Jakob Bohme (che sottolinea la virilità del fuoco e la femminilità dell’acqua) questa sembra essere considerata, direttamente o indirettamente, di sesso femminile in quanto acqueo-lunare. Ma l’evenienza di una tale intercambiabilità maschio/femmina sembra potersi applicare anche sul più basso livello materiale se, ad esempio, è vero che Enosh, l’uomo “corporeo” sopra ricordato nella tradizione ebraica, molto significativamente viene associato alla “Vita”, aspetto che normalmente si affianca, invece, ad Eva (che è “la Vivente”).
Un terzo punto che mi è sembrato rappresentare una costante significativa alla luce della quale interpretare aspetti importanti delle vicende che vedremo, è stato quello relativo ad una “doppia modalità” di dispiegamento del femminile. Sotto questo aspetto, Julius Evola infatti ci ricorda che la forza mercuriale, femminile, sottostante alle leggi del mondo sublunare dei cambiamenti e del divenire è un principio di identificazione ed immedesimazione che, disgiunta dal centro ed abbandonata a sé stessa, sarebbe un’impulso cieco a cadere verso il basso; segnala inoltre come la prima fase della manifestazione si caratterizzi dal liberarsi incontrollato della potenza femminile ridestata – fase discendente o promanativa – momento che procederà fino ad un limite contrassegnato da un punto di equilibrio. Di conseguenza, posto che l’elemento mercuriale ricordato da Evola è relazionabile al concetto di espansione ed in generale al Raja Guna (avevamo già incontrato in precedenza la teoria indù dei tre Guna, qualità costitutive del Cosmo), la mia interpretazione è che la fase promanativa possa corrispondere, sulla base di alcuni elementi che più in là avremo modo di esporre, alla figura della prima compagna di Adamo, Lilith; di contro, la fase in cui la femmina appare invece più stabile ed “ancorata” al principio maschile, potrebbe essere accostata ad Eva. A mio avviso tale “doppiezza” femminile potrebbe presentare una certa, parziale, relazione, anche con l’accenno di Filone di Alessandria, che definì come “maschile” il regno del tutto privo di differenziazione sessuale (Nous, Logos, Dio stesso), mentre come “femmina” il sottostante regno materiale il quale però – si badi bene – a sua volta, reca in sé la polarità maschio-femmina; concetti, questi ultimi, che andrebbero quindi relativizzati, come già segnalato nel punto precedente. Ma la duplicità femminile trova forse un’analogia ancora più stretta con quella messa in campo dalla figura demiurgica, già ricordata precedentemente e, come vedremo, inquadrabile a più livelli. Lo stesso Jakob Bohme tocca l’argomento, rimarcando significativamente l’ambivalenza del Serpente, che può essere visto sia come vergine celeste ma anche come simbolo di femminilità maligna; Serpente che peraltro Guenon ricorda essere uno dei simboli più noti del livello animico o intermedio, del quale il francese pone opportunamente in luce la natura “duale” e gli aspetti contemporaneamente essenziali e sostanziali (quindi potremmo dire, come riportato nel punto sopra, “relativamente” maschili e femminili o, utilizzando altre immagini, come simbolo assieme di luce e di tenebra, o infine come elemento separatore ma contemporaneamente anche di collegamento tra Spirito e Materia).
E pure il mito iranico forse reca un’analoga traccia, se vi si narra che l’uomo primordiale Gayomart ebbe come spose due regine, opposte, una “bianca” ed una “nera”. In definitiva, a mio avviso, tale doppia dinamica può in teoria essere applicata al femminile su ogni piano ed in ogni situazione essa venga considerata, peraltro tenendo presente come gli aspetti schematicamente definibili – in termini generali – come “Eva” o come “Lilith” su un dato livello, non necessariamente debbano coincidere con quelli di un’altra entità femminile inerente ad un piano diverso.
Un quarto ed ultimo punto di complessità riguarda infine il rapporto che viene ad instaurarsi tra maschile e femminile, nel senso che questo mi è sembrato essere declinato secondo due modalità non del tutto coincidenti. Una prospettiva è quella che convenzionalmente potrei definire “verticale/principiale”, nella quale il maschio pare situarsi su un piano ontologicamente soprastante a quello della femmina, enfatizzando quindi il rapporto di dipendenza di questa nei suoi confronti; l’altra ottica, definibile “orizzontale/correlativa”, è quella nella quale invece il maschio sembra porsi quasi sullo stesso piano della femmina rendendosene “complementare”, ma anche rappresentando, sul livello più basso, il principio soprastante comune ad entrambi. La visione verticale/principiale è quella che, ad esempio, pare emergere quando si evidenzia che la donna è stata fatta ad immagine dell’uomo esattamente come l’uomo è stato fatto ad immagine di Dio; d’altro lato, invece, sembra proporsi un’ottica di tipo più correlativo quando, ad esempio, al maschile ed al femminile vengono fatti corrispondere rispettivamente il Sole e la Luna, rappresentati in una modalità che sembrerebbe quasi “paritetica”, pur nella rispettiva diversità funzionale.Paradossalmente, un’unica immagine potrà forse illustrare ulteriormente entrambe le prospettive, ovvero quella del “triangolo iniziatico”, ricordata da Guenon, con le diverse funzioni collegate alle sue componenti geometriche: il Brahatma, che ne rappresenta il vertice, il Mahanga la sua base ed il Mahatma lo spazio intermedio, quale vitalità cosmica ed “Anima Mundi” degli ermetici. Al Brahatma appartiene la pienezza dei due poteri sacerdotale e regale allo stato indifferenziato, che poi si distinguono in Mahatma (corrispondente al potere sacerdotale ed alla casta dei Brahmani) ed in Mahanga (corrispondente al potere regale ed alla casta degli Kshatriya). Se ci soffermiamo sul Mahatma (casta Brahmana), nella visuale verticale sappiamo che l’ambito psichico è in qualche modo “principiale”, e quindi “relativamente” maschile, rispetto al sottostante livello corporeo pertinente al Mahanga ed alla casta Kshatriya; d’altro canto, però, non va dimenticato che l’Anima Mundi, in termini ermetico/alchemici, viene sempre accostata al principio mercuriale, il quale notoriamente può acquisire una doppia caratterizzazione, ovvero acqueo-femminea se in movimento e sotto il segno della Luna, oppure ignificata e maschile se fissata e sotto il segno del Sole, elementi che quindi sembrano geometricamente porsi entrambi sullo stesso piano, quello intermedio appunto. Ricordiamo infine che anche Evola segnala il “doppio segno” del mercurio, inteso come Ruach o soffio, ed inoltre come spesso questo venga raffigurato anche sotto forma di albero, il quale, in varie saghe europee, spesso si sdoppia – sembrerebbe quindi “orizzontalmente” – in un albero del Sole, orientale e maschile, ed in un albero della Luna, occidentale e femminile.
Per concludere, abbiamo quindi visto come i quattro temi esposti possano apparire piuttosto controversi ed arrivare ad introdurre degli elementi che sembrerebbero contraddittori; ritengo però che tali punti di contrasto siano in fondo solo apparenti e che vadano piuttosto elaborati secondo un approccio che ne tenti l’integrazione in un unico quadro globale. Tentativo che, per quanto riguarda le vicende del Secondo Grande Anno, inizieremo più nello specifico ad affrontare con il prossimo articolo, tenendo sempre presenti gli aspetti generali qui accennati.
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- Luca Valentini – Eros e la distruzione della diade – in: Vie della Tradizione, n. 148 – Gennaio/Aprile 2008
- Michel Valsan – Sufismo ed Esicasmo. Esoterismo islamico ed esoterismo cristiano – Edizioni Mediterranee – 2000
- L.M.A. VIOLA – Religio Aeterna, vol. 2. Eternità, cicli cosmici, escatologia universale – Victrix – 2004
- L.M.A. VIOLA – Tempus sacrum – Victrix – 2003
- Jean Marc Vivenza – Dizionario guenoniano – Edizioni Arkeios – 2007