Luigi Patronaggio, il P.M. di Magistratura Democratica che ha inquisito Salvini per “sequestro di persona e abuso d’ufficio” per la vicenda della nave Diciotti, è solo un ingranaggio del più vasto meccanismo messo in piedi dall’establishment progressista per contrastare il governo di M5S e Lega.
Nella speranza che qualche multa di Bruxelles o lo spread infilzino l’esecutivo populista e terrorizzati dal fatto che, invece, questo possa durare fino alle elezioni europee del prossimo anno, i progressisti si arrampicano sugli specchi e le tentano tutte per abbattere l’odiato governo giallo-verde.
Dopo l’infelice buriana, con effetto boomerang, scatenata per l’uovo “razzista” e dopo essere stati travolti dalla tragedia del ponte Morandi di Genova, i democratici alla ricerca di un appiglio si sono fiondati sulla vicenda della nave Diciotti per tentare di recuperare un ruolo e un pò di visibilità.
Pessima idea, perché gli italiani hanno giudicato ancor più spregevole questa loro scalmanata mobilitazione per i clandestini bloccati sulla nave della nostra Guardia costiera, in confronto al disinteresse mostrato per la tragedia di Genova, delle sue vittime e, soprattutto, per il loro silenzio omertoso sull’accertamento delle responsabilità di quella sciagura che vede coinvolti i Benetton, la famosa famiglia radical chic da sempre collegata al PD e alla sinistra. Per colmo di sventura, i presunti profughi, vittime dei soprusi e delle violenze da cui avrebbero cercato scampo, dopo l’accoglienza in un centro della CEI sono fuggiti come ladri, senza neppure avanzare richiesta d’asilo, a dimostrazione delle ragioni puramente economiche e non umanitarie del loro arrivo.
Ora l’inchiesta giudiziaria a carico del ministro degli Interni rappresenta la classica ciliegina sulla torta, la certificazione ufficiale della ottusità ideologica e dell’imbecillità politica di una sinistra che non sa cogliere gli umori del popolo e non capisce la differenza che c’è tra il porre in stato d’accusa un ministro per corruzione, per voto di scambio o per qualunque altro reato che comporti un illecito tornaconto personale e, invece, un’inchiesta giudiziaria avviata per un comportamento squisitamente “politico”, che la fa apparire come un provvedimento persecutorio e settario nei confronti del ministro in carica.
Ma se l’impudenza e la faziosità della sinistra non destano meraviglia, lo stesso non si può dire circa la sua manifesta sclerosi ideologica e la sua confusione politica. Il fronte mondialista e radicale è talmente convinto di rappresentare il progresso e di essere nel giusto, è talmente sicuro di costituire la parte migliore del Paese e di guidarlo verso un futuro migliore, da non essere in grado di capire come sia possibile che quello stesso Paese gli abbia voltato le spalle, lo disprezzi e non lo voglia più.
Le élite radicali e progressiste, affogate nelle loro certezze, non hanno mai applicato il loro tempo a valutare le ricadute dei dogmi civili con i quali volevano riscrivere il comune sentire sociale o sovvertire le relazioni umane e familiari; né si sono mai curati per l’insofferenza che suscitava la loro azione di desertificazione di ogni tutela sociale o per la reazione della comunità popolare in cui volevano innestare le loro ricette eversive di ogni tradizione e di ogni convincimento.
Oggi, dopo la sberla del 4 marzo, tutti i commentatori si affannano al capezzale del PD per suggerire terapie ricostituenti ed esprimere angosciati timori per l’assenza della sinistra dallo scenario politico.
A proposito della sinistra, qualche giorno fa Paolo Mieli, anche lui afflitto per la mancanza di una opposizione democrat, richiamava un’analisi dell’intellettuale comunista ebreo Wlodek Goldkorn che (su Repubblica)
“faceva notare come riformisti e rivoluzionari polacchi la facciano da padroni nelle grandi città, Varsavia e Danzica, fino ad oggi «immuni dal sovranismo»: in quei centri urbani vive un ceto medio composto da intellettuali, artisti, giovani, ceto che riesce ad esercitare ancora una notevole egemonia culturale. Gli appartenenti a questa comunità hanno un giornale, la Gazeta Wyborcza, che, pur essendo in crisi, è il principale quotidiano del Paese. Possiedono altresì, i progressisti polacchi, un sito internet, Oko press, un’emittente televisiva, Tvn, che hanno grande successo e si oppongono esplicitamente al primo ministro Mateusz Morawiecki e al partito di Jaroslaw Kaczynski. Questa parte della popolazione ha le sue piazze, i propri ritrovi, caffè e ristoranti di riferimento. Ostenta un peculiare stile di vita, si muove prevalentemente in bicicletta, ha abitudini alimentari per lo più vegetariane che la fanno diversa dal resto della Polonia. E ha solidi presidî in tutto ciò che attiene al mondo della cultura: musica, film, spettacoli teatrali, libri. Però alle elezioni questa sinistra viene regolarmente battuta, non riesce a conquistare più di un terzo dei voti. Ma non se ne dà pena: vive in una bolla dove «la vita è comoda e spesso agiata», e non esita ad ammettere apertamente di aver «abbandonato l’idea di avere una rappresentanza politica in grado di vincere le elezioni e conquistare il potere».
E’ il quadro reale di una sinistra europea che ha abdicato a ogni rivendicazione e al riscatto per i più deboli e s’è estraniata in universalismo edulcorato, agiato e accogliente, in un’enclave di ideologismo e di relativismo etico al di fuori dal mondo reale e indifferente alle ansie dei popoli e alla loro sopravvivenza. Ingozzati di arido scientismo e di materialismo storico, i progressisti sono passati con disinvoltura dalle utopie dell’internazionalismo proletario alle astrazioni distopiche del mercatismo, della mondializzazione e della società liquida, aperta e multietnica. Contagiati da infatuazioni finanziarie e liberiste, hanno abbandonato ogni idea di sovranità dello Stato e della Nazione, hanno privatizzato anche servizi pubblici essenziali – favorendo cordate di imprenditori amici –, hanno messo le mani sulle banche e sui risparmi degli italiani, hanno smantellato ogni tutela del lavoro e hanno predicato tasse, austerità e osservanza dei parametri imposti dai tecnocrati di Bruxelles.
In ossequio ai dettami monetaristi dei nuovi idoli della gauche, l’adesione alla UE, la necessità di doversi conformare a differenti modelli sociali, economici e civili, è avvenuta in un clima drogato da false promesse, espedienti contabili e dalla svendita del patrimonio nazionale, con l’assicurazione di trovare nell’Europa facili risorse e quella guida per la crescita e la modernizzazione che non riuscivamo a procurarci con le nostre sole forze.
Attraverso la supina adesione ai trattati e alle direttive impartite dall’Europa, hanno finito invece con il rinchiuderci in una gabbia economica e sociale.
E gli italiani hanno veduto che i membri delle èlite europeiste che avevano spinto in quel senso e predicavano sempre “più Europa”, per una qualche ragione cadevano comunque sempre in piedi, non condividevano mai il destino di penuria e di insicurezza del loro popolo.
Ma la storia non si cancella con un tratto di penna, neanche se è una firma su un trattato europeo.
Gli italiani hanno capito che quella promessa europea è stata disattesa e che le continue richieste di sacrifici non erano nel loro vero interesse, ma in quello di una casta che voleva imporre le sue ricette politico culturali con la logica della concorrenza selvaggia, del dumping salariale, del massimo profitto personale e della contemporanea spoliazione dei popoli europei. La precarizzazione di ogni attività e l’immigrazione selvaggia sono, in estrema sintesi, i punti di saldatura di una manovra a tenaglia con cui si voleva (e a sinistra ancora si vuole) stringere l’Italia e l’Europa per disarticolare il Continente e la sua identità etnica, culturale e religiosa, a vantaggio dei poteri finanziari e globalisti.
Dal dopoguerra a oggi, questa classe dirigente succube e servile, senza mai uno scatto di dignità, ha instillato nella Nazione un complesso di inferiorità e la convinzione di costituire un’anomalia rispetto agli altri paesi europei, rappresentando un’Italia sempre minore, sempre in retroguardia e bisognosa di sprone e sostegno, riducendoci alla Cenerentola dell’Europa.
Oggi, dopo i disastri realizzati in ogni settore, questa massa di politicanti è stata estromessa dal potere e sostituita da un governo che ha promesso di dare una qualche risposta alle tante richieste, dalla disoccupazione alle diseguaglianze, fino alla sicurezza, avanzate dagli starti sociali più deboli e vulnerabili del Paese. Un governo libero da complessi e dal desiderio di piacere in Europa, che sollevi gli italiani da ogni ipotesi di inferiorità e di subordinazione e si ponga in antitesi a quegli organismi internazionali pomposi e pletorici (non ultimo anche l’ONU) che spesso nascondono incapacità operative, interessi personali o, ancora peggio, progetti e obiettivi aberranti dietro a proclami roboanti e retorici, è quantomeno benvenuto e degno di attenzione.
Se anche riuscisse a realizzare solo in parte il programma annunciato, sarebbe comunque una scossa e un inizio di possibile cambiamento rispetto allo stato agonizzante, di passiva rassegnazione, in cui ci avevano ridotto i governi di sinistra. E una tremenda vendetta sugli sbigottiti e livorosi progressisti.
Enrico Marino
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