La prima metà del secolo XX, oltre ad essere uno dei periodi più drammatici della storia, è stato anche un’epoca nella quale, per l’ultima volta, degli ardimentosi hanno dato luogo a mitici viaggi d’esplorazione nelle lande più desolate della terra. Nella maggior parte dei casi gli ultimi esploratori sfidarono pericoli di ogni tipo, confrontandosi con la morte.
La seconda spedizione ebbe esito ben diverso. L’ostinazione di Hedin fu ripagata e, nei pressi del lago Lop Nor: «le sabbie disvelavano i resti delle favoleggiate mura della perduta Loulan», chiosa Mathlouthi (p. VII). Furono disseppelliti ingenti tesori, testimonianza di una civiltà prospera ed evoluta. I resti umani mummificati, analizzati con tecniche antropometriche, rivelarono: «tratti somatici inequivocabilmente europoidi» (p. VIII). Le “mummie del Tarim” diventarono, ben presto, uno: «dei principali argomenti in campo archeologico a sostegno della “tesi kurganica”, secondo la quale il cuore dell’Asia Centrale sarebbe la culla primigenia delle genti indoeuropee» (pp. VIII-IX). Data la rilevanza di tale scoperta, l’avventuroso esploratore nel 1936 incontrò Himmler nella prestigiosa sede della Deutsche Ahnenerbe, il prestigioso istituto che indagava le origini ancestrali del popolo tedesco e ricercava, nell’area himalayana e in Asia centrale, la Urheimat indoeuropea. La comune origine delle stirpi indoeuropee fu al centro degli interessi di Franz Altheim e di Hans Günther, ma anche di Eliade, Dumézil e Devoto.
La fama di Hedin, uomo avventuroso e coraggioso, si era diffusa in Europa già negli anni Trenta. Nel 1933, il Governo centrale di Nanchino gli affidò l’incarico di comandare una spedizione, finanziata anche dal governo tedesco, che avrebbe dovuto vagliare la possibilità di costruire due autostrade fra la Cina e il Sinkiang. Tale incaricò gli permise di percorrere l’antica Via della seta e di parlarne nelle pagine del volume che presentiamo. Condensò, dopo il ritorno a Stoccolma, avvenuto nel 1935, i ricordi di quelle esperienza in tre tomi. Il primo volume, ora in edizione italiana, è centrato sulla narrazione della sanguinosa guerra che, tra il 1931 e il 1934, trasformò il Sinkiang in una landa deserta. Hedin e i suoi uomini furono coinvolti nell’ultima fase di questo conflitto, che il libro descrive in modalità coinvolgente ed affabulatoria. L’iniziativa si inseriva nel “Grande Gioco” allora in atto tra le potenze europee, che mirava a far sì che queste ultime si accaparrassero il controllo di un’area ricca di materie prima ma, nel caso dei tedeschi, era centrato anche sulle ricerche indoeuropee. L’esploratore aveva quasi settanta anni, ma si appassionò come un ventenne all’idea della nuova intrapresa. La Via della seta è la spina dorsale attraverso la quale l’Asia è stata posta in comunicazione con il bacino del Mediterraneo e con l’oceano Indiano. Oltre la “Porta di Giada”, il passo dello Yumen, essa si biforca: «offrendo ai viaggiatori due possibili itinerari» (p.11), che si ricongiungono presso il mercato di Kasghar. Da qui la Via si dispiega per l’Asia Centrale e scende verso il Golfo Persico, lambendo Samarcanda, Teheran e Baghdad. A sud, si protende fino a Bombay. Fu il console Marco Licinio Crasso a portare a Roma il prezioso tessuto, la seta, cha dà il nome alla Via. Solo nel Medioevo, l’allevamento del prezioso baco si diffuse in Occidente. Lungo l’itinerario seguito da Hedin, per secoli è avvento lo scambio di merci, ma soprattutto di idee, tra gli uomini. Sui suoi sentieri sono transitati i cristiani nestoriani, i buddhisti ed infine gli uomini dell’Islam.
Quando lo svedese giunse nella zona cinese del Turkestan, la ribellione islamica era, da anni, endemica. A capo dei rivoltosi era Mohamed Zhongying, le cui gesta erano, nei racconti dei seguaci, divenute mitiche. Nel 1930 egli sobillò i confratelli Uiguri contro il governatore della provincia dello Xinjiang, ritenuto responsabile della soppressione di un Canato islamico. Nell’occasione era stato appoggiato anche da Chiang Kai-shek, leader nazionalista. In una situazione, anche sotto il profilo diplomatico complessa, Hedin e gli uomini della spedizione, come si evince dalla lettura, furono fatti prigionieri dai ribelli. Solo l’intercessione sovietica, permise la liberazione del gruppo di occidentali, consentendo loro di giungere a Pechino nel 1935 e di lì, di ripartire per l’Europa. La strada della seta è, pertanto, libro dal quale trarre una messe notevolissima di informazioni geografiche, antropologiche e culturali inerenti l’Asia Centrale e i suoi popoli. E’, d’altro lato, un volume la cui lettura risulta appassionante, in quanto ha il tratto tipico di una spy story. Hedin, in ogni circostanza, mostra di essere in possesso di uno straordinario coraggio e di una non comune lucidità. Qualità oggi assai rare, che impreziosiscono, quali exempla, questo volume.
Giovanni Sessa