Il 29 Maggio 2021, ricorrerà il centenario di quella che è passata alla storia come “strage di Modica”, quando i fascisti spararono all’impazzata contro un pacifico corteo di poveri lavoratori, assassinandone sei o nove, a seconda le ricostruzioni. Un evento drammatico, certamente tra i più tragici mai verificatisi in quegli anni. Una lapide, rinnovata nel 1951, conserva la memoria di quanto avvenuto, tramandando alle generazioni future l’evento e, soprattutto, chi furono i carnefici.
Sebbene la versione socialista ufficiale dell’epoca parlò chiaramente di “fascisti coadiuvati dalla forza pubblica”[1]; di “aggressione della polizia e dei fascisti”, di dimostranti “affrontati da fascisti e dalla forza pubblica al comando del Commissario di PS”[2] e, quindi, la strage non poteva essere definita propriamente fascista, questa fu la versione che passò alla storia: una strage fascista.
Forse una forzatura? Forse, anche perché, pochi giorni dopo, nelle ricostruzioni ufficiali del PSI i fascisti scomparvero, lasciando il posto a “un numeroso stuolo di teppisti e studenti” – sottointendendo fascisti? – che avrebbero impunemente agito al cospetto “del famigerato Commissario Muccio, un torvo delinquente autore del massacro di Comiso del Novembre scorso”, “specializzatosi nella caccia ai socialisti”. Gli assassini ancora a piede libero e vittime – i lavoratori – addirittura disarmate per disposizioni del “brigante” Prefetto di Siracusa Santangelo, facevano scrivere: Come Giolitti fa massacrare i socialisti siciliani[3]. Giolitti?
Ma allora, cosa accadde realmente quel tragico giorno?
Nel 2008, Carmelo Modica ha curato un pregevole fascicolo (Biennio Rosso in periferia. 29 Maggio 1921: il conflitto di Modica, La Biblioteca di Babele Edizioni) in cui ha riportato i documenti sui fatti in questione, documenti incontrovertibili che descrivono tutt’altra scena da quella recitata negli ultimi 75 anni e dove, tanto per essere chiari, i fascisti non c’entrano nulla: “Possiamo affermare che non esiste un solo documento attestante il fatto che furono i fascisti a sparare ed uccidere, come è stato scritto sulla lapide che ricorda quei poveri morti all’inizio di Via Roma”. Tanto è vero che, all’epoca, quando i socialisti accusarono le camicie nere della strage ci furono anche degli indagati ed un processo che si concluse emblematicamente con un’assoluzione nel Dicembre 1922. Ma non solo. Quando nel dopoguerra, l’odio politico retroattivo volle colpire i fascisti – a prescindere dalle loro colpe – arrivando addirittura a contestare i processi del passato, ci fu un nuovo procedimento penale contro i vecchi accusati. Anche questa volta, con scorno dei nuovi inquisitori, gli imputati vennero assolti.
Il breve testo curato da Carmelo Modica è incentrato sul rapporto che l’Ispettore Generale di PS Adolfo Lutrario fece il 18 Giugno 1921. Un rapporto conosciuto da tempo, ma che tutti coloro che si occuparono dell’evento appositamente – emblematicamente schierati politicamente – lo declassarono a documento di scarsa importanza, bollandolo dispregiativamente come “di parte”. Il documento? Lutrario?
Del resto, la “storia” in Italia è stata scritta così, eliminando i documenti che non si allineavano alla “realtà ideologica” che stavano elaborando a tavolino i “professoroni” con stipendio statale, ma al servizio prima di tutto di un partito.
In realtà, il Rapporto Lutrario è la più chiara e lucida analisi di quello che avvenne a Modica il 29 Maggio 1921.
Prima di tutto, bisogna parlare dei socialisti, dipinti oggi come “vittime” e in quanto tali degni essere ricordati da tutta la cittadinanza. Chi erano costoro e cosa facevano? E i documenti sono spietati a tal proposito. Il curatore evidenzia: “Il tentativo dei socialisti, in verità, non fu quello di demolire un ordine sociale bensì la negazione ed il disprezzo di tutti quei valori che rappresentavano il sentire di quella società”. In questo scenario il PSI si inserì come elemento perturbatore e prevaricatore dei diritti altrui, fossero i “borghesi”, fossero tutti coloro che non si allineavano al nuovo ordine rivoluzionario bolscevico che si voleva imporre. Con la violenza, ovviamente.
Il Vacirca, l’esponente più noto tra i socialisti, già Deputato di Bologna, […] ci sembra che pretendesse troppo nel non prevedere che i suoi avversari non reagissero quando si videro definire “Marchesi smidollati, Baroni corrotti, Avvocati prostituti e seguaci ruffiani” e le donne di costoro: “Femmine senza onore”.
E l’On. Vincenzo Vacirca, della corrente rivoluzionaria-intransigente di Lazzari, era tra i più “moderati” del PSI. Figuriamoci gli altri…
I fascisti, che allora andavano comparendo sulla scena come naturale reazione alle violenze sovversive che da due anni sconvolgevano la zona, venivano appellati “disonorati” e lo stesso Prefetto definito un “capobanda”.
Scrisse Lutrario sull’avvento al potere del PSI in molti Comuni della provincia di Siracusa nel 1920:
[I socialisti] non erano preparati. I Consigli erano composti da contadini ignari di tutto, guidati da qualche dirigente senza scrupoli, avido di crearsi una posizione e tutt’altro che alieno dalle prepotenze, dagli atti arbitrari, dalle rappresaglie contro gli avversari, dalle irregolarità di ogni specie. Sorsero, quindi, nuove cagioni di odio, mentre, organizzandosi la reazione, si iniziava la dolorosa serie di sanguinosi episodi, che vennero a tempo debito segnalati al Ministero.
[Il Partito Socialista] auspici specialmente l’On. Vacirca e Maria Giudice, scatenò con la maggiore larghezza di mezzi, la più veemente propaganda sobillatrice delle passioni più sfrenate e dell’odio di classe, con la svalutazione dei nostri ideali della guerra e con la esagerazione di tutti i disagi materiali, che la guerra aveva portato. Questa propaganda dette alle ignare popolazioni agricole una spinta ai metodi di sopraffazione e di violenza, tanto da produrre quotidiani eccessi […].
Ciò stante, nelle elezioni amministrative i socialisti ufficiali ebbero i più insperati successi, giacché conquistarono 24 posti di Consiglieri Provinciali su 50 e 13 fra i 32 Comuni della provincia. Si sperava che la cessazione della lotta amministrativa si accompagnasse al mutamento di metodi di lotta; ma non fu così, poiché poco dopo le violenze ricominciarono in forma grave […].
Manifestazioni esteriori offendevano ogni sentimento di italianità (negata esposizione di bandiere tricolori nelle solennità nazionali, voti di solidarietà a Lenin ed alla Russia, imposizione di bandiera rossa, anche nei collegi di Maria ed altre Opere Pie strettamente confessionali etc. etc.). In generale ogni senso di legalità formale e di equità sostanziale dagli amministratori fu bandito e si fuse l’azione amministrativa dei Comuni con la propaganda del Partito. Cassa Comunale e Cassa della Sezione socialista, tendevano ad essere una cosa sola. Questo rilievo non trova confutazione, ma conferma nel fatto che qualcuna delle Amministrazioni socialiste fu e si conservò corretta; ma, specialmente a Modica ed Augusta, lo sperpero del danaro per fini di partito, ed a Vittoria il succedersi di persecuzioni e di rappresaglie contro gli avversari non ebbero limite.
È davanti a questa situazione che nacquero i Fasci, come spontanea reazione alle violenze perpetrate impunemente dai massimalisti durante il Biennio Rosso. E la guerra civile teorizzata ed iniziata dai sovversivi scoppiò in tutta la sua drammaticità tra il finire del 1920 e l’inizio del 1921:
Si deplorarono incidenti gravi in vari Comuni, e si rilevò che l’uso cruento delle armi si iniziò sempre dai socialisti, mentre i fascisti alla loro volta reagivano con l’assalto e la distruzione di circoli e sedi di associazioni socialiste, ripetendo, in questo, quanto i loro avversari avevano precedentemente fatto contro i circoli ed associazioni costituzionali. Questa fase determinò il crollo delle Amministrazioni socialiste, anche perché i fascisti incominciarono ad invadere i Municipi, facendo sparire le bandiere rosse e sventolando il tricolore. A queste invasioni seguivano normalmente immediate e così grandi manifestazioni di popolo contro le Amministrazioni socialiste, che queste in ben sette Comuni si ritirarono e poi si dimisero: ciò avvenne prima a Vittoria [il 15 Marzo 1921], poi a Comiso, a Ragusa, a Modica, a Scicli, a Pozzallo, ad Augusta.
Davanti all’offensiva squadrista, i capipopolo socialisti rimasero interdetti e dovettero battere in ritirata, addirittura arrivando ad appellarsi allo Stato – quello Stato “borghese” di cui si prefigurava il violento abbattimento – e addirittura alle Forze dell’Ordine – che si insultavano ed aggredivano quotidianamente – perché si procedesse penalmente contro i fascisti. Ovviamente, anche travisando i fatti come ebbe a sottolineare Lutrario parlando delle “versioni” date al Governo da parte dell’On. Vacirca indignato per le recenti violenze squadriste, ma non per quelle precedenti massimaliste:
Riguardo alle violenze dei fascisti contro i socialisti, certo se ne sono avverate e sono da deplorare; ma le recriminazioni dei socialisti non sono scevre di eccesso da parte loro e non può negarsi lo spirito di alcuni di essi e specialmente dell’On. Vacirca di impressionare le Autorità superiori, con particolari terrificanti, quasi del tutto insussistenti. Valga ad esempio quanto egli riferì a S.E. Corradini circa sevizie, che sarebbero state fatte due volte a Modica a sua madre e alle sue sorelle, mentre tutto si limitò, una prima volta ad un abbassamento di bandiere ed a qualche fischio, mentre una dimostrazione di costituzionali passava innanzi alla sua casa; una seconda volta si trattò di alcuni cittadini, che si lamentarono con quelle signore che il Vacirca avesse in un articolo a sua firma, pubblicato nella “Sicilia Socialista”, chiamato “femmine senza onore” le donne di quanti a Modica non fossero socialisti.
Gli articoli offensivi scritti dall’Onorevole socialista gli valsero l’odio di molti che si vedevano in balia della violenza sovversiva scatenata dalla predicazione rivoluzionaria del PSI, tanto che le Autorità dovettero affidargli una scorta.
La situazione a Modica degenerò nell’Autunno 1920:
[Il 4 Novembre 1920], mentre la popolazione con imponente dimostrazione commemorava la Vittoria, il Municipio veniva occupato da un’orda di faziosi [sovversivi], in previsione che si domandasse l’esposizione del tricolore. La dimostrazione, giungendo in Piazza Garibaldi, fu accolta dalla banda bolscevica con una fitta sassaiuola e con numerosi colpi di rivoltella. A questi episodi culminanti vanno uniti il disordine amministrativo, la costante propaganda dell’odio di classe, le promesse mirabolanti di spartizione delle terre e delle proprietà private, sicché la misura della pazienza pubblica si andava colmando.
Fu così che in alcuni centri del Ragusano andarono a formarsi i primi Fasci e con essi le prime squadre d’azione, viste come unica difesa davanti alle violenze sovversive.
Le prime spedizioni punitive raggiunsero l’apice, come abbiamo visto, il 15 Marzo 1920, quando fu occupato il Municipio di Vittoria, togliendo la bandiera rossa e issando il vessillo nazionale.
Nella previsione che la stessa sorte fosse riservata a Modica, il Sindaco Avv. Vajola, braccio destro del Vacirca, che teneva compatte le bande faziose gavazzando con esse in trattorie e perfino in infime osterie, pensava di trasformare il Comune in un nuovo Forte Chaprol [sic; leggasi “Fort Chabrol”], concentrando nel suo gabinetto i fucili delle Guardie Municipali, ammassando nel cosiddetto Ufficio del Lavoro vari quintali di grossi ciottoli e facendo infine praticare alla porta del Comune tre file di buchi, attraverso i quali le canne dei fucili dovevano fulminare la popolazione. Fu questa la goccia, che fece traboccare il capacissimo vaso della pazienza cittadina. Fascisti di Vittoria e di Ragusa scesero a Modica ed uniti al nascente Fascio locale, composto in gran parte di giovanetti delle scuole secondarie, la sera del 18 Aprile [1920], dopo aver fatto spari di rivoltella in aria, entrarono nel Comune, vi issarono in un delirio di gioia il tricolore e vi esposero i ritratti di Vittorio Emanuele II, di Umberto I e del nostro Re soldato. Finiva così ingloriosamente l’Amministrazione, che volle dirsi bolscevica […]
La vittoria socialista alle elezioni politiche del 15 Maggio 1921, con la riconferma dell’On. Vacirca a Deputato del PSI, diffusero nei sovversivi nuove speranze e soprattutto voglia di rivincita contro chi li aveva sfidati sul terreno della violenza. Iniziarono così le contestazioni contro il Prefetto, reo – secondo costoro – di aver indetto le elezioni suppletive nei sette Comuni dove le Amministrazioni socialiste si erano dimesse, elezioni che il PSI voleva fossero rimandate il più possibile per potersi riorganizzare sul territorio e recuperare il terreno perduto.
I socialisti […] nei loro organi (“La Sicilia Socialista” di Catania) hanno senza reticenze dichiarato che durante tali elezioni ricorreranno ad ogni violenza e che hanno già iniziato un vero programma di azioni. Prendendo a pretesto l’incidente di non grande importanza, che aveva avuto luogo a Modica fra alcuni ferrovieri e cittadini, durante e dopo le elezioni politiche, suscitarono un piccolo sciopero ferroviario, proclamando quasi il boicottaggio del circondario di Modica. Tale sciopero durò una settimana e poi cessò, per la graduale ripresa dei servizi normali.
Di là dei successi elettorali, la situazione per i socialisti di Modica non era delle più rosee. Non solo per l’azione dei fascisti, ma anche per la concorrenza della nuova Sezione del Partito Comunista d’Italia, costituitasi in velenosa polemica contro i compagni del PSI. Senza contare che parte della cittadinanza – anche quella non politicizzata – era ormai stanca delle violenze, dei soprusi e delle minacce in cui si esibivano i sovversivi. Cittadinanza che chiedeva la fine del disordine allo Stato o a chi per esso. Basta che tutto finisse. Oltretutto, la precedente Amministrazione era stata macchiata da alcuni scandali sui quali la Magistratura stava indagando per fare chiarezza:
L’Amministrazione comunale socialista di Modica fu un vero disastro amministrativo; il Sindaco ha un grave processo penale in corso per truffa di parecchie migliaia di Lire nel servizio degli approvvigionamenti; parecchi Assessori si trovano implicati in altre responsabilità. Il fiduciario Annibale Galleani ha dovuto rifugiarsi nella Repubblica di S. Marino, per condanne riportate altrove; egli qui a Modica ruppe le relazioni con i compagni e lasciò parecchie migliaia di Lire di debiti.
Il 29 Maggio 1921 venne indetta a Passo di Gatto di Modica Alta una imponente manifestazione sovversiva, perché i socialisti potessero passare compattamente all’azione e riconquistare il terreno perduto. Qui, però, si registrò subito una spaccatura, per le finalità rivoltose che i comunisti presenti vollero dare alla manifestazione. I socialisti moderati presero le distanze da queste violente finalità, venendo però isolati ed allontanati in malo modo. Fu così che una folla di 1.500 sovversivi marciò sul paese, in prima fila gli armati di fucili e rivoltelle, tutti gli altri forniti di robusti bastoni.
Le Autorità di PS da tempo seguivano le malsane intensioni dei sovversivi ed avevano previsto quello che sarebbe accaduto quel giorno, provvedendo ad assicurare l’ordine pubblico e la sicurezza di tutti i cittadini con l’afflusso di 50 Carabinieri Reali e 50 soldati del Regio Esercito. Anche la cittadinanza attendeva la calata sul paese dei bolscevichi. Così i fascisti che, però, erano stati subito neutralizzati dall’Autorità di PS. Infatti, appena entrati in città erano stati presi a sassate da alcuni contadini. Le camicie nere, per difendersi, avevano sparato qualche colpo in aria, cosa che aveva fatto fuggire immediatamente gli aggressori. Per non far degenerare la situazione, era intervenuto il Vicecommissario Muccio che aveva convinto i fascisti ad allontanarsi e a sciogliersi: “E questi deferenti si ritiravano di fatto verso Piazza S. Giovanni”, ossia dalla parte opposta da dove stavano venendo i sovversivi.
Accadde l’inevitabile. Mentre minacciosamente la folla armata avanzava contro i cordoni delle Forze dell’Ordine disposti in Via Roma, dal drappello si staccò il Vicecommissario Muccio ponendosi davanti alla massa, nella speranza di far desistere i sovversivi dalle malsane intenzioni. Pochi istanti e ricevette per risposta un colpo di pistola. Sebbene ferito, si lanciò contro l’assalitore per disarmarlo, ma venne preso a bastonate dalla massa urlante. Successe quello che doveva accadere. Scoppiò una nutrita fucileria, da una parte e dall’altra, ed alcuni cittadini di Modica, affacciatisi alle finestre, presero a sparare sui sovversivi:
[…] Mentre i RR.CC. attendevano l’ordine di far uso delle armi, moltissimi cittadini avevano fulmineamente affrontato i sovversivi ed avevano fatto fuoco su di essi. Fu l’atto di un attimo, suggerito dallo spavento che aveva la cittadinanza all’idea di dover subire il saccheggio. Ne seguì uno sbandamento generale dei rivoltosi, quattro dei quali morirono per le gravi ferite riportate. […] È bene notare che i fascisti non presero parte al conflitto, perché erano stati in precedenza sbandati dalla Forza Pubblica.
Al termine della furiosa sparatoria tra cittadini di Modica, sovversivi e Carabinieri Reali, sul terreno rimasero senza vita alcuni manifestanti, sei o nove a seconda le versioni.
Come ben è evidente, anzi espressamente detto, i fascisti non c’entrarono nulla con questo scontro, essendo stati per tempo allontanati dalle Autorità di PS. Si trattò essenzialmente di un’opera di difesa della cittadinanza di Modica e delle Forze dell’Ordine contro i sovversivi che minacciavano violenze in paese.
Tuttavia, quando nel dopoguerra si riscrisse la storia della città, in cerca di vittime e di carnefici, l’intero episodio fu strumentalizzato, trasformando così il tragico evento in un monumento all’antifascismo militante. I sovversivi in “pacifici lavoratori”, magari “democratici”, e la cittadinanza e i Carabinieri in “fascisti”.
E il bolscevismo? E il fatto che i sovversivi fossero espressione di una fazione politica violenta? E la cittadinanza che si difese? E lo studente fascista Angelo Rizza, di 17 anni, assassinato dai rossi il 16 Maggio 1921 a Siracusa?
Nulla. Domande che non si possono fare. E noi allora non le facciamo. Dovessimo essere accusati di essere… revisionisti!
Pietro Cappellari
NOTE
[1] Barbaro eccidio a Modica, “Avanti!”, edizione romana, a. XXV, n. 128, 31 Maggio 1921.
[2] Come si son svolti i fatti di Modica, “Avanti!”, edizione romana, a. XXV, n. 129, 1° Giugno 1921.
[3] Cfr. “Avanti!”, edizione romana, a. XXV, n. 132, 4 Giugno 1921.